La visione di un film ci porta giocoforza ad una sua immediata classificazione, ad una sua collocazione in un contesto facilmente memorizzabile. A differenza di altre arti o scienze, il cinema spesso si sottrae ad una sua facile identificazione in un ambito esattamente circoscritto e talvolta accade che possa essere oggetto di contaminazione tra linguaggi, stili e tecniche narrative diverse tra loro. Ciononostante, nell’economia generale dell’arte cinematografica, è comodo e conveniente assegnare ad ogni film la sua appartenenza ad un determinato “genere”. Fermo restando che questo concetto si potrà definire compiutamente in senso dinamico, nello spazio e nel tempo, più esattamente in un suo proprio contesto sociale, culturale, politico, storico. Si potrà sostenere che un certo “genere” sarà rappresentato con determinate caratteristiche in un certo paese e non avere nulla di somigliante in un altro paese con altra lingua, altra cultura. Allo stesso modo, un certo “genere” può avere una sua collocazione in un determinato periodo in un certo ambito e non essere più riconoscibile con lo stesso criterio in un contesto temporale del tutto diverso. Inoltre, una volta definito un genere, è possibile che possano essere definiti dei sottogeneri derivati da una chiave narrativa specifica (esempio la commedia: all’italiana, comica, drammatica etc.).
Per una esauriente definizione del concetto di genere nel cinema è utile leggere il contributo della Treccani, a firma di Roberto Campari (Enciclopedia del cinema, 2003).
I generi cinematografici comunemente intesi e utilizzati sono: avventura, dramma, comico, giallo/nero, fantastico e musicale. Ci sono poi altri concetti di genere che potrebbero rientrare in alcuni dei precedenti o costituirne di originali come: animazione, biografico, la commedia, il documentario, erotico, di guerra o storico e western.
Abel Gance sta al cinema muto come Stanley Kubrick al cinema moderno. Il filo comune che lega i due grandi registi è nell’uso spregiudicato e rivoluzionario per il suo tempo degli effetti speciali. Gance, autodidatta, percepisce dall’inizio della sua carriera che un film può assumere maggiore vivacità attraverso l’utilizzo di artifici di ripresa innovativi, in grado di ampliare in modo sostanziale la percezione del racconto attraverso le immagini. Il suo capolavoro è il Napoleon, opera monumentale sia per la durata (oltre 6 ore di proiezione rispetto alle 50 di riprese) sia per il rilevante numero di effetti speciali utilizzati: dalla cinepresa montata su un cavallo in corsa, ai retini sulla pellicola, dai primi piani montati in sequenza ravvicinata, alla proiezione su tre grandi schermi. Quest’ultima novità ha anticipato di molti decenni il cinemascope e lo ha reso uno spettacolo oltre il cinema, quando pure si aggiunse l’utilizzo di un’orchestra per supportare la colonna sonora. Di Gance rimangono poche altre opere meritevoli di nota e il Napoleon, da solo, è sufficiente a collocarlo tra i grandi registi della storia del cinema.
Un regista del secolo scorso e uno contemporaneo: Pietro Germi e Matteo Garrone. Il primo esordisce nel pieno del neorealismo italiano nel secondo dopoguerra. Ne subisce fortemente l’influenza ma cerca subito un suo percorso originale che guarda più alle produzioni Usa che non ai colleghi italiani. Il suo primo lavoro è del 1945, Il testimone, seguito poco dopo da Gioventù perduta che lo proietta tra i registi protagonisti di quel periodo. Prosegue in suo percorso tra il cinema di cronaca e il film morale. Nel 1961 vince il Premio Oscar per la migliore sceneggiatura con Divorzio all’italiana. Nel 1965 vince il premio a Cannes con Signore e signori.
Matteo Garrone è considerato tra le migliori firme alla regia nelle nuove leve della cinematografia nazionale. Il suo esordio nella scena nazionale avviene con L’imbalsamatore del 2020, con il quale vince il David di Donatello. Si caratterizza per uno stile asciutto, formale, poco propenso ai fronzoli narrativi, diretto e sostanziale (spesso usa la camera a spalla, audio in presa diretta). Il suo grande successo arriva nel 2008 con Gomorra, tratto dal best seller di Roberto Saviano, con il quale vince diversi riconoscimenti nazionali e internazionali. Nello anno produce Pranzo di ferragosto, firmato alla regia dal suo sceneggiatore e aiuto Gianni Di Gregorio. Nel 2012 vince un premio a Cannes con Reality, dove affronta il tema dello spettacolo televisivo e dell’influenza che esercita sulle persone che partecipano ai giochi. Di quest’anno il successo ottenuto di nuovo a Cannes con Dogman, dove il premio è assegnato al suo attore protagonista, Marcello Fonte.