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Bestseller del passato: Angelo Gatti, “Ilia e Alberto” un’opera che riaffiora da lontano

Bestseller del passato: Angelo Gatti, “Ilia e Alberto” un’opera che riaffiora da lontano

Resurrezione di un libro

Il 27° episodio della serie degli autori best seller italiani è dedicata alla storia di una risurrezione. Quella di un libro.

La storia dei libri è talvolta tortuosa, quasi come quella delle nostre esistenze, e in certi casi ancora di più, perché noi possiamo sì morire, come i libri, ma non possiamo risorgere (pur senza porre limiti alla provvidenza), come talvolta capita ad alcuni di loro.

Sì, perché a loro, in qualche caso è consentito. E quando succede vuol dire che il libro ne è stato degno, che l’opera cioè racchiude dei valori pregevoli, che, magari a distanza di decenni, riaffiorano e si rivelano ancora attuali per i lettori di oggi.

E questi lettori attenti, che riscoprono questi libri, li sottopongono a una nuova (ri)lettura, quasi fosse per il libro una seconda vita. Ecco in questi casi si può dire che il libro sia “risorto”.

Il fenomeno non è nuovo, è già accaduto e potrà ripetersi ancora. Oddio, non che siano state poi molte le opere che hanno avuto questo privilegio. E ancora meno quelle che hanno incontrato nella loro prima vita un grande successo di pubblico e nello stesso tempo pure di critica, cosa di per sé non frequentissima, e poi sono scomparse. Ma dopo mezzo secolo e più sono tornate in vita. Ilia e Alberto di Angelo Gatti è una di queste.

Un grande best seller

Il romanzo uscì nel 1930 e si impose subito all’attenzione dei lettori, tanto da essere considerato uno dei best seller di punta di quegli anni. Nel 1945 era infatti alla 13° edizione, quasi una l’anno, compresi gli anni di guerra. Chi poteva vantare allora simili tirature!

E fatto ancora più strabiliante, il libro aveva ottenuto anche un grande successo di critica, cosa non da poco, dato che in genere i libri che piacciono ai lettori il più delle volte fanno storcere il naso ai grandi critici letterari.

Il plauso della critica

Il severo critico letterario Attilio Momigliano dichiarò che il libro di Gatti era il migliore dell’ultimo mezzo secolo.

E invece questa volta avvenne il miracolo, dato che uno dei maggiori critici del secolo, uno dei più sottili e preparati, Attilio Momigliano, dichiarò che il romanzo del Gatti era quanto di meglio si fosse pubblicato in Italia da mezzo secolo.

Affermazione di una rilevanza assoluta, espressa da uno che non ci andava tanto per il sottile nei suoi giudizi: uno dei migliori romanzi degli ultimi 50 anni! Ma scherziamo? Cosa era successo.

Il Momigliano aveva preso un abbaglio, forse incantato da una vicenda che intimamente sentiva consona a lui? E che, per qualche stranezza del destino, 20 anni dopo avrebbe sperimentato sulla sua stessa pelle, allorché, rimasto vedovo come il protagonista del romanzo, avrebbe superato la tragedia nella stessa maniera, concentrandosi sull’attività di critico e di studioso. Come avrebbe confessato nella premessa al suo commento ai Promessi sposi uscito nel 1951.

Oppure aveva visto in Ilia e Alberto cose che gli altri non erano stati in grado di cogliere? O le due cose insieme? Sono ovviamente domande alle quali non possiamo dare una risposta precisa, ma fare solo ipotesi.

Il fatto comunque rimase e pesò non poco sulla storia del romanzo.

Poi, dagli anni cinquanta il romanzo scomparve rapidamente e completamente dalle vetrine dei librai. Nella società stavano imponendosi altri valori, altre concezioni di vita. E l’opera di un generale ai vertici delle nostre forze armate e stretto collaboratore di Cadorna, ché tale era Angelo Gatti, fra i protagonisti della cultura del ventennio, uno dei maggiori esperti di arte e storia militare, poi membro di quell’Accademia d’Italia che bene o male raccoglieva i valori e le personalità più in vista del ventennio, poteva restare nell’immaginario collettivo?

Poteva sopravvivere in un periodo in cui i valori di riferimento di massa andavano volgendosi rapidamente verso la cultura laica e socialista-marxista?

La sua riscoperta

Così l’opera sparì dalla circolazione. E per lunghi decenni venne completamente dimenticata. Poi a inizio anni Novanta la Rizzoli la ripropose nella collana dei “libri dello spirito cristiano” e un certo numero di lettori, non moltissimi come nella prima vita dell’opera, ma comunque consistenti, dato che nel 1994 era alla sua 3° edizione, hanno potuto leggerla e apprezzarla.

Ed eminenti personalità di sponda cattolica ne hanno riscoperto l’importanza proprio in questa sua seconda vita. Una su tutte: don Giussani, il fondatore e animatore di “Comunione e Liberazione”, che l’ha definito il più importante romanzo del nostro Novecento. Giudizio avventato? Chissà! E comunque, come si è appena visto, in buona compagnia.

Può pertanto essere interessante fare la conoscenza del libro e del suo autore, e ricordare che il romanzo è ancora oggi presente sul mercato, o comunque facilmente reperibile, di modo che chi fosse interessato può tranquillamente leggerlo. Non che sia una lettura facile e adatta a tutti, sono oltre 500 pagine da centellinare con calma, ma forse alla fine uno potrà accorgersi che quest’opera vale più di tante opere contemporanee.

Angelo Gatti

La vita

Angelo Gatti nasce a Capua nel 1875 in una famiglia di militari. Da loro viene indirizzato già quindicenne alla loro stessa carriera, prima alla scuola militare di Napoli, poi all’Accademia di Modena, e infine, conseguito il titolo di tenente, viene trasferito a prestare servizio in varie città.

Inizia in tal modo quella carriera che nomina dopo nomina lo avrebbe portato a raggiungere i vertici delle forze armate.

Una solida cultura e un’eccellente capacità di scrittura

Angelo Gatti ha anche una solida preparazione letteraria e storica, che gli vale la nomina, ad appena 37 anni, a professore di storia e arte militare alla scuola di guerra di Torino. Nello stesso tempo è dotato di una prosa corposa e ben costruita, gradevole fin da una prima e immediata lettura. E i suoi numerosi saggi di storia militare lo stanno a dimostrare.

In virtù di questo nel 1912 inizia a collaborare alla “Gazzetta del popolo” come esperto di tematiche militari, ma anche di storia e letteratura. Due anni dopo il direttore del “Corriere della sera”, Luigi Albertini, lo vuole nel suo quotidiano, dove rimane per ben 12 anni, facendosi sempre apprezzare per l’acutezza delle sue osservazioni, la fedeltà delle ricostruzioni, la preparazione in materia e la piacevolezza dei suoi articoli.

L’indipendenza di giudizio

Colpisce anche la sua indipendenza di giudizio, la sua obiettività, in un ambiente, quello militare, per tradizione non particolarmente propenso verso tali caratteristiche. Tanto che, per esempio, quando l’Italia entra in guerra, lui non fa mistero di qualche perplessità, ma da buon militare non si tira mai indietro e svolge con la massima dedizione il suo compito.

Queste sue caratteristiche vengono notate e apprezzate dal generale in capo dell’esercito italiano, Luigi Cadorna, che lo vuole tra i suoi più stretti e vicini collaboratori, e lo pone a capo della struttura che aveva il compito di raccontare gli eventi della guerra. E il Gatti svolge con grande scrupolo e dedizione questo suo ruolo, non sottraendosi neanche dall’evidenziare talvolta manchevolezze e perplessità nella gestione delle forze armate e dei suoi vertici.

La disfatta di Caporetto

Un periodo particolare è ovviamente quello legato alla disfatta di Caporetto, che lui registra con grande meticolosità fin nei minimi dettagli, evidenziando come nella tragedia non fossero state di poco conto neanche le responsabilità di altri, in particolare del generale Pietro Badoglio.

Il matrimonio e il suo tragico esito

In questo periodo, a inizio del 1917, si sposa con Emilia, la futura Ilia del suo romanzo: un matrimonio che si rivelerà di straordinaria intensità, amore e corrispondenza. Non sarebbero nati dei figli, ma l’unione avrebbe assicurato alla coppia un periodo di pienezza, di gioia e di armonia davvero esemplari.

Cosa fra l’altro neanche facilissima da preventivare, dato che i due provenivano, da un punto di vista sociale, culturale e religioso, da ambienti opposti. Lei, ad esempio, era cattolicissima, lui ateo e iscritto alla Massoneria.

Il congedo dalla vita militare

Anche il dopoguerra si rivela un periodo di vita molto intenso. Intanto il generale Cadorna, sostituito dal generale Diaz al vertice dell’esercito, lo vuole come suo assistente personale nel consiglio interalleato di guerra di Versailles, cui era stato chiamato a far parte.

Gatti lo segue e lo assiste nei lavori, ma l’anno dopo, nel 1919, lascia l’esercito e si dedica alla vita professionale come giornalista, saggista, uno dei più competenti in materia di storia militare, scrittore e funzionario editoriale.

La tragedia

Questa vita così intensa, appagante e ricca di soddisfazioni conosce però all’improvviso una svolta drammatica e del tutto inaspettata. Dopo dieci anni di perfetta unione coniugale la moglie scompare nel 1927, nel giro di pochi giorni, per una meningite fulminante, scambiata inizialmente per semplice influenza. È una tragedia di proporzioni catastrofiche per il coniuge, che lo sprofonda nella più completa, totale e irriducibile disperazione.

Inizia per lui un periodo di terribile prostrazione, dal quale comincia a riemergere piano piano avvicinandosi a quella fede che tanto aveva significato per sua moglie. Riscopre così il ruolo di ispiratrice di lei, che lo guida, pur in un’altra dimensione, verso l’accettazione del decesso, nella convinzione assoluta di ritrovarla di nuovo al suo fianco nella nuova ed eterna dimensione, alla luce della fede.

È questo il tema del romanzo. È questo il viaggio che lui compie e che descrive nel suo capolavoro: un romanzo dallo stile classico, al quale non sono estranei i maestri di fine Ottocento presso cui si è formato, Tommaseo e Fogazzaro per primi.

La svolta verso la letteratura

Dopo aver lasciato la carriera militare, si dedica alla scrittura e anche alla narrativa. Il mercante di sole è il suo ultimo romanzo.

Da questo momento il Gatti, pur non trascurando gli impegni di storico e di studioso di questioni militari, testimoniato anche dalle conferenze che tiene su questi temi, poi pubblicate e addirittura postume, si dedica principalmente alla letteratura. Scrive articoli e saggi, dirige una collana di storia militare per la Mondadori, ma è la letteratura il suo settore d’intervento privilegiato.

La nomina a accademico d’Italia

La sua attività non passa inosservata, tanto che nel 1937 ottiene la nomina a membro dell’Accademia d’Italia, la più prestigiosa istituzione culturale del paese. Sono 60 i membri che ne fanno parte. A loro è riservato il titolo di eccellenza, attribuito solo ai prefetti, ai ministri e al segretario del partito unico, e la gratifica di 3.000 lire al mese, il triplo di quello che era il sogno dell’epoca ( “se potessi avere mille lire al mese”). A fronte c’è solo l’obbligo di partecipare alle paludate riunioni, indossando una divisa descritta fin nei minimi particolari nella legge di istituzione.

Escono nel frattempo altre opere, alcuni saggi, alcuni racconti e un altro romanzo, Il mercante di sole nel 1942.

Muore a Milano nel 1948 all’età di 73 anni.

Ilia e Alberto

«Cosa dire a questo punto del romanzo, se non riportare alcune frasi espresse dal Momigliano nella rivista “Pegaso” del febbraio 1931, subito dopo l’uscita del libro. Non prima però di una semplice constatazione sui gusti dei lettori degli anni Trenta, che non dovevano essere così bassi, se riuscivano a distinguere, nella immensa produzione editoriale di consumo, anche le perle rare, anche quello che valeva veramente la pena di leggere. Chissà se oggi saremmo in grado di fare altrettanto
Nel libro risuona dovunque un’alta e riposata sapienza della vita.
L’armonia e la ricchezza artistica di questo libro ha pochi riscontri nel romanzo italiano di questi ultimi 50 anni.
Ma chi non ha letto questo libro, ha già provato, nelle poche citazioni che ho fatto, il brivido che danno le grandi parole.
La prosa di questo libro è tranquilla, piena, affettuosa, animata da un calore malinconico, sollevata da un insolito anelito verso l’imperituro: è di quelle che nascono dall’intimo, da una forte esperienza. Siamo troppo abituati ai romanzi nati dal mestiere, per non chiudere questo con commozione e ammirazione.» Attilio Momigliano

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