Viviamo in un’epoca che venera i numeri. Un’epoca in cui molti credono che i numeri parlino sempre chiaro. Ma non è così: si tratta di un mito. I numeri sono importanti, ma proprio perciò devono essere usati con cura, sapendo che vedremo fenomeni differenti – o quanto meno aspetti differenti di uno stesso fenomeno – a seconda di quali numeri usiamo e da come li usiamo. Livelli, rapporti, differenze, quote, tassi di variazione ci dicono cose molto diverse tra loro. Per non parlare delle statistiche (di cui si dirà un’altra volta). Non sempre chi usa i numeri dichiara (o sa) quello che sta facendo e perché. Il risultato è un messaggio carente, spesso fuorviante. A volte ingannevole.
Prendiamo come esempio la spesa sanitaria, di cui abbiamo tutti finalmente capito l’importanza e che abbiamo imparato non essere soltanto uno spreco (anche se spreco ci può sempre essere). E facciamo confronti tra paesi, come spesso fanno i commentatori, per dire che qui da noi si spende più che altrove o viceversa, che si sono fatti tagli oppure che non è vero.
In genere, questi confronti si fanno guardando al rapporto tra spesa e Pil, in un dato momento del tempo o alla sua crescita nel corso del tempo. Ma nessuno di questi numeri, in realtà, ci dice quale sia il livello di protezione sanitaria disponibile per i cittadini di diversi paesi o come sia variato nel tempo.
Supponiamo che, nell’anno zero nel paese A la spesa sanitaria fosse pari al 5% del Pil e nel paese B al 4% del Pil. Ciò non vuol dire che la spesa sanitaria in B sia inferiore che in A. Se nel paese A il Pil pro-capite era pari a 20 e nel paese B pari a 50, la spesa sanitaria pro-capite era pari a 1 nel paese A e pari a 2 nel paese B. Cioè in B esattamente il doppio che in A, pur rappresentando una quota del Pil pro-capite più piccola. Merito di un Pil pro-capite in B più che doppio che in A. Evidente che, a parità dei prezzi sanitari, il cittadino del paese B dispone di cure sanitarie potenzialmente molto maggiori/migliori rispetto al cittadino del paese A. Se lo siano effettivamente, poi, dipenderà dalla qualità della spesa, quindi dall’entità degli sprechi, dalla qualificazione del personale sanitario, dalla dotazione di strutture e macchinari, ecc. Tutte cose che i numeri aggregati non ci possono dire, per quanto li si torturi.
E ora la fallacia dei tassi di crescita. Supponiamo che dopo venti anni il Pil reale pro-capite del paese A sia cresciuto complessivamente del 10% (poco), arrivando a 22 e la spesa sanitaria pro-capite reale sia diventata 1,5, una crescita del 50%. Ovvero è aumentata in quota di Pil fino al 6,8%. Mica male direbbe qualcuno. Anche nel paese B il Pil è cresciuto del 10% (cioè sempre poco, in vent’anni), arrivando a 55. Pure la spesa sanitaria pro-capite è aumentata come in A, cioè del 50%, arrivando a 3, cioè il 5,45% del Pil del paese B. Il rapporto tra i due livelli di spesa sanitaria pro-capite non è cambiato, ovviamente (quello in B è ancora il doppio di quello in A). Ma, siccome ipotizziamo parità di prezzi delle prestazioni, il divario assoluto di spesa pro-capite per cure sanitarie tra i due paesi è aumentato del 50%, da 1 a 1,5, ancora a favore dei cittadini di B, mentre il divario in termini di quote del Pil è aumentato a favore di A (6,8%-5,45%=1,35%>1%=5%-4%).
Se poi il costo medio delle prestazioni sanitarie cresce più dell’inflazione (con conseguente aumento del prezzo delle prestazioni sanitarie relativamente al “paniere” del Pil), ci troveremmo di fronte a un altro caso interessante. Supponiamo che, dopo i soliti vent’anni, il costo delle prestazioni sanitarie sia aumentato, in entrambi i paesi, del 60% in più rispetto al livello generale dei prezzi. Allora, nel paese A la spesa sanitaria pro-capite in termini reali si sarebbe ridotta (1,5/1,6 =0,9375, cioè minore di 1), mentre nel paese B sarebbe pur sempre aumentata (3/1,6=1,875).
Nel paese A le prestazioni sanitarie reali avrebbero subito un “taglio”, nonostante l’aumento di spesa in termini assoluti, in termini pro-capite e in quota di Pil. La protezione sanitaria dei cittadini di A si sarebbe ridotta in termini assoluti. E ciò non a causa della maggiore inflazione (generale o sanitaria) o della minor crescita economica in A rispetto a B, perché abbiamo ipotizzato che tutte le variazioni siano identiche nei due paesi.
A fare la differenza è solo quello che potremmo chiamare un “effetto di dotazione” o “di stock”: nell’anno zero il paese B aveva un Pil pro-capite molto più alto di A e una spesa sanitaria pro capite doppia. I punti di partenza contano e influiscono parecchio sui punti di arrivo. Se non si mettono in rilievo questi aspetti, si finisce per usare i numeri a sproposito e si inviano messaggi distorti. Sembrano cose elementari, perfino ovvie. Ma, a leggere i media e qualche volta anche “rapporti” con pretesa di scientificità, non si direbbe.
Il paese dell’approssimazione, dei luoghi comuni, del più basso numero di laureati, del più alto numero di abbandoni scolastici è quello dove numeri e statistiche sono propinati a iosa io la chiamo ” biada al popolino”