Per quanto di posizione più alta con maggiori responsabilità e quindi redditi più elevati, i dirigenti sono lavoratori come tutti gli altri e quindi il blocco dei licenziamenti deve valere anche per loro. A stabilirlo è una ordinanza del Tribunale di Roma che non mancherà di far discutere: i giudici hanno considerato che un trattamento diverso per i vertici delle aziende è in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che dispone appunto che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
L’ordinanza, datata 26 febbraio, ha deciso nello specifico la reintegrazione di un dirigente licenziato il 23 luglio 2020 per “soppressione della posizione”, in piena emergenza Covid e col blocco già in atto (e tuttora valido, scade tra qualche settimana ma sarà verosimilmente prorogato). Secondo il Tribunale di Roma, lo stop ai licenziamenti va dunque interpretato nel senso di vietare i licenziamenti “economici” individuali per qualsiasi lavoratore, anche un dirigente.
I magistrati hanno proseguito la loro argomentazione, da un lato, individuando una incomprensibile discrasia nel fatto che i dirigenti, cui è applicabile la tutela in caso di licenziamento collettivo, a parità di giustificazione economica del recesso non vedrebbero operare il blocco in caso di licenziamento individuale, a differenza degli altri lavoratori; dall’altro lato, rinvenendo la medesima “essenza” che contraddistingue il giustificato motivo di licenziamento (articolo 3 della legge 604/1966), nella nozione di “giustificatezza oggettiva” del licenziamento del dirigente.
Ciò consentirebbe di ritenere che il riferimento della norma emergenziale all’articolo 3 della legge 604/1966 sia volto (unicamente) a identificare la natura ostativa della ragione posta a fondamento del recesso e non, invece, a delimitarne l’ambito soggettivo di applicazione. Una lettura destinata a far discutere, in quanto forse troppo orientata a difendere il principio generale sancito dalla Carta (l’uguaglianza di tutti davanti alla legge) e non abbastanza a cogliere la ratio del legislatore, che con l’articolo 46 del Dl 18/2020 prorogato dal decreto legge Rilancio intendeva mettere in campo un ammortizzatore sociale, destinato proprio a tutelare le categorie più vulnerabile di fronte alla crisi.
La norma varata dal precedente Governo non era probabilmente destinata a chi aveva una posizione di forza, come i dirigenti, bensì secondo la lettura più accettata era ispirata a un criterio di solidarietà sociale, consistente nell’evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro e si scarichino tutte sui lavoratori dipendenti.