Ha vinto su 508 panettoni arrivati da tutta Italia che una giuria di prestigio guidata da Iginio Massari, il numero uno della pasticceria italiana, il maestro di tutti i pasticcieri, autorità internazionale dell’eccellenza italiana e composta da Sal De Riso e Davide Comaschi, medaglia d’argento alla Coupe du Monde de Patisserie di Lione hanno giudicato il “Miglior panettone tradizionale” artigianale di quest’anno.
L’artefice è Fausto Bertolini, patron della Casa del Dolce di San Bonifacio in provincia di Verona, classe 1951, uno che si è formato da sé, senza precedenti in famiglia, dopo essere stato folgorato sulla via di Damasco da un occasionale passaggio in una pasticceria del paese fino a diventare una vera e propria autorità nei lievitati.
Una storia che val la pena di essere raccontata perché tipica del geniaccio italiano e della caparbietà dei suoi protagonisti di portare avanti una passione, nella fattispecie quella per la pasticceria, fino a livelli di alta qualità. Un settore nel quale il Veneto eccelle non da oggi e dove storie e passioni individuali sono arrivate a scrivere pagine di imprenditoria industriale di livello nazionale da Ruggero Bauli, che gettò nel ’22 a Verona le basi del suo impero a Domenico Melegatti, inventore del Pandoro, un marchio glorioso che, purtroppo, ha conosciuto, dopo i fasti, una parabola industriale conclusasi infelicemente.
All’arte pasticciera Bertolini ci arriva per caso. Da giovane si divideva fra la passione per il pallone, dove aveva raggiunto buoni risultati nell’Associazione Calcio, sezione C, arrivando a farsi valere nei campionati regionali, e qualche lavoretto che faceva in giro per raggranellare qualche soldino da mettere in tasca. Niente di ché, qualche consegna alla clientela dei bottegai di Cologna Veneta, sua città natale. Ma la passione per il pallone si scontrò ben presto con le necessità familiari. I genitori di Fausto non navigavano nell’oro pur conducendo una vita dignitosa, abitavano in una casa popolare, il padre Vito era un dipendente comunale e la madre Maria una casalinga.
L’atleta abbandona il pallone per un posto sicuro all’Ospedale
Così quando nel 1970 l’Ospedale Pio Ricovero di Cologna Veneta bandì un concorso per un posto di portiere ed autista di auto ambulanza, Fausto Bertolini non ebbe esitazioni, aderì al bando e si classificò primo fra tutti i concorrenti. Finalmente un lavoro dignitoso, sicuro e tranquillo. Finalmente soprattutto poteva sgravare la famiglia del suo peso e cominciare a pensare con tranquillità al suo futuro e a farsi una famiglia.
Epperò qualcosa non andava. Per uno sportivo come lui quel rimanere chiuso in un ufficio tutto il giorno in attesa di una chiamata, francamente lo avviliva. Perché fin da piccolo Fausto era sempre strato uno difficile da bloccare in casa: fatti i compiti se ne andava sempre in giro a curiosare, a seguire i suoi percorsi mentali. Allegro di natura, si fermava a parlare con tutti, gli piaceva la compagnia, soprattutto era curioso di conoscere sempre cose nuove. E questa tendenza gli era rimasta nell’animo anche da grande. E così durante le ore libere dal lavoro o nei giorni di riposo si inventava sempre qualche lavoretto, come andare a raccogliere le mele, o fare qualche lavoro saltuario.
Fin da prima di entrare a lavorare in ospedale, aveva lavorato da magazziniere in un deposito di acqua minerale e di bibite gestite a Cologna Veneta da Bruno Rana, fratello del più illustre concittadino del paese, Giovanni Rana, il re dei tortellini futuro leader nazionale e internazionale della pasta fresca. Con Bruno scatta subito una simpatia reciproca e ben presto Pietro entra in confidenza con tutti i componenti della famiglia. C’era un terzo fratello, Francesco Rana che faceva il pasticcere, e un giorno parlando del più e del meno Pietro, espresse il desiderio di andare a vedere come funzionava il laboratorio. La cosa non solo lo incuriosì ma gli piacque oltre misura al punto che dopo quell’occasionale visita la presenza di Pietro in Pasticceria divenne molto più frequente, quel mondo lo interessava, lo incuriosiva e gli piaceva. E così il giovane Fausto cominciò a addentrarsi nel mondo dei dolci.
La Pasticceria, un amore improvviso che non lo abbandonerà più
Insomma il giovane Bertolini stava fisicamente in ospedale, luogo di sofferenza e di dolore, e perciò poco consono col suo carattere allegro e solare, ma mentalmente stava sempre col cervello in pasticceria, da Francesco, a provare creme, impasti, glasse, pan di spagna. Era ammaliato nel vedere come gli elementi base, farina, zucchero, uova e lievito, si trasformassero in elaborazioni che coinvolgevano tutti i sensi con la capacità che solo i dolci hanno di farci tornare bambini golosi e insaziabili.
In Ospedale Fausto trovò anche il tempo di conoscere, di innamorarsi e di sposare Patrizia che gli ha regalato tre figli due femmine ed un maschietto. Insomma aveva tutto per stare tranquillo e vivere una vita di ordinaria e pacata amministrazione. Se non fosse stato per il tarlo della pasticceria che lavorava dentro il suo cervello incessantemente da tempo.
Fino a che un giorno Fausto decise che non poteva continuare così. Doveva fare una scelta, fra l’amara vita dell’ospedale e la dolce vita della pasticceria. E indovinate un po’ che fece?
Si licenziò dall’Ospedale, creando il panico in famiglia. La moglie con tutto l’amore possibile cercò di dissuaderlo, i parenti lo invitarono a ripensarci. Abbandonare un lavoro sicuro con una famiglia sulle spalle è quanto meno improvvido se non da incoscienti. Gli amici lo considerarono un irresponsabile. Era il 1980. L’amico Giovanni Rana gli diede del matto: “Ma ti è dato di volta il cervello ad abbandonare un lavoro sicuro per affrontare l’ignoto, rischiando di trovarti per la strada?”.
Fausto col suo coraggio da sportivo affrontò quel difficile momento consapevole del rischio che andava correndo ma al tempo stesso sentiva che non poteva più tornare indietro. In fin dei conti pensava: “ho 29 anni, sono ancora giovane, se tutto dovesse andare per storto, qualche rimedio riuscirò a trovarlo”.
Ed è così che con non poca trepidazione e molta cautela nella casa popolare di Via Predicale dove Fausto abita con sua moglie Patrizia i tre figli, e i genitori, viene aperto un laboratorio e punto vendita. Una cosa modesta ma dignitosa dove Fausto mette a frutto tutti gli insegnamenti ricevuti da Francesco Rana e ci aggiunge la sua passione. “I clienti venivano accolti – ricorda Bertolini – nell’ingresso di casa, pochi metri quadri, forse non più di quattro o cinque, con, in fondo, un ripiano orizzontale che fungeva da bancone”. La voce si sparge e le paure di Fausto e dei suoi familiari vengono in breve sventate. La sua pasticceria familiare-artigianale piace, i sapori sono genuini, arrivano le prime ordinazioni di torte per matrimoni, comunioni, feste di compleanno.
Gli affari prendono subito il verso giusto, le paure sembrano ormai lontane. C’è ora da pensare più in grande.
Fausto posa gli occhi su un locale nella centralissima via Rinascimento. E oplà! In men che non si dica i coniugi Bertolini lasciano gli angusti ambienti di Via Predicale e aprono con non poche ansie – ma ci sono abituati – una elegante pasticceria. Pietro può finalmente disporre di un laboratorio degno di questo nome nel quale dare sfogo alla sua fantasia più sfrenata. Vuoi per l’eleganza del negozio, vuoi per la nuova raffinata produzione dolciaria, fatto sta che il nuovo locale parte subito col vento in poppa.
Ovviamente uno con Fausto Bertolini, abituato a correre sui campi di calcio, è sempre in corsa. Non si sente mai soddisfatto di quello che ha ottenuto, guarda sempre al prossimo ostacolo. E così per perfezionare le sue conoscenze e raffinare la sua arte, come può, frequenta corsi di aggiornamento nelle varie discipline. E soprattutto se ne va a fare un lungo stage da Igino Massari e ne diventa amico.
La prima grande sfida: il mandorlato
I tempi sono maturi perché Fausto Bertolini si confronti con una specie di Totem dolciario di Cologna Veneta, sul quale si misurano i nervi scoperti delle persone del luogo, qualcosa che tocca la tradizione e il dna della gente della cittadina veneta, il Mandorlato. Un po’ quello che la Pastiera – spostandoci di latitudine – rappresenta per i napoletani, una sfida alle certezze domestiche, ai ricordi di famiglia, all’onore della mamma – ché come la fa lei non la fa nessuno – e all’onore della festa.
Il Mandorlato a Cologna Veneta più che un dolce è il brand, il marchio, della cittadina sul quale si accalorano le discussioni tra i tradizionalisti, irremovibili nello scegliere il più antico e celebrato, e i modernisti che indulgono verso le marche più recenti. Si fa presto a dire che si tratta di una ricetta semplice, quasi elementare: albume d’uovo, mandorle, miele e zucchero. E’ come la colomba di Picasso, o il cerchio di Giotto, o il taglio di Fontana. L’arte non è alla portata di tutti quelli che dipingono. Gli artisti sono gente eletta, l’artista – come si diceva un tempo – è ispirato da Dio.
Fausto col suo carattere non si tira certo indietro. Lavora mesi a preparare il suo Mandorlato che prende a mano a mano forma e sapore, consistenza e significato, non dimentico della tradizione ma arricchendosi di una nuova fantasia creativa. Come una mongolfiera stenta a gonfiarsi fino a che prende il volo, così il suo Mandorlato ha bisogno di lunghe meditazioni, di sensazioni infinite fino a che trionfalmente può entrare in produzione e diventare un cammeo nella storia di questo storico dolce. Consapevole di aver compiuto qualcosa di eccezionale Pietro studia anche come presentarlo degnamente. Per questo chiama due disegnatori di fama, Giorgio Scarato e Franco Spaliviero, quest’ultimo un illustratore che aveva lavorato per le più importanti case editrici italiane e internazionali. I colognesi lo assaggiano e lo approvano, la sfida più difficile quella con i sentimenti cittadini è vinta.
La seconda sfida: il panettone artigianale
Oramai Bertolini è entrato nel Gotha dei grandi Chef dolciari italiani, le sue composizioni finiscono nelle vetrine delle migliori pasticcerie parigine, viene chiamato negli States per l’inaugurazione dell’aeroporto internazionale di San Francisco, nel 2013 per il Festival dell’Opera all’Arena di Verona assieme a Marco Savoia, della rinomata gelateria scaligera, propone un semifreddo al mandorlato di Cologna che fa clamore.
Dai suoi laboratori prendono il volo anche lievitati. Li ha studiati a lungo, si è guardato attorno, si è convinto di come procedere con le lavorazioni e soprattutto con le materie prime di prima scelta. Il territorio è già occupato da tante pasticcerie e forni che si sono specializzati in questo dolce tipico natalizio. Anche qui Fausto non si tira indietro dalla competizione e taglia il traguardo: il suo panettonevince per quattro anni di fila il premio come Migliore Panettone Tradizionale d’Italia. I suoi prodotti continuano ad aggiudicarsi un numero infinito di medaglie d’oro. Con Giovanni Rana ritorna negli Stati Uniti per una serie di appuntamenti gastronomici, in cui ai tortellini e alla pasta fresca di Sua Maestà Rana si affiancano, il suo mandorlato ed il suo panettone.
Ovviamente la sua ascesa imprenditoriale ha bisogno di una nuova base di lancio. La bella pasticceria di Via Garibaldi non può seguire il passo delle ordinazioni che arrivano dall’Italia e dall’Estero. E così Bertolini cambia ancora una volta sede e approda nella nuova zona artigianale sulla superstrada Cologna – San Bonifacio. I nuovi spazi della Casa del Dolce si sono dilatati per essere in grado di rispondere alle idee dello Chef, che, con la passione di sempre, non si crogiola mai sugli allori ma ha bisogno di nuove sfide. Perché Fausto Bertolini anche se sfiora i 70 mantiene un cuore d’atleta e le numerose sfide sono il lievito quotidiano – è il caso di dire – per chi come lui, assistito dai figli Francesco, Gabriella ed Elisabetta e la giovane ma già efficientissima Linda, i suoi principali supporter, vuole mettersi continuamente alla prova, perché, come diceva John Keats, grande protagonista del romanticismo inglese, è sempre stato profondamente convinto che “La vita è un’avventura da vivere, non un problema da risolvere”. Da vivere con l’entusiasmo di un bambino.