Siamo in autunno e come ogni anno si celebra la stagione di Sua Maestà il tartufo. E mentre, fino al 24 novembre, la città di Alba celebra il suo prodotto di eccellenza con la 89esima edizione della Fiera internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, emergono i primi bilanci sul mercato di quest’anno di questo particolare e pregiato fungo, che come è noto non viene coltivato ma nasce spontaneamente e viene raccolto in quel periodo di qualche mese che va tra la fine dell’estate e persino l’inizio dell’inverno. Il tartufo risente pertanto parecchio delle condizioni climatiche e meteorologiche e quest’anno pare che sia girato tutto al meglio, tant’è che Coldiretti sta rilevando una buona raccolta, al punto che i prezzi stanno calando: la borsa del tartufo di Acqualagna, la prima a rendere note le quotazioni del tubero, ha registrato ad ora un calo del 5% rispetto allo scorso anno e cioè un valore di 2.000 euro al chilo per pezzature oltre i 50 grammi (le più pregiate).
“All’avvio della stagione – sottolinea la Coldiretti – si rileva dunque un contenimento dei prezzi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando si registravano per le stesse dimensioni valori di 2.100 euro al chilo, già molto convenienti. Importi ancora più contenuti – continua la Coldiretti – sono stati raggiunti quest’anno per le pezzature più piccole con valori che vanno da 1.500 euro tra i 15 ed i 50 grammi a 1.000 euro al chilo sotto i 15 grammi“. I prezzi effettivamente appaiono “stracciati” non tanto rispetto a quelli di un anno fa, ma sono un vero affare soprattutto se rapportati a quelli del 2017, quando a causa della siccità al debutto di quella stagione sullo stesso mercato di Acqualagna un bianco grande era quotato 3.500 euro al chilo, un medio 2.900, un piccolo 2mila euro: praticamente il doppio di adesso.
Le condizioni climatiche, se non cambieranno, fanno infatti prevedere secondo Coldiretti “una buona raccolta per il Tuber magnatum Pico che si sviluppa in terreni freschi e umidi. Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi – precisa l’associazione – i territori battuti dai ricercatori. Si stima che siano coinvolti complessivamente oltre centomila i raccoglitori ufficiali che riforniscono negozi e ristoranti ed alimentano un business che comprensivo di indotto sviluppa un valore stimato in circa mezzo miliardo di euro tra fresco, conservato o trasformato anche grazie alla grande capacità di attrazione turistica ed enogastronomica”.
Il tartufo infatti, oltre che eccellenza gastronomica, è anche un’attrazione turistica (oltre alla Fiera di Alba sono in corsa in tutta Italia in queste settimane oltre 120 eventi sul territorio dedicati al pregiato tubero) e soprattutto un business sempre più ricco. Uno studio condotto da Jfc nel 2018 ha rilevato che entro vent’anni il commercio annuale dei tartufi raggiungerà, a livello mondiale, un valore pari a 5 miliardi 260 milioni di euro. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, se si considera che trattasi esclusivamente del valore economico legato alla vendita dei tartufi. In realtà l’Italia, in questo ambito, può davvero rappresentare l’unicità turistica: già nell’ultimo trimestre del 2018 l’intera filiera del “truffle tourism” ha generato – a livello nazionale – un fatturato pari a 62 milioni 546 mila euro, per complessive 119.788 presenze turistiche e 1.817.200 presenze escursionistiche.
In attesa dei dati sul 2019, c’è da pensare che a leccarsi i baffi non saranno solo i degustatori ma anche i 120.000 tartufai patentati italiani, suddivisi in 45 mila cavatori per hobby con un cane, 59 mila esperti con due cani, 16 mila professionisti con 3/4 cani. A patto però di difendersi dalla crescente concorrenza internazionale: se infatti il tartufo bianco è riconosciuto come una tipicità made in Italy e ha un mercato consolidato, è anche vero che i tartufi oggi si raccolgono anche in Romania, Serbia, Bulgaria ed Albania, oltre che in alcune aree del Nordafrica.