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Leonardo, torna in vita il vino che produceva nella vigna di Milano

Dagli scavi effettuati nell’antica vigna che fu donata da Ludovico il Moro a Leonardo da Vinci, Luca Maroni in collaborazione con il prof. Attilio Scienza e l’Università Agraria di Milano ha recuperato le antiche radici dei vigneti dell’artista. I vigneti sono stati reimpiantati e ora se ne è ricavato un vino per pochi privilegiati

Leonardo, torna in vita il vino che produceva nella vigna di Milano

Leonardo, fu geniale artista, ingegnere, scienziato, inventore, progettista, architetto, ma non tutti sono a conoscenza del fatto che fu anche, un esperto vigneron, amava la viticoltura e amava il buon bere. Da genio quale era anche in questo settore anticipò di 500 anni i moderni metodi di vinificazione, mostrando, come in tutto quello che faceva, una marcia in più.

E presto, pochi fortunati privilegiati, verranno ammessi a una esperienza straordinaria: potranno assaggiare proprio il vino che Leonardo produceva per sé, a distanza di 5 secoli dal primo impianto della sua vigna a Milano.

Ma come è stato possibile produrre oggi il vino di Leonardo? Tutto parte dalla scoperta, di qualche anno fa, di un appezzamento di terreno appartenente proprio alla famiglia di Leonardo, a Milano, dove lui stesso studiò e sperimentò le prime tecniche di vinificazione. E di questo vigneto, sarà presto possibile goderne letteralmente i frutti.  Perché grazie a Luca Maroni, uno dei massimi esperti e studiosi di vino italiani, all’Università di Milano e al prof. Attilio Scienza, autorità indiscussa nel campo della viticoltura internazionale, venne avviata una campagna di scavi che portò all’individuazione di antiche radici di vite sotterrate da secoli dalle quali si poté risalire al vitigno prediletto da Leonardo, piantare nuovamente le viti che sono state vendemmiate a settembre e ora il vino è quasi pronto per essere bevuto . Il ritrovamentoo dell’antico vigneto nel 1999

Il ritrovamento del vigneto (unica proprietà calpestabile rimasta nel mondo riconducibile con certezza a Leonardo), avvenne nel 1999 in un piccolo spazio verde della Casa degli Atellani, dopo che Luca Maroni, aveva studiato minuziosamente un fascicolo contenente una raccolta di brani tratti dagli scritti di Leonardo.

Il vigneto donato all’artista da Ludovico il Moro per i servigi ricevuti

In questi scritti si parlava di una vigna a Milano donata all’artista da Ludovico il Moro, come parziale ricompensa per un lavoro svolto ai suoi servigi. Maroni cominciò a studiare tutti i più importanti documenti su Leonardo, andando ad approfondire sempre di più ogni lato della sua vita e i passi che portarono all’acquisizione della vigna, arrivando ad appurare, che questa donazione da parte di Ludovico il Moro, avvenne in corrispondenza con la conclusione del suo più grande dipinto: l’ultima cena. Il terreno, infatti, è situato a pochi metri in linea d’aria dalla sala dove l’artista dipinse, molto probabilmente, il suo famoso affresco.

Il terreno risulta l’unico bene immobiliare appartenente al Maestro ed è esplicitamente citato nel suo testamento. La vigna misurava circa un 1 ettaro, 15 pertiche e tra quarti per usare l’unità di misura dell’epoca.

Una volta individuato con certezza il terreno nel giardino della Casa degli Atellani a Milano, si avviarono gli scavi. Si trovò intatto il vialetto ai lati del quale era piantata la vigna di Leonardo, ma serviva trovare soprattutto le radici delle vigne, e per rintracciarle bisognava allo stesso tempo trovare l’intersezione del vialetto orizzontale con quello verticale.

Finalmente le ricerche diedero risultati incoraggianti, i resti di antiche radici furono affidati per analisi specifiche al CETAS, Centro di Tecnologie Agrarie Avanzate in Serra a Tavazzano Villavesco (LO), sezione sperimentale della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. Di lì cominciò il recupero filologico della vigna, attraverso l’analisi del DNA. Per individuare quali furono le varietà di vite originariamente piantate da Leonardo, venne coinvolto il professor Attilio Scienza, autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche su riviste e atti di convegni internazionali e nazionali e su manuali e monografie scientifiche nazionali ed internazionali prevalentemente dedicati alla vite e alla viticoltura. L’analisi del DNA fu chiaro, l’uva usata da Leonardo era la Malvasia di Candia Aromatica.

Cominciò quindi a mano a mano il reimpianto della vigna, che risultava avere un’aderenza genotipica con l’originale. Tutto prendeva forma.  Le viti furono reimpiantate, bagnate e festeggiate con la Malvasia Dolce dei colli Piacentini, e di lì a poco cominciarono a crescere di nuovo, proprio lì, dove circa 500 anni fa il Leonardo agronomo ed enologo aveva dato vita alla sua personale vigna usando il così detto “Metodo Leonardo” che consisteva nell’ottimizzare la qualità dell’uva e la tecnica della sua trasformazione, un metodo unico nel suo genere, specialmente per quell’epoca.

Per Leonardo il vino elevava l’anima verso il cervello

Anche la storia che precede l’impianto della vigna a Milano è molto interessante. Leonardo apprezzava il vino. Nei suoi scritti, gli dedica attenzioni lusinghiere: “il beuto vino elevò l’anima sua inverso il celabro”(cervello). Il Maestro riconosce al vino un ruolo che ha un qualcosa di spirituale, nutrizionale e sensoriale, che lo accompagna quotidianamente in tutti i suoi straordinari lavori. Nei suoi numerosi scritti lo definisce come “divino licore dell’uva”, ama il vino, figlio della natura, che egli venera più di ogni altra cosa.

La passione di Leonardo per il mondo del vino risale verosimilmente alla sua gioventù, quando, trascorreva diverso tempo ad ammirare il paesaggio e le campagne di Vinci, vocate alla viticoltura fin dai suoi tempi.  Sono situate, infatti, al centro delle pendici del versante occidentale del Montalbano e orientate verso la costa tirrenica, con un’esposizione al sole pieno di sud/sud-ovest. L’altezza sul livello del mare è di circa 100 metri e la distanza in linea d’aria, circa 50km. Una posizione perfetta che ingenera e favorisce circolazioni d’aria fresca e temperata, che protegge dalle gelate e favorisce la sanità e la maturazione delle uve, insomma un’area con delle caratteristiche climatiche uniche.

Non solo artista ma anticipò di 500 anni i metodi di lavorazione del vino

Nel rapporto tra Leonardo e il vino c’è una tappa fondamentale. Proprio durante un suo viaggio in Emilia Romagna, ebbe la possibilità di approfondire diversi aspetti dell’enologia, e di confrontare i vini Sangiovesi dei colli di Firenze, con i vini allora prodotti in Romagna. In particolare qui Leonardo viene colpito dal diverso sistema di appendimento dell’uva che consente l’essiccamento dei grappoli e che raffigurerà in un secondo momento con uno schizzo, l’unico a riguardo.

C’è infine anche un Leonardo degustatore, che nei suoi scritti descrive le emozioni sensoriali lasciategli dal vino subito dopo averlo assaggiato. Insomma l’artista fu un pioniere anche in questo settore, dettagliando con 500 anni di anticipo come allevare la vite, come fermentare il mosto in botti chiuse così da evitare l’ossidazione dell’aroma e allo stesso tempo suggerendo di travasare spesso e con cura il vino di vaso in vaso, così da non tenerlo a contatto con i residui di fermentazione.

La scoperta del vigneto di Leonardo potrà avere importanti risvolti, per il mondo vinicolo italiano. C’è da sperare infatti che possa aprire le porte alla riesumazione di altri vitigni storici, valorizzando quelli autoctoni che altrimenti andrebbero persi e riscoprendone il valore.

Se anche non si potrà al momento assaggiare il vino di Leonardo chi si trovi a Milano potrà passare davanti alla Casa degli Atellani, e scrutando il giardino intravedere il nuovo e suggestivo vigneto, e immaginare Leonardo in quel luogo, 500 anni fa, mentre passeggiava nel giardino e si prendeva cura delle sue vigne.

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