Gli eccessi del Carnevale odierno sono senza dubbio molto più miti del carnevale medioevale. Esso si colloca in un periodo dell’anno tra il solstizio di inverno e gli albori della primavera; in questo tempo di passaggio erano ancora forti le paure per la fecondità del nuovo anno agrario dovute al dominio del buio celeste sulla luce.
Le prime notizie ci pervengono attraverso la voluminosa opera latina dei Saturnali che erano celebrati a ridosso del Natale attuale. Macrobio, con riferimento a Saturno cui erano dedicate le feste dei Saturnali, afferma […]”sta ad indicare come egli sia il tempo da cui alternativamente le cose tutte sono generate e distrutte e di nuovo da lui rinascono”[…], (“similiter significatur eum tempus esse, a quo vicibus cuncta gignantur absumanturque et ex deo denuo renascantur”)(Sat. I, 8, 9).
La Chiesa introduce nel mese di febbraio la festa della Candelora, durante la quale si benedivano le candele, con un forte richiamo alla luce celeste, nel tentativo di domare gli eccessi dovuti ai roghi di fantocci che tristemente rimandavano agli spiriti maligni, oltre che per limitare le corse per le vie della città, portando candele accese in onore della dea Februa.
In questo contesto viene inserita in gennaio la festa di S. Antonio Abate il quale conserva l’ambivalenza nel racconto leggendario; egli infatti non solo riporta sulla terra il fuoco sottratto all’inferno, ma si accompagna per tradizione al maiale che fornisce dell’ottimo grasso per produrre unguenti.
Ancora oggi l’ordine dei monaci Antoniti produce unguenti per la pelle a partire dal grasso di maiale. L’uccisione del maiale era un rito propiziatorio che già era comune nell’antica Roma come ci testimonia Macrobio nei suoi Saturnali […]”il dodicesimo giorno prima della calende di gennaio si offrono sacrifici ad Ercole e Cerere con una scrofa gravida, pane e vino mielato”[…](Sat. III, 11, 10).
Il carnevale esprimeva il totale sovvertimento di tutte le regole sociali; già in epoca romana […]”le matrone servivano la cena agli schiavi, come fanno i padroni durante i Saturnali”[…](“et servis cenas adponebant matronae ut domini Saturnalibus”)(Sat. I, 12, 7).
L’esagerazione in ogni espressione del corpo umano era la regola: violenze, gioco d’azzardo, ubriachezza e sesso sfrenato; le città erano attraversate da bande di giovani mascherati che facevano questue.
Già Cesario di Arles (470-543) condannava come sacrileghi quei riti che durante le calende di gennaio facevano sembrare gli uomini dei demoni, ed esorta a non permettere che “uomini mascherati da cervo o da giovenca o qualsiasi altra mostruosità vengano di fronte alle vostre abitazioni” (“cervulum, sive juvencam, aut alia quaelibet portenta, ante domos venire”).
In molte occasioni il Carnevale è stata la miccia per insurrezioni popolari poi difficili da sedare.
Il clima del Carnevale è perfettamente tratteggiato da un particolare del dipinto di Bruegel ove è sintetizzata l’antitesi tra la carne (salsicce, pollo) cotta con fuoco vivo, orgogliosamente brandita da un rubicondo villano simbolo del Carnevale ed il pesce, in quantità molto più ridotta, simbolo della quaresima, associato a persone magre e pallide.
.L’esagerazione del cibo è un aspetto irrinunciabile del Carnevale ove vengono ribaltate tutte le regole di una corretta alimentazione.
Lo spreco è la regola rituale, in antitesi alla realtà quotidiana dura, carente sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo; disporre di abbondante cibo per mangiarlo o sprecarlo genera coesione sociale poiché il Carnevale è una festa collettiva e, se non lo si può acquistare, si poteva sempre organizzare una questua cui i poveri destinatari non potevano sottrarsi. Il consumo del cibo viene in tal modo sovvertito.
Dal ché si può schematizzare che il Cibo viene concepito in Inverno come Frugalità a scopo conservazione, a Carnevale come Abbondanza a scopo di spreco, in Quaresima come Frugalità a scopo di digiuno. Parimenti per la Carne abbiamo in Inverno un Consumo moderato, a Carnevale un Consumo smodato, in Quaresima è assente
Il Carnevale nasce come rito di popolo il quale non ha altro modo di esagerare a tavola se non quello di arricchirne il contenuto calorico mediante la frittura. Ecco allora che una semplice sfoglia di acqua e farina utilizzata per delle comuni lagane, se aggiunte di strutto possono diventare delle gustose frappe, meglio se aggiunte di qualche uovo.
L’ampia diffusione della chiacchiera, che nelle varie regioni assume denominazioni diverse, testimonia questa conversione gastronomica da “sfoglia” a dolce carnascialesco. Lo zucchero è senza dubbio un’aggiunta posteriore soprattutto quando il carnevale si “urbanizza” ed accede nelle abitazioni più abbienti.
Non mancano le preparazioni realizzate con i ciccioli, residui della lavorazione dello strutto, ma più in generale il carnevale era il tempo in cui si poteva e si doveva consumare la carne poiché essa era carente durante tutto l’anno.
Agli angoli delle strade era possibile acquistare frittelle rigorosamente fritte nello strutto al punto che a Venezia era sorta l’associazione dei ‘fritoleri’; in altri periodi dell’anno lungo le strade si potevano acquistare delle semplici focaccine ottenute per coagulazione a caldo di una pastella all’interno di un ferro caldo, come è possibile osservare nel dipinto del Bruegel.
La mattazione del maiale in gennaio, in occasione delle festività di S. Antonio Abate, era in grado di supportare questo accresciuto consumo di carne e grasso che era poi trasformato in salsicce e sanguinacci.
Le cotture a fuoco vivo sostituiscono le quotidiane cotture in umido ottenendo così sapori più decisi e marcati a palato. Oltre all’eccesso di proteine e grassi il carnevale, nella sua forma più ancestrale, era caratterizzato da eccessi di zuccheri soprattutto nell’uso esagerato del miele o del mosto cotto, poiché la dieta quotidiana era caratterizzata dal sapore amaro o acido delle verdure, degli ortaggi e delle erbe di campo nelle minestre. Semplici impasti di acqua e farina che durate l’anno erano gli ingredienti di semplici polente, addizionate di legumi e porri, diventano a Carnevale delle gustose frittelle dolci e croccanti.
Siamo debitori al maiale se la nostra cultura ha potuto realizzare i propri eccessi a tavola.
Di seguito le denominazioni locali della “chiacchiera”
Sicilia Nacatola
Abruzzo Frappe
Marche Sfrappe/fiocchetti
Veneto Crostoli/galani
Lombardia Lattughe
Piemonte Bugie
Toscana Cenci
Lazio Frappe
Sardegna orillettas