L’Unione Europea si muove da tempo verso la transizione sostenibile e il passo si è ora accelerato, prima con il Green Deal europeo (Egd) e poi con le forti connotazioni green (es. Next Generation EU) e social (es. Sure) inserite nei programmi di rilancio dalla crisi COVID-19. Gli ottimisti pensano che, oltre a essere necessario per salvaguardare il futuro, divenire sostenibili conferisca all’Europa un vero e proprio vantaggio competitivo in un mondo in cui la domanda si sposterà sempre più nel consumo verso prodotti green e nell’investimento verso attività finanziarie emesse da imprese sostenibili. I pessimisti, invece, credono che la politica UE per la transizione sostenibile imponga costi esosi e ingiustificati.
Chi ha ragione? Proviamo a rispondere valutando se le imprese europee hanno acquisito un vantaggio su quelle statunitensi, frenate anche dalla parentesi di Trump, in un segmento assai emblematico e dinamico, quello della finanza sostenibile.
La finanza sostenibile consta di varie componenti: la più dinamica è quella dei fondi SRI – Sustainable & Responsible Investment Funds – le cui strategie di investimento usano tipicamente i rating ESG. Si tratta di un’area in forte crescita e le stime in circolazione collocano gli investimenti ESG a livelli stratosferici: potrebbero arrivare a 35 trilioni di dollari nel 2025. Perciò, data questa crescita impetuosa, oggi la competitività dipende anche da come le aziende sono posizionate per attingere ai mercati della finanza sostenibile. Infatti, per un’impresa il rating ESG misura la performance nel gestire i rischi ambientali (E – Environmental), quelli sociali (S – Social) e quelli della propria amministrazione (G – Governance).
Ebbene, confrontando le società statunitensi quotate nell’S&P500 con un gruppo simile di società europee quotate in borsa, si dimostra che in media le società quotate UE godono di rating ESG superiori del 14% rispetto alle società statunitensi (64,43 per le europee contro 56,37 per le statunitensi). Volendo scomporlo, il vantaggio delle aziende europee è massimo nella componente E-Environmental (+22,5%; 63,08 contro 51,48), intermedio nella componente S-Social (+16,0%; 68,35 contro 58,90) e trascurabile nella componente G-Governance (+0,4%; 59,88 contro 59,66). Inoltre, si dimostra che il vantaggio dell’UE non dipende dalla diversa composizione settoriale dell’insieme delle società dell’UE che, al massimo assegnerebbe alle aziende europee un +0,64% rispetto a quelle statunitensi. Invece, si trova che il vantaggio UE è legato al fatto che le aziende UE più spesso delle loro omologhe statunitensi si impegnano a fornire rapporti di sostenibilità e forniscono rapporti di sostenibilità di migliore qualità.
Infatti, ancor prima che in Europa andasse a regime la direttiva n. 2014/95/EU sulla rendicontazione non finanziaria, tra il 2011 e il 2017 quasi i due terzi delle aziende europee quotate considerate nell’analisi (62,29%) redigevano report di sostenibilità secondo lo schema GRI (Global Reporting Initiative) mentre lo faceva meno della metà (44,86%) delle statunitensi. Inoltre, stimando la qualità dei report GRI – cioè di quanto le aziende scelgono modalità di reporting più o meno avanzate – si stima che il report medio europeo è dell’8,51% più accurato di quello statunitense.
Questi risultati confermano che le politiche UE a favore della sostenibilità possono fruttare offrendo alle aziende europee vantaggi nell’accesso alla finanza sostenibile. Dunque, almeno in questo campo, hanno ragione gli ottimisti.
°°°° I lettori interessati possono trovare ulteriori dettagli sul numero di dicembre 2020 del Report on Saving and Sustainable Finance.