I rischi sono modesti, la redditività elevata. Due qualità che da sole giustificano l’attenzione per il settore delle torri di trasmissione, “il settore più sexy del momento”, come ebbe a definirlo ad agosto il ceo di Vodafone, Nick Read. “Ho avuto – spiegò allora al Financial Times – tanti contatti con i protagonisti del settore, che hanno cercato di convincermi che per noi sarebbe stato meglio far cassa e lasciare il campo agli specialisti. Ma anche noi siamo specialisti”. E così mister Read, partito con l’idea di racimolare con la vendita delle 68.000 torri distribuite in tutta Europa una parte dei quattrini necessari sia al 5G che a ridurre i debiti del colosso inglese, si è convertito all’idea di non uscire dal gioco delle Torri. Di qui l’idea di procedere alla quotazione in Borsa di Vantage Towers, protagonista ieri dell’Investor Day di Francoforte, in vista di un’Ipo che, secondo le previsioni, promette di essere la più importante d’Europa, con una raccolta di 4 miliardi di sterline per il 20 % della società, stimata attorno ai 17-18 miliardi di euro (una valutazione giustificata da un ebitda pari al 56%, ovvero più del doppio di quanto raccoglie la casa madre, leader incontrastato delle tlc).
L’operazione cade pochi giorni dopo il colpo che ha cambiato i connotati del settore: Cellnex, la società di Barcellona finita nell’orbita di Edizione Holding nell’ambito dell’intesa con Abertis, ha staccato un assegno di 10 miliardi di euro per rilevare le torri europee di Hutchison, il colosso di Hong Kong. Un deal storico, ma che probabilmente non sazia gli appetiti del gruppo presieduto da Franco Bernabé che negli ultimi cinque anni ha comprato la rete della francese Iliad sfidando la concorrenza di American Towers.
Sia in Asia che in Usa, il settore è al 90% in mano agli specialisti delle Torri, mentre in Europa la percentuale non supera il 60%. Il motivo? In parte è legato alla geografia (assai più contrastata delle pianure americane), in parte alla storia stessa delle tlc. Le torri sono state necessarie per aiutare lo sviluppo dei singoli operatori, costretti a confrontarsi con una concorrenza presente sui vari territori. In Europa, al contrario, la cultura del settore l’hanno fatta gli ingegneri a caccia di soluzioni tecniche in un regime di monopolio pubblico, meno sensibile alle esigenze della finanza. Fino ai tempi più recenti, quando la minor redditività ha costretto le telecom a puntare sul condominio delle reti secondo la strada indicata da Patrick Drahi, il funambolico proprietario di Altice, il primo a cedere partecipazioni di minoranza in Francia e Portogallo.
Il gioco delle Torri, insomma, presenta più attori. Da una parte gli specialisti alla Cellnex, pronti a replicare il modello americano (l’Asia non fa testo perché lì le torri sono al 100 % in mano ai gestori). Dall’altra l’Europa dove Stéphane Richard di Orange ha lanciato l’idea di una super società delle torri tra Vodafone, Deutsche Telekom e la stessa Orange, in cui raggruppare le varie società con l’obiettivo di far cassa vendendo quote di minoranza senza però perdere una preziosa cash cow. Sul modello della nostra Inwit, condominio tra due ex nemici (Vodafone e Tim) costretti ad andare d’accordo per motivi di cassa. Anzi di 5G. Su un punto, infatti, tutti sembrano d’accordo: nessuno può permettersi di fare da solo di fronte alla necessità di abbassare i costi e aumentare la qualità, come richiede la sfida tecnologica in un ambiente che resta molto competitivo.