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I tortellini bolognesi e l’ossessione dell’identità

Il nuovo libro di Maurizio Bettini, “Hai sbagliato foresta”, mette a fuoco l’ossessione identitaria che caratterizza i nostri tempi e che si manifestò in modo grottesco nella disputa bolognese sul tortellino di san Petronio ma spesso genera vere tragedie – Cosa insegna il caso recentissimo di Kamala Harris

I tortellini bolognesi e l’ossessione dell’identità

Forse non soltanto i bolognesi ricordano il tortellino di San Petronio: nel giorno della festa del patrono il Comitato per le celebrazioni offrì tortellini al pollo e non al maiale, una cortesia per saziare anche i concittadini musulmani. Fioccarono le proteste, quello non era il “vero” tortellino, era un «tradimento dell’identità culinaria» secondo le parole di Pier Ferdinando Casini. In sé preoccupante se non comica, la vicenda trova una conclusione tranquillizzante nelle pagine del libro Hai sbagliato foresta di Maurizio Bettini, (Il Mulino, 168 pagine, 14 euro) che prende il titolo da una quartina del poeta Giorgio Caproni: «Non chieder più/Nulla per te qui resta./Non sei della tribù./Hai sbagliato foresta», dove è chiaro che noi siamo qui, nella nostra foresta, e gli altri, i diversi, non graditi, non varchino il confine.

Come dire che, se porgiamo ai musulmani il tortellino a loro modo, perpetriamo un tradimento e commettiamo una violazione dell’identità. Bettini ci tranquillizza: nel volume Apicio moderno di Francesco Leonardi, stampato nel 1807 (Apicio, precursore latino di Artusi, era un ghiottone che scriveva ricette) il tortellino bolognese è prescritto con carne di pollo. L’episodio è uno dei più pittoreschi tra i tanti che costellano il libro a illustrare l’ossessione identitaria che pesa sulla convivenza, sugli scambi culturali e sull’evoluzione delle civiltà (questa, spiega Bettini, non esiste senza un confronto, senza un idem e un alter, le parole che rappresentano i precursori latini dai quali discendono l’identità e l’alterità).

Certo il cibo, onnipresente nelle nostre giornate, è potentemente investito dall’ossessione identitaria, e lo mostrano l’avversione diffusa per certe importazioni come i menu di McDonald’s e i caffè di Starbucks, oppure la frenesia del prodotto 100 per cento italiano sugli scaffali dei supermercati, nei negozi di ogni categoria merceologica, nella pubblicità e altrove. Lo dimostrano certe illusioni prospettiche, certe dimenticanze: la pizza, gli spaghetti, che sventolano come italiche bandiere nel mondo, non esistono senza il pomodoro, un ortaggio originario delle Americhe e tutt’altro che identitario.  

Quella del cibo non è però l’unica area, forse la più innocua, nella quale si esercitano i maniaci dell’identità che, come leggiamo in Hai sbagliato foresta, ha «origine in ambito teologico» e richiama alla purezza: quando identità e alterità vengono a contatto producono contaminazione e perciò impurità. Esistono all’opposto aree dove l’ossessione identitaria genera tragedia: quando è etnica, finisce in massacri come recupero della purezza, conduce allo stupro che è contaminazione, come è accaduto in Uganda o in Kosovo. Una versione da commedia all’italiana di “pulizia etnica” l’ha fornita l’allora sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini quando invocava la purezza della razza canina locale, scoraggiando le importazioni di cani stranieri.

Da filologo classico, Bettini va alle radici antiche dell’ossessione identitaria, per muoversi di seguito nel tempo e nello spazio senza limiti disciplinari e con spirito di osservazione, senza lasciare troppi angoli inesplorati. L’osservazione della realtà suggerisce che no, «l’Italia non è una foresta circondata da nemici contro i quali esercitare il diritto di legittima difesa» la quale, ad esempio, è uno dei cavalli di battaglia degli identitari che, presi da smania e terrore, ci vorrebbero armati contro il crimine, che sarebbe un tipico costume di altri, soprattutto se neri, zingari e diversi.

Da Dante a Matteo Salvini (l’accostamento è certo indebito in quanto contaminante) parlano in queste pagine i sapienti e i  propagandisti: «Chiunque ragiona in modo così ripugnante da credere che il posto dov’è nato sia il più delizioso che esiste sotto il sole, costui stima anche la sua lingua materna al di sopra di tutte le altre…» si legge con parole sapienti in De vulgari eloquentia, ma il capo della Lega proclama in una delle sue propagande: «…io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani, preferisco mangiare italiano, aiutare gli agricoltori italiani». Se il primo, Dante, trova sparuti seguaci ancora capaci di leggere, il secondo, Salvini, aggrega un corteo di popolo che non legge ma guarda e ascolta perché, come osserva Bettini, l’ossessione identitaria è capillarmente diffusa e alimentata dalla “mediosfera”, grazie alle moderne tecnologie di comunicazione. 

Vale la pena di riflettere, tra i tanti aspetti, sulla percezione contradditoria che il popolo ha del migrante e del turista, due categorie di persone pronte a scattare dentro la foresta, unite da somiglianze (occupano i “nostri spazi”, introducono abitudini stravaganti, «parte di loro vive in case mobili, camper o roulotte, alla maniera dei Rom») e divisi da differenze (chi porta denaro e chi succhia il nostro, e però «il turista non è sentito come gerarchicamente inferiore al residente»).  

E se gli “altri” sono troppi – vero o falso, ma in Italia più falso che vero – scatta il panico identitario, che Bettini racconta in maniera scintillante come scatenato nell’urlo del dio greco Pan, signore del terrore e dei deliri, capace di annebbiare le menti al punto che – sono casi di cronaca – quando a Torino una giovane dice di essere stata stuprata dai Rom non può che essere vero, anche se si è inventata tutto; se a Roma un carabiniere viene accoltellato è colpa di un africano e non di un affluente turista americano.

Alla conclusione del movimentato viaggio attraverso l’ossessione identitaria, Bettini avverte che è inutile aprire un dibattito con gli identitari, non sentono e non ascoltano. Vale la pena invece di confutare senza sosta rivolgendosi alla “zona grigia”, a coloro che non ci hanno pensato, che sono recuperabili ai dati della realtà. Come per esempio – questo non lo suggerisce Bettini ma è un caso vero – quel militante duro e puro della sinistra che, non avendo letto il De vulgari eloquentia, fa circolare un video di visititaly ed esorta gli amici a commuoversi insieme a lui davanti a quelle immagini ovvie (la laguna di Venezia), fasulle (un’improbabile nave di Cristoforo Colombo), discutibili (gli italiani sarebbero campioni di integrazione), dense di errori fattuali (gli italiani hanno inventato il teatro) e frasi fuorvianti («un tempo dominavamo sulla Francia e sull’Inghilterra»).

L’ossessione identitaria non è appannaggio esclusivo della destra ma è andata oltre se, all’indomani delle elezioni americane, circolavano esultanti messaggi sull’identità di Kamala Harris, prossima vicepresidente di Joe Biden; meno male che è una donna, meno male che è afro indo americana, trascurando del tutto il fatto che forse è dotata di idee progressiste, che forse ha esperienza giuridica e politica, cosa un po’ più importante. Come il Covid19, l’ossessione identitaria contagia alla cieca e, come ha sottolineato qualche acuto osservatore, anche la sinistra è innamorata delle categorie, con la differenza che parteggia per gli altri, per quelli che “sbagliano foresta”.

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