Condividi

Cortale, un fagiolo per cinque ricette, Fregoli della cucina, è presidio Slow Food

Coltivato in un piccolo paese della Calabria si presenta in cinque ecotipi, ognuno adatto a una ricetta diversa: lesso, con la pasta , con le scilatelle, con la zuppa, nella fagiolata, Un’opportunità per i giovani per ripensare l’agricoltura

Cortale, un fagiolo per cinque ricette, Fregoli della cucina, è presidio Slow Food

E’ il caso di dire: un fagiolo per tutte le occasioni. Il suo nome è Cortale, ma si presenta come una sorta di Fregoli della cucina, sotto cinque varietà differenti ognuna adatta a una ricetta diversa: lesso, con la pasta , con le scilatelle, con la zuppa, nella fagiolata,

A dare il nome a questo prodigio di trasformismo culinario è un piccolo centro calabrese, Cortale per l’appunto, poco meno di duemila abitanti nel centro dell’istmo di Catanzaro, il punto più stretto della Calabria che guarda il Mar Ionio, a est, e il Mar Tirreno, a ovest, posto tra il torrente Pilla e il fiume Pesipe: un’area particolarmente fertile, ricca di acqua, storicamente vocata all’olivicoltura e alla coltivazione di grano, mais, ortaggi e soprattutto dei rinomati fagioli.

Il Fagiolo di Cortale ha una lunga storia ed è strettamente connaturato alla realtà contadina di quest’area del paese.

Il senatore Antonio Cefaly, nelle sue Memorie, nel 1880 scrive: “Il contadino coltivatore di questo mandamento (…) si ciba di solo pane di granone ed alla sera mangia in seno alla sua famiglia una minestra di erbe e per lo più di patate o fagiuoli – un terzo di chilo – con scarsissimo o nessun condimento”.

Un bene prezioso per le genti di queste parti che, quando si dovevano scegliere i fagioli da piantare per la semina dell’anno successivo, erano usi invitare a casa propria l’intera famiglia, sedersi attorno al tavolo tutti insieme e scegliere i legumi migliori. Così un momento di convivialità diventava una festa, tipica di queste popolazioni rurali.

Eppure questo incredibile patrimonio di biodiversità stava scivolando lentamente verso l’estinzione parallelamente alla scomparsa dei vecchi contadini che avevano mantenuto in vita la tradizione.

Fortunatamente questa discesa si è ora interrotta con l’inserimento del Cortale fra i presidi Slow Food.

“Di queste colture si ha notizia fin dagli anni Trenta del Novecento” spiega Alberto Carpino, referente per la Calabria dei Presìdi Slow Food, e secondo alcuni documenti anche in epoche più lontane, databili intorno alla fine dell’Ottocento.

Di certo c’è che il territorio ha una profonda vocazione per i fagioli, un legame testimoniato dai molti utilizzi in cucina da parte delle famiglie di quest’area. Per ogni varietà c’è una ricetta tipica: la cocò gialla si gusta lessa e condita con un filo d’olio extravergine d’oliva, mentre la reginella si sposa alla perfezione con la pasta corta. La cannellina si cucina spesso con le scilatelle, tipico primo piatto calabrese; le cocò, invece, si esprimono bene nella tradizionale zuppa di funghi e fagioli.

E poi, naturalmente, c’è la fagiolata: “L’immagine alla quale sono più legato è un ricordo di quand’ero bambino: quella della pignatta, il contenitore di terracotta utilizzato per cuocere i fagioli sul camino di casa” ammette Carpino.

Scendendo nei particolari la varietà Cocò bianca, ha un gusto tra il dolciastro ed il sapido, con tempi di cottura relativamente brevi, tende a sfarinarsi, divenendo cremosa e presenta un indice di digeribilità alto. Per la Cocò gialla invece i tempi di cottura si allungano, assume un colore rosso intenso con polpa consistente, e il gusto è tra il dolciastro ed il sapido. I cannellini maggiormente coltivati si seminano a mano a spaglio da giugno in poi, Le altre varietà sono tardive. Quando le piante giungono a maturazione vengono estirpate, raggruppate in mazzetti e appese su fili tesi oppure sugli alberi di fico più vicini. Battuti e agitati nei “crivi” e selezionati a mano per la vendita. Quindi i fagioli vengono adagiati al sole o in serra tunnel su teli per l’essiccazione completa per essere poi conservati nei sacchi di yuta, in cassette o in ceste.

Nonostante i molti utilizzi, negli scorsi decenni la produzione è andata però lentamente diminuendo, a causa dello spopolamento e dell’arrivo di altre varietà di fagioli. Le superfici coltivate (tutte in biologico) rimangono tuttavia ancora piuttosto ridotte, non superano i 10 ettari.

Negli ultimi anni, tuttavia, l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco e agronomo Francesco Scalfaro, ha valorizzato i semi conservati dai contadini custodi, scommettendo sul progetto del Presidio Slow Food come strumento di valorizzazione del prodotto e del territorio, della protezione della biodiversità e della tutela dei produttori, che oggi sono una dozzina.

“La prima persona a parlarmi di questo fagiolo è stata una signora di Cortale, una produttrice che qualche anno fa mi spiegò di come la sua famiglia coltivasse i fagioli da generazioni, ma sempre con un metodo molto artigianale, senza alcun aiuto della tecnologia” ricorda Mariangela Costantino, referente per la biodiversità della condotta Slow Food di Lamezia Terme. La semina, la raccolta, la battitura e la “spulicatura”, cioè la selezione dei fagioli migliori, avvengono infatti manualmente.

Adottare un metodo di produzione così spiccatamente manuale, o addirittura “arcaico” se da un lato rappresenta una peculiarità certamente da conservare, dall’altra può rappresentare anche un rischio: “Il fatto che la produzione non fosse assicurata da vere realtà economiche, ma da persone spesso anziane che coltivano queste varietà soltanto per arrotondare lo stipendio vendendo i fagioli alle fiere di paese, quando non per mera passione, ha fatto sorgere il timore che questo patrimonio gastronomico, culturale e sociale potesse andare perduto” aggiunge Costantino.

Scongiurare questo pericolo è lo scopo della Comunità Slow Food del Presidio fagioli di Cortale, a cui aderiscono i produttori, quattro ristoratori e altrettanti sostenitori: “L’obiettivo è far crescere la consapevolezza del valore che hanno questa terra e questa coltivazione, e al contempo anche mettere in guardia dal rischio di perderlo – prosegue Costantino – Vogliamo invogliare i produttori a investire in una linea di lavorazione, introducendo macchinari come seminatrici di precisione e facendo sì che condividano queste tecnologie tra di loro”.

Non si tratta di stravolgere il modo di lavorare, ma di favorire l’utilizzo di alcune strumentazioni affinché quella dei fagioli di Cortale sia un’attività che assicuri un reddito: “Se le persone del posto intendono dare un futuro a questa produzione, l’utilizzo di macchinari che agevolano la lavorazione in tutte le sue fasi è indispensabile, così come un adeguato packaging per la commercializzazione del prodotto, che gli consenta di distinguersi e farsi riconoscere dal consumatore” – afferma dal canto suo Rosanna Caglioti, portavoce della Comunità.

“La pandemia di Covid-19 può rappresentare per molti giovani l’occasione di ripensare alle proprie abitudini e stili di vita, sposando questo progetto agricolo. Occorre però che vi siano concrete possibilità e opportuni condizioni per renderlo possibile”.

L’area di produzione dei fagioli di Cortale Presidio Slow Food comprende il comune di Cortale e alcune aree confinanti dei comuni di Jacurso, Maida e San Pietro a Maida, in provincia di Catanzaro.

Commenta