Per curiosa ironia della sorte, il referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari si tiene proprio in un giorno e in un anniversario simbolo dell’Italia: quel 20 settembre che 150 anni fa segnò la conquista di Roma da parte dell’esercito italiano attraverso la breccia di Porta Pia. Tra i due eventi non c’è evidentemente alcun rapporto diretto ma c’è un collegamento simbolico sì e chissà che anche la consultazione popolare di domani e dopo non lasci un piccolo segno nella storia del nostro Paese. Anzi, forse l’ha già lasciato, perché un referendum che, nelle speranze del fronte del SÌ, doveva essere una semplice passeggiata di conferma, è diventato, cammin facendo, tutt’altro.
Quale che sia il risultato finale, il fronte del NO – che non è solo quello del NO a una pessima legge ma è anche quello del NO al populismo e all’opportunismo della cattiva politica – ha già centrato il suo obiettivo, che era quello di ridare slancio al riformismo vero, smascherando le falsità di chi vorrebbe farci credere che, riducendo il numero dei parlamentari, si dà un colpo alla casta politica, si rafforza la democrazia, si rendono più efficienti le istituzioni e si fanno risparmi. Quattro bufale una più grande dell’altra che meriterebbero una sonora bocciatura popolare.
Come si fa a credere che basti la semplicistica riduzione dei parlamentari per rafforzare la democrazia e l’efficienza delle Camere se non si supera il bicameralismo paritario diversificando le funzioni dei due rami del Parlamento, se non si modificano i regolamenti parlamentari e se non si approva una nuova legge elettorale che sia in grado di dare stabilità ai governi e rappresentanza a tutte le forze politiche, anche le più scomode, e a tutti i territori del Paese?
Puntare solo sulla riduzione del numero dei parlamentari al di fuori di un disegno generale di riforma costituzionale è un po’ come voler costruire una casa partendo dal tetto anziché dalle fondamenta. Il tetto potrà anche essere ameno, ma senza le fondamenta la casa non sta in piedi. Il taglio dei parlamentari, come già avvertiva il presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini, non è un tabù, ma senza i necessari contrappesi rischia di essere non solo inutile ma dannoso. Perché dannoso? Perché se riduci a 200 i senatori e a 400 i deputati ma lasci alle due Camere le stesse identiche funzioni, non occorre essere Einstein per capire che il Senato, avendo la metà delle forze, non riuscirà a tenere il passo di Montecitorio e finirà presto ingolfato dai provvedimenti che non riuscirà ad approvare alla stessa velocità della Camera e manderà in tilt l’intero processo legislativo. “Meno non è affatto meglio”, avverte il politologo Gianfranco Pasquino.
Non ci vengano poi a dire che con meno parlamentari ci sarà più democrazia perché, come ha spiegato la politologa Nadia Urbinati, è vero il contrario, in quanto il potere si concentrerà verso l’alto e i parlamentari saranno maggiormente ostaggio delle segreterie dei partiti. Ma soprattutto, come ci ha ricordato l’ex ministro socialista Rino Formica nell’intervista rilasciata a FIRSTonline, il minor numero di parlamentari porta con sé il rischio di rendere più facilmente modificabile la Costituzione sulla base degli interessi contingenti di maggioranze occasionali, provvisorie ed effimere.
Quanto ai risparmi di spesa del taglio dei parlamentari, non è un caso che l’argomento sia scomparso dai radar del fronte del SÌ dopo che i calcoli dell’Osservatorio sui Conti pubblici guidato dal professor Carlo Cottarelli hanno dimostrato che i risparmi per ogni italiano sarebbero pari al prezzo di un solo caffè in tutto un anno. Si può mettere a rischio la Costituzione e il buon funzionamento della democrazia e del Parlamento solo per un caffè? Anche alla stravaganza c’è un limite.
Di fronte alla pochezza di argomenti del SÌ, il fronte del NO ha avuto il merito di mettere a nudo le contraddizioni della riduzione dei parlamentari ed è certamente incoraggiante che contro il taglio secco dei parlamentari si siano via via affacciate sulla scena voci di sinistra, di centro e di destra in un’onda trasversale che è cresciuta giorno dopo giorno e che sta a dimostrare che la parte più consapevole del Paese è pronta a sbarrare la strada al populismo e a rifiutare il tatticismo e l’opportunismo senza valori che l’hanno assecondato. Non era scontato ed è una piccola breccia nella cappa di conformismo e di qualunquismo che troppo spesso avvolgono il nostro Paese e che rappresenta la miglior eredità della campagna referendaria.