Prima c’è stata la sentenza della Corte di Giustizia europea che, di fatto, ha dato un colpo di piccone alla Legge Gasparri del 2004, poi le dichiarazioni del CFO di Mediaset, Marco Giordani, quando si è affrettato a dichiarare che il tema rete UBB è di loro interesse purché sia garantita la sua neutralità e l’efficienza ed ha poi aggiunto che per ora è prematuro parlarne, ma non appena ci saranno le condizioni sono pronti anche loro a far parte della partita. Infine, lo scorso giovedì il Cda Rai ha dato mandato con un voto unanime all’AD, Fabrizio Salini, di “chiedere di partecipare a iniziative e tavoli, in particolare della componente pubblica, sulla Rete Unica perché la Rai abbia un ruolo a garanzia della neutralità della rete e dello sviluppo delle infrastrutture”. Il filo comune tra i due soggetti, come si legge, è appunto la neutralità, cioè proprio il centro della contesa.
Ce n’è quanto basta per sostenere che la partita per la costituzione della società in grado di gestire la rete unica in fibra si sta mettendo tutta in salita. Per tutti i soggetti in campo, a partire da TIM che già dalle prime battute ne ha richiesto il controllo (Luigi Gubitosi, AD di TIM: favorevoli alla rete unica ma solo se abbiamo il controllo al 51%) e per finire con le parole di Franco Bassanini, presidente di Open Fiber che ha dichiarato “E’ fondamentale che sia indipendente, nei prossimi anni dovrà fare investimenti importanti” è ben chiaro che i tempi per dare operatività alla nuova AccessCo non saranno brevi e le buone intenzioni auspicate dal Governo Conte potrebbero infrangersi sugli scogli di una contingenza politica ed economica incerta e complessa.
Ed ora, con la “discesa in campo” di Mediaset e Rai, commentata con evidente perplessità dall’ex monopolista telefonico al Forum Ambrosetti di Cernobbio: “Se Netflix dicesse che vuole comprare il 2% della società delle Rete lo valuteremmo, ma non mi è evidente il vantaggio a partecipare da parte di un fruitore come Netflix, Rai o Mediaset” lo scenario si complica ulteriormente. Eppure i vantaggi per gli operatori broadcast sembrano essere del tutto evidenti: il traffico di contenuti audiovisivi fruito sulla rete è destinato a crescere in misura esponenziale nei prossimi anni (la stessa Open Fiber nel MoU sottoscritto ad aprile 2019 con la quotata Rai ha dichiarato “In Italia si stima che nel 2022 l’80% del traffico internet sarà video. In questo contesto, nuove piattaforme basate sulle reti a banda ultra larga, come quella che sta realizzando Open Fiber, rappresentano una realtà complementare rispetto alle reti di distribuzione tradizionali (digitale terrestre o satellite)”.
In particolare poi, per quanto riguarda Mediaset, con la trattativa in corso con i francesi di Vivendi (tra l’altro socio di maggioranza di TIM) con la sentenza di Bruxelles la partita acquista un rilievo ancora maggiore, premiato anche dalle performance del titolo in Borsa che è volato nei giorni scorsi a +7%. La sentenza di Bruxelles, di fatto, impone al Governo di rivedere la legge Gasparri del 2004 in quanto “contraria all’ordinamento giuridico dell’Unione”mettendo così una pietra tombale a quella parte del Tusmar (Testo Unico della radiotelevisione) e, in particolare, alla ripartizione di quote proprietarie previste all’art. 43 laddove si limita la compartecipazione tra società tra di servizi audiovisivi (con ricavi superiori al 10% del Sic) e società di TLC (con ricavi superiori al 40% nel settore). Per Cologno Monzese dunque la partecipazione alla rete unica rappresenta un indubbio vantaggio competitivo rispetto all’orizzonte a dir poco problematico che si intravvede sulla diffusione digitale terrestre, della quale anche su FirstOnline abbiamo scritto più volte.
Analogo il ragionamento per Viale Mazzini che però si apparecchia alla tavola della rete unica già in parte imbandita in ritardo e con diverse difficoltà. Il testo del comunicato parla di partecipazione a tavoli o iniziative ai quali, precedentemente, era stata esclusa: vedi gli Stati generali di giugno oppure le consultazioni informali via streaming di agosto. Il riferimento diretto è alle dichiarazioni del MISE che, all’indomani della sentenza di Bruxelles, ha prontamente dichiarato che sarà avviato un tavolo di confronto con tutti gli operatori. Per Rai si pone anzitutto un tema “identitario” dove l’operatore pubblico stenta a collocarsi come soggetto autorevole e propositivo.
Non a caso nei giorni scorsi si sono lette dichiarazioni di fonte governativa con la sottosegretaria Lorenza Bonaccorsi che ha dichiarato “Il management della Rai dovrà saper cogliere questa opportunità e immaginare un percorso ambizioso, innovativo. I nodi che oggi vengono al pettine, nel bel mezzo di una crisi globale, richiedono discontinuità e riaprono interrogativi sulle scelte del recente passato: dalla rivoluzione fallita del digitale terrestre alla mancata diffusione della tv via cavo, che in altri Paesi ha fatto da apripista alla diffusione della banda larga”. Si è poi aggiunto il senatore Primo Di Nicola del M5S che ha ribadito un suo punto fisso: “La Rai ha bisogno di una governance indipendente”. Per non dire poi delle continue minacce su canone e pubblicità che costantemente da più parti piovono sul tetto di Viale Mazzini (vedi recente sortita dei commissari della Vigilanza Giorgio Mulè (FI) e Michele Anzaldi (IV) per ridurre del 70% il fatturato pubblicitario).
Nel merito del comunicato del Cda di giovedì scorso abbiamo cercato di sapere qualcosa di più da Viale Mazzini ma non abbiamo ottenuto risultati apprezzabili. Avremmo voluto chiedere semplicemente quale progetto di partecipazione sulle rete unica gli amministratori Rai hanno in mente e, sostanzialmente, con quali risorse potrebbero sostenerlo, visto che le previsioni di bilancio per l’anno corrente e per quelli successivi non sembrano proprio essere sotto buone stelle. Sarebbe stato poi interessante conoscere quali sarebbero “i rischi e le opportunità future che il progetto di rete unica UBB rappresenta per la Rai”. Ma, evidentemente, anche per loro la partita è molto più complessa di quanto possa apparire.