Per chi studia i temi dell’energia, come facciamo noi da 30 anni, quello dell’idroelettrico è un mondo particolare. La più antica fonte di elettricità, alla base dello sviluppo industriale del Paese già due secoli fa, ha tutt’oggi – e avrà ancor più nel futuro – un ruolo centrale. Riduzione delle emissioni e contributo alla stabilità del sistema fanno dell’idroelettrico, e dei pompaggi in ispecie, una fonte con caratteristiche uniche e strategiche per la transizione energetica. Su questo punto sono sostanzialmente tutti d’accordo.
Tuttavia, questa convergenza non impedisce di dar luogo a una situazione di impasse ove ogni investimento per il futuro sembra congelato. Stiamo parlando di una decina di miliardi di euro al 2030 che sono oggi bloccati. Vediamo di capire il perché e quali possano essere le vie di uscita.
Tale impasse è sostanzialmente determinata dalle perplessità delle imprese sulla riforma del 2018 (DL Semplificazione, 135/2018) introdotta – a fronte delle pressioni dall’Europa – dal Governo Giallo-Verde e che prevede una crescita del ruolo delle Regioni nella governance del sistema idroelettrico e una crescita degli oneri a carico dei concessionari. Tuttavia, la questione vera sembrerebbe ruotare intorno al tema delle gare per il rinnovo delle concessioni, fortemente spinto dalla Commissione che ha posto in procedura di infrazione praticamente tutti i Paesi membri, e in particolare l’Italia.
Nell’agosto 2020 sono stati proposti emendamenti alla cosiddetta legge Semplificazioni attualmente in fase di approvazione (1 settembre 2020) per sostanzialmente smontare la riforma Giallo-Verde e, tra le altre cose, prorogare di un decennio le concessioni in essere. Alla data di stesura di queste note nessun emendamento è passato; utile al proposito è il parere contrario del Ministero degli Affari Europei qui riportato:
(…) l’emendamento stabilisce una proroga delle concessioni idroelettriche senza una chiara indicazione del termine finale e dunque presumibilmente censurabile dalla Commissione europea che, nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2011/2026, attualmente in fase di seconda costituzione in mora complementare ai sensi dell’art. 258 TFUE, ha già censurato la proroga prevista dal DL 14 dicembre 2018, n. 135 (DL Semplificazione), convertito dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12. La procedura è già a concreto rischio di aggravamento. In particolare, la proroga delle concessioni idroelettriche viene subordinata all’entrata in vigore di norme nazionali di attuazione di disposizione europee che “dovranno essere necessariamente emanate nel corso del prossimo futuro dalle istituzioni dell’Unione”. Ad oggi, tuttavia, non risulta ci sia una nuova normativa europea nel settore, né si può con sicurezza affermare che sussista una competenza dell’Unione a legiferare in materia. D’altro canto, esistono già norme europee (direttiva servizi e regole del mercato interno) applicabili alla materia di cui, comunque, occorre tenere conto. In ogni caso, il vincolo all’esercizio di una competenza normativa da parte dell’Unione non può provenire dal legislatore nazionale.
Crediamo che queste osservazioni non necessitino di commenti. Un punto però è chiaro: l’utilità e l’urgenza di ricercare soluzioni che:
- Siano accettabili dalle parti in gioco (Regioni, Imprese, Unione Europea, comunità locali, etc.);
- Consentano un rapido avvio degli investimenti;
- Tengano conto dell’assetto competitivo di fatto a livello europeo;
- Permettano una governance efficace ed equilibrata del sistema.
Il nodo delle concessioni scadute e in scadenza
Come è noto, le imprese che operano nelle cd grandi derivazioni idroelettriche basano la loro attività su delle concessioni la cui durata può variare significativamente. In molti casi le concessioni sono scadute o in via di scadenza, mentre nel caso dell’Enel e degli impianti da essa ceduti (come quelli valdostani o del Trentino-Alto Adige), le scadenze sono fissate nel 2029.
Realizzati e ammortizzati gli ingenti investimenti per le infrastrutture, l’idroelettrico ha consentito negli anni elevati livelli di redditività; ciò per l’assenza di costi variabili e per la possibilità di sfruttare i picchi di prezzo dell’elettricità in talune ore del giorno. Da un po’ di anni la redditività si è ridotta sia per il calo generalizzato dei prezzi di mercato dell’energia (il PUN), sia per la quasi scomparsa dei picchi di consumi e, non ultimo, per la costante crescita degli oneri concessori a favore di enti locali e delle Regioni. Proventi significativi sono tuttavia ancor oggi garantiti dai CV emessi negli scorsi anni a fronte di investimenti di rinnovo fatti qualche anno addietro.
Nel complesso, gli impianti idroelettrici sono piuttosto datati superando anche in certi casi il secolo. Spesso necessiterebbero di consistenti investimenti di ammodernamento e di manutenzioni straordinarie. Secondo recenti valutazioni di settore, che trovano indiretta conferma anche nel PNIEC, il fabbisogno al 2030 è stimabile in circa 10 miliardi di euro (poco meno di un miliardo di euro all’anno), per circa il 70% dedicati ai pompaggi (tema che Terna ritiene centrale in relazione alla transizione energetica) e per il resto destinati al recupero della capacità di accumulo degli invasi, alle realtà locali e alla sostenibilità ambientale. È per realizzare tali investimenti che le imprese chiedono una proroga delle concessioni di almeno 10 anni, specifici interventi di sostegno e alcune altre semplificazioni burocratiche.
Piano di rilancio e remunerazione degli investimenti
E qui si arriva al tema cruciale: appare oggi fondamentale mettere a punto un piano di rilancio complessivo di un sistema infrastrutturale idroelettrico che per l’età e per le specifiche caratteristiche necessita una modernizzazione decisa e una ampia serie di interventi soprattutto in una prospettiva di transizione energetica.
La realizzazione di questi interventi in molti casi richiede non solo esborsi significativi, ma anche la sospensione della produzione e dei relativi proventi talvolta per tempi non brevissimi. E le imprese sono restie a realizzare ogni iniziativa in una situazione di incertezza legata agli aspetti legislativi in generale e, in specie, alla remunerazione degli investimenti. In particolare, le questioni maggiori riguardano:
- Il recupero della capacità utile d’invaso originaria;
- La realizzazione di nuovi impianti di pompaggio;
- L’ammodernamento delle turbine e degli impianti accessori di produzione;
- Il recupero di impianti scarsamente utilizzati o abbandonati;
- La manutenzione straordinaria o il rifacimento delle condotte;
- La gestione digitale coordinata con le previsioni meteo della produzione e dei programmi delle manutenzioni predittive.
Secondo nostre stime sommarie, tratte però da casi concreti, gli interventi possono consentire recuperi di produttività da un minimo del 5% sino anche al 30%. Il che, su una produzione elettrica di circa 50.000 GWh significa un presumibile valore medio di 7.500 GWh che aiuterebbe tra l’altro a raggiungere gli obiettivi del PNIEC anche in relazione ai ritardi nella realizzazione degli impianti immaginati per le nuove rinnovabili.
È evidente che tutto ciò richiede azioni specifiche innanzi tutto di programmazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni e, dall’altro, di sostegno e di incentivazione alla realizzazione delle opere. E infine sono necessari anche adeguati sistemi di garanzia e di controllo in particolare da parte delle Regioni.
Ma come si è arrivati a questa situazione di impasse?
Come detto, nel 2018 anche a seguito delle ricordate pressioni comunitarie e per evitare rischi di infrazioni, è stata varata una legge dal Governo Giallo-Verde che affida la gestione delle concessioni alle Regioni, incluse le modalità di rinnovo comunque basate su processi competitivi. Le Regioni avrebbero dovuto recepire le indicazioni di tale norma entro marzo 2020, ma solo la Lombardia ha rispettato i tempi. Altre amministrazioni (Regione Piemonte, Regione Veneto, Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano) starebbero per legiferare.
In sostanza, la nuova legislazione fissa i seguenti principi fondamentali:
- La durata delle nuove concessioni viene fissata tra i venti e quaranta anni (più eventuale proroga di dieci anni);
- Il passaggio gratuito delle opere bagnate al patrimonio regionale;
- La valorizzazione delle opere asciutte da riconoscere al concessionario uscente;
- L’obbligo di comunicazione e trasparenza da parte del concessionario circa lo stato delle opere assegnate in gestione;
- La procedura competitiva nel caso della adozione del modello organizzativo della società mista o concessione;
- L’istituzione delle misure di compensazione e del canone a favore delle comunità locali.
Ciò ha generato delle reazioni piuttosto vivaci da parte delle imprese del settore le quali hanno trovato una (quasi) unanimità formale nell’opporsi a queste dinamiche. Contestualmente, il Governo impugnava la legge lombarda davanti alla Corte Costituzionale e rinviava a ottobre 2020 la scadenza delle promulgazione delle leggi regionali. Ciò provocava tuttavia una reprimenda dell’Antitrust la quale riconfermava quanto dichiarato in una formale segnalazione nel 2018 in cui aveva richiesto al Governo di provvedere nel più breve tempo possibile, all’espletamento delle procedure di gara; alla modifica dell’art. 12 del d.lgs. n. 79/99, nel senso di prevedere il trasferimento a titolo oneroso delle sole opere asciutte e la contestuale devoluzione gratuita delle opere bagnate al demanio statale, stigmatizzando i continui rinvii circa l’effettuazione delle gare per le concessioni scadute.
È improbabile che l’Europa faccia da sponda
Nell’animo di molti addetti ai lavori vi è l’auspicio che la Commissione europea applichi anche ai rinnovi delle concessioni idroelettriche la sospensione (molto parziale in verità) della normativa relativa agli aiuti di stato di cui alla Comunicazione del 3 aprile del 2020, emanata in seguito all’emergenza del COVID-19.
Il tema è quantomeno controverso, in considerazione anche della perdurante generale contrapposizione tra la stessa Commissione, rigidamente ancorata alle Direttive che tutelano la concorrenza, e gli Stati membri dell’Unione, assai più conservatori nel mantenimento dello status quo, circa l’obbligatorietà delle procedure competitive nella selezione dei concessionari.
A questo punto la questione ha assunto profili eminentemente politici investendo direttamente il Governo (e i Governi degli altri Stati) e la Commissione europea il cui esito, pur nella situazione emergenziale vigente, è difficile da prevedere.
Le linee di un piano di rilancio
Anche se non è agevole immaginare un piano di rilancio del comparto idrico nella situazione di cui si è detto, noi crediamo che i punti fondamentali siano i seguenti:
- Una ricognizione generale della situazione del comparto idroelettrico nazionale;
- Una messa a fuoco degli interventi possibili o necessari per il rilancio del settore, tenendo conto delle specificità delle singole situazioni locali;
- La quantificazione del fabbisogno di investimenti distinti per categoria e per orizzonte temporale;
- Stima dei relativi impatti/ritorni in termini di produttività, ambiente, flessibilità del sistema elettrico, ecc.;
- Fissazione delle priorità di intervento;
- Identificazione dei provvedimenti governativi e regolatori idonei a indirizzare le imprese e le amministrazioni locali e regionali nelle direzioni desiderate, agevolando i processi di investimento.
Questa impostazione può sembrare banale, e in effetti lo è, ma le logiche che fin qui hanno presieduto la governance del settore sono state molto diverse. Col nostro lavoro di ricerca ci siamo mossi nella logica indicata; tuttavia, in questa sede preme indicare una strada diversa, ancora da valutare in tutte le sue implicazioni, ma che potrebbe consentire il superamento di molte delle questioni succintamente descritte.
Sdemanializzare le opere bagnate?
Di seguito cerchiamo di riassumere i punti salienti di una discussione all’interno del nostro gruppo di ricerca avente l’obiettivo di ridurre gli ostacoli per una soluzione dell’impasse anche per favorire un rapido rilancio degli investimenti.
L’idea, inizialmente nata da uno degli scriventi anche sulla base di esperienze in altri settori, prende le mosse dall’ipotesi di sdemanializzazione di parte delle infrastrutture idroelettriche e cioè le cosiddette opere bagnate (che in vari casi sono già di proprietà privata). Tale passo dovrebbe essere previsto con legge dello Stato e concesso come facoltà alle Regioni titolari del patrimonio. La sdemanializzazione dovrebbe essere poi prodromica alla alienazione con cessione ai privati, con una facoltà di opzione a favore dell’attuale gestore e a un prezzo allineato al valore storico rivalutato delle opere. Rimarrebbero comunque saldamente in capo alle Regioni la autorizzazione alla derivazione della risorsa idrica (non sdemanializzabile) e le previsioni circa le relative modalità (minimo deflusso vitale, canoni e sovraccanoni, obblighi di investimento ecc.).
I vantaggi di questa soluzione sembrerebbero essere i seguenti:
- La sdemanializzazione non creerebbe nessun vantaggio di mercato, perché nulla vieterebbe ulteriori cessioni delle suddette opere a un soggetto terzo da parte del neoproprietario.
- La sdemanializzazione è già stata applicata in alcuni settori, quali il patrimonio abitativo pubblico, ove si prevede la vendita delle unità oggetto del provvedimento agli assegnatari che ne facciano richiesta.
- Si bypassa il tema delle gare che pur essendo la soluzione preferibile in teoria, appare in concreto inapplicata in tutta Europa nei settori energetici a rete (vedi gare gas in Italia da lustri sostanzialmente bloccate).
- È coerente con alcuni casi europei applicati e funzionanti (che stiamo approfondendo) e comunque con una situazione in Europa ove i players stranieri non toccano palla.
- Non lederebbe i poteri regionali, anzi in certo senso li rafforzerebbe, di definire le modalità di esercizio delle opere bagnate nei confronti del neoproprietario delle opere o di eventuali soggetti da esso delegati (in accordo con la Regione).
- Non lederebbe i principi di equità perché le opere sono ampiamente ammortizzate dai concessionari; l’eventuale mancato ricorso al mercato per la cessione delle opere con meccanismi di gara si giustificherebbe in virtù di una dichiarazione di pubblico interesse dei beni alienabili (vedi SIEG) e di un giudizio di idoneità sul soggetto concessionario esistente.
- Le Regioni avrebbero due introiti: quelli una tantum della cessione delle opere sdemanializzate e quelli continuativi provenienti dalle autorizzazioni, le cui durate potrebbero anche avere orizzonti temporali non lunghissimi ed essere sospese o revocate in caso di mancato rispetto di quanto previsto.
- Si potrebbe probabilmente integrare l’attuale situazione legislativa senza sconvolgerla, come si vorrebbe con gli emendamenti respinti di cui abbiamo detto.
- Potrebbe essere accettabile da parte delle imprese le quali, a fronte di un esborso che potrebbe essere significativo, hanno la garanzia della disponibilità degli impianti (bagnati e asciutti) potendo più facilmente realizzare gli investimenti.
- Il procedimento di valutazione delle opere da cedere, a partire dai valori messi in ammortamento dai concessionari, potrebbe essere molto più semplice della perimetrazione e ricognizione dello stato di consistenza delle opere bagnate da mettere a gara per la nuova concessione. Tra l’altro i concessionari godrebbero delle opere asciutte già di loro proprietà.
Alla luce di alcune verifiche informali, sembra che la Commissione europea non possa sollevare obiezioni se non riferite al tema di una equa valorizzazione delle opere bagnate oggetto di cessione.
In conclusione, quella descritta sembrerebbe una ipotesi per certi aspetti “rivoluzionaria” per il settore in Italia (ma non all’estero). Tuttavia è, a nostro parere, meritevole senza dubbio di opportuni approfondimenti sia tecnici che politici.
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