Il vertice europeo sul Recovery Fund inizia a dir poco in salita per l’Italia. Dopo una giornata di litigi, i capi di Stato e di Governo non sono giunti ad alcuna conclusione: anzi, se possibile si sono addirittura allontanati dall’ipotesi di un accordo. Al momento, quindi, nessuno può dire né quale sarà l’importo del Recovery Fund, né come funzionerà la governance, ovvero il meccanismo di approvazione dei piani nazionali di riforma in base ai quali, dal 2021, saranno distribuiti i fondi. Dopo una notte infruttuosa, si riparte da una riunione ristretta fra Germania, Francia, Olanda, Italia e Spagna.
RECOVERY FUND: LA GOVERNANCE
- Il “freno d’emergenza” proposto da Michel
Venerdì sera il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in accordo con la presidente di turno dell’Ue, Angela Merkel, ha portato sul tavolo una proposta di compromesso al ribasso. La novità principale è l’introduzione del cosiddetto “freno d’emergenza”. In base a questo meccanismo, l’approvazione dei piani nazionali di riforma sarebbe in capo all’Ecofin (la riunione dei ministri finanziari dell’Ue), ma – in caso di disaccordo – ciascun Paese avrebbe il potere di trasferire la discussione davanti al Consiglio europeo. I capi di Stato e di governo non voterebbero sul singolo piano, ma la discussione avrebbe comunque un peso politico e rallenterebbe la procedura. L’attivazione del “freno” sarebbe possibile sia in fase di approvazione dei Pnr e in quella successiva di erogazione dei fondi.
Peccato che la proposta di Michel sia stata bocciata sia dall’Italia che dall’Olanda, per ragioni opposte.
- La posizione dell’Italia
L’ipotesi di un “freno d’emergenza non è spendibile – ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al termine dei lavori – Per questo ho presentato una proposta italiana alternativa che punta a elaborare un coinvolgimento anche del Consiglio, ma nel rispetto delle prerogative della Commissione, a cui in base alle previsioni comunitarie spetta l’attuazione del bilancio. Su questo non si può transigere: è una funzione che i trattati attribuiscono alla Commissione”.
- Il diritto di veto chiesto dall’Olanda
Il premier olandese, Mark Rutte, pretende invece non solo che l’approvazione dei piani nazionali di riforma sia affidata in toto al Consiglio europeo, ma anche che per il via libera sia richiesta l’unanimità. In questo modo, ciascun membro avrebbe potere di veto sulle strategie di tutti gli altri e potrebbe bloccare l’erogazione degli aiuti ai Paesi di cui non condivide la linea politica. Una struttura di governance che permettere ai nordici d’imporre misure impopolari ai mediterranei: nel caso dell’Italia, in primo luogo le riforme del lavoro e delle pensioni (con l’interruzione di Quota 100 e l’addio completo al vecchio sistema retributivo, ancora in vigore per i contributi versati prima del 1995).
- Lo scontro in Consiglio
La proposta olandese non piace a nessuno (nemmeno agli altri tre Paesi Frugali: Austria, Svezia e Danimarca), ma Merkel ha mantenuto l’ipotesi sul tavolo evitando di fare sponda con i leader di Italia e Spagna. Per ore Conte e Sanchez hanno litigato con Rutte: “La sua proposta – ha detto Conte – è incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico”. Roma e Madrid sono arrivate a minacciare il veto sui rebates, cioè gli sconti ai Paesi del Nord sul bilancio Ue, che per l’Olanda valgono circa un miliardo e mezzo di euro.
RECOVERY FUND: LA DOTAZIONE FINANZIARIA
- Il meccanismo (paradossale) del 30%
Ma non è finita: i leader europei sono in disaccordo anche sulla dotazione finanziaria da attribuire al Recovery Fund e sui criteri di erogazione dei soldi. La proposta di Michel prevede di concedere l’ultimo 30% delle risorse per i progetti a partire dal 2023, ma solo se nei due anni precedenti la crescita del Pil è stata ridotta. In caso contrario, paradossalmente, i soldi rimarrebbero a Bruxelles. Anche questo meccanismo non piace ai mediterranei, Italia in testa.
- La trincea italiana
La battaglia più delicata (e significativa di fronte all’opinione pubblica) è però quella che riguarda l’importo complessivo delle risorse. Conte difende l’impostazione della Commissione: 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto e 250 in prestiti. “È un problema simbolico – dice il Premier italiano – un segnale che non possiamo non dare: su questo non voglio cedere”. Tuttavia, le speranze di conservare la cifra iniziale sono poche.
- Le richieste dei nordici
La premier finlandese, sostenuta dai Frugali, chiede di tagliare a meno della metà i trasferimenti a fondo perduto, mentre Germania e Francia difendono i 500 miliardi (che corrispondono al piano presentato da Merkel e Macron ancor prima della proposta della Commissione), ma sono disponibili a ridurre i prestiti.
Il problema è che l’Olanda non sta cedendo su nulla e per Rutte, in teoria, uno slittamento della trattativa a settembre non sarebbe una tragedia. Conte, al contrario, ha fretta di chiudere entro luglio per evitare di passare il resto dell’estate a essere bersagliato dall’opposizione e dai mercati.