E’ un vecchio pallino del Movimento 5 Stelle, ma intanto per la prima volta è stata la Lega a farne una legge, seppur a carattere locale. La Provincia autonoma di Trento, guidata dal 2018 dal leghista Maurizio Fugatti, ha deliberato la chiusura dei negozi di domenica e nei giorni festivi, con l’eccezione di 18 aperture in tutto l’anno (inizialmente ne erano state previste 15). A livello nazionale era già stato presentato un disegno di legge dalla coalizione giallo-verde, con tanto di polemiche soprattutto in città dove la spesa di domenica è quasi sacra, come Milano, con il sindaco Beppe Sala che aveva duramente rispedito al mittente la proposta (“Di Maio queste cose le vada a fare ad Avellino”, aveva detto con un pizzico di snobismo). Poi i 5 Stelle sono tornati alla carica col Pd, con un nuovo ddl che prevede la chiusura in tutte e 52 le domeniche dell’anno con deroghe per le città turistiche.
Un testo ancora più duro di quello concordato l’anno prima con la Lega, che nell’esigenza di non urtare nessuna componente del suo variegato elettorato (bene la domenica a Messa, ma gli affari sono affari) aveva però ottenuto un compromesso: 26 aperture domenicali su 52 e chiusura degli esercizi commerciali nelle 12 festività nazionali, ma con una deroga per 4 giorni di apertura da stabilire su scelta delle Regioni. Stavolta invece la Lega, in Trentino, è andata persino oltre: sulla scia di quanto sperimentato con l’emergenza sanitaria, quando la ratio della chiusura domenicale dei supermercati era quella di dare un po’ di tutela anche a cassieri e commessi, il salviniano Fugatti ha voluto farne la regola concedendo solo 18 aperture l’anno, compresi i festivi, in occasione di eventi o manifestazioni particolari “che suggeriscano l’opportunità di migliorare l’accoglienza di residenti e visitatori”. Insomma lo shopping natalizio è salvo.
“La popolazione trentina – ha detto – il presidente della Provincia – si è abituata a fare la spesa dal lunedì a sabato. Il nostro è un intervento sociale: invece di fare la spesa la domenica si può pensare che in un territorio come il nostro, con i suoi laghi e le sue montagne, si possa fare altro, o andare a messa”. La chiusura disposta dalla Provincia di Trento, va specificato, non riguarda gli esercizi specializzati nella vendita di pane e latte, nella vendita di fiori e piante, gli esercizi che vendono autoveicoli, cicli e motocicli, riviste e giornali, gli esercizi dedicati prevalentemente alla vendita di mobili, quelli dedicati alla vendita di libri, dischi, musicassette, audio, quelli dedicate alla vendita di opere d’arte, antiquariato, stampe e artigianato locale e, infine, gli esercizi che utilizzano le tabelle speciali ai sensi della legge provinciale sul commercio del 2010.
Insomma si tratta sostanzialmente di chiudere supermercati e grande distribuzione. Una scelta che in molti già criticarono quando se ne discusse a livello nazionale, stimando perdite notevoli per l’economia, peraltro chiamata faticosamente a risollevarsi in questa fase. Ad esempio un anno fa l’Istituto Cattaneo aveva calcolato che il progetto grillino costerebbe 9,4 miliardi di Pil (di cui circa solo la metà recuperabili, ma più attraverso l’e-commerce che con un ritorno significativo per i piccoli esercizi) e porterebbe ad una riduzione potenziale di 148.000 posti di lavoro. Un salasso che il Paese oggettivamente non può permettersi, soprattutto con la situazione che si è venuta a creare. Senza contare che la perdita sul Pil teneva conto solo dei mancati consumi, ai quali va aggiunta la diminuzione di gettito fiscale e contributivo che può oscillare – secondo l’Istituto Cattaneo – tra 1,5 e 2 miliardi di euro annui.
E infatti la grande distribuzione presente in Trentino insorge. “Parliamo tanto di distanziamento per evitare la pandemia – ha commentato a L’Adige Domiziano Paterno del gruppo Eurobrico – e qui invece di allungare gli orari, li riduciamo facendo qualcosa che va contro i dettami del governo. Per me è un discorso demagogico quando si dice che lo si fa perché i dipendenti sono stressati: non è vero, vogliono venire a lavorare e prendono il 30% in più. Il mio parere è negativo, i clienti da Rovereto a Verona o Affi ci mettono un attimo ad andare, ci sarà una migrazione e quello della Provincia è un errore strategico”.
“Siamo perplessi – ha aggiunto Robert Hillebrand, che ha partecipato per Despar al tavolo con la Provincia sul ddl per le domeniche senza shopping – Riteniamo che la decisione provochi grandi danni, come il crollo del fatturato settimanale del 18-20%, ma anche ai collaboratori perché parte degli stipendi che oggi prendono grazie ai festivi non ci saranno più. La tempistica poi è ancora meno buona, viste le difficoltà sui consumi che si registrano a causa del Covid. Un altro aspetto che va considerato è che l’e-commerce verrà avvantaggiato. Non vedo nulla di positivo in questo disegno di legge. Pensiamo anche alla produttività che ogni azienda ha: se non si raggiunge, non si fanno investimenti”.
“La Giunta ci ripensi o almeno ci faccia capire con chiarezza cosa ha in mente – arringa sul giornale locale Luca Picciarelli del Sait, il consorzio cui aderiscono le Famiglie cooperative -. Abbiamo detto con chiarezza che questa scelta ha un impatto occupazionale, non illudiamoci che non ce l’abbia. Pensiamo a cosa è successo ora con le decine di stagionali delle Famiglie cooperative che non abbiamo potuto riassumere a causa dell’emergenza Covid. E per noi le due domeniche del 21 e 28 chiuse hanno già comportato un impatto sui ricavi. Le ricadute sulle Famiglie cooperative turistiche con la chiusura dei festivi sono immediate, ma anche sulla città il tema dell’impatto occupazionale c’è, pensiamo solo alla riduzione degli straordinari pagati”.