Non sappiamo se il ministro Nunzia Catalfo celebrerà la ricorrenza (ovviamente osservando il divieto degli assembramenti), ma oggi il Ministero del Lavoro compie 100 anni. Fu istituito con il regio decreto numero 700 del 3 giugno 1920, durante la fase finale del secondo governo Nitti. Racconta con dovizia di particolari quell’evento – che segnò un cambiamento di indirizzo nei confronti del mondo del lavoro e dei suoi problemi – lo storico delle istituzioni Flavio Quaranta in un saggio sul n.94 del Bollettino storico vercellese.
Il primo a ricoprire l’incarico di ministro del Lavoro fu il senatore Mario Abbiate, molto noto nella provincia di Vercelli fin dai primi anni del secolo scorso. Quaranta sottolinea che la scelta della decretazione d’urgenza non era prassi inconsueta; già per alcuni fondamentali provvedimenti di natura assicurativa e previdenziale emanati in quel periodo – come l’istituzione nel 1917 dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni agricoli o, nel 1919, quella di invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria – era stato necessario intervenire con immediatezza, sia per testimoniare la riconoscenza del Paese nei confronti delle classi popolari, contadine soprattutto, che più di altre avevano sofferto le conseguenze della guerra, sia per arginare le tensioni del violento scontro sociale in corso in quei tempi travagliati, immediatamente successivi alla Grande Guerra.
La creazione del Ministero del lavoro, che avveniva dopo vent’anni di discussioni e proposte, era parte qualificante del programma politico del governo Nitti, basato su un progetto di “riformismo produttivistico” mirante a unire strettamente Stato, produzione e lavoro, dando ai pubblici poteri il compito di svolgere opera di coordinamento e di direzione delle forze interessate. In precedenza, ad occuparsi dei problemi del lavoro era il ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. La nuova legislazione delle assicurazioni sociali rendeva necessaria una direzione politica specifica: Mario Abbiate ricoprì quell’incarico per pochi giorni, ma la sua nomina fu un riconoscimento all’impegno che aveva profuso nella sua attività politica per la separazione della politica del lavoro da quelle delle attività produttive.
Abbiate – scrive Quaranta – era nato a Genova il 14 febbraio 1872 dal garibaldino Giuseppe Abbiate e da Erminia Montalenti, originari di Caresana (allora in Provincia di Novara, a metà strada tra Vercelli e Casale Monferrato), in un palazzo sito nel sestiere san Teodoro. Dopo aver conseguito all’Università di Torino nel 1893 la laurea in Giurisprudenza, esercitò la pratica forense, che ben presto lasciò per entrare nella vita pubblica vercellese. Consigliere comunale a Caresana dal 1895 al 1899, dal 1899 al 1903 fece parte della Giunta provinciale amministrativa di Novara, dove dimostrò la sua grande cultura giuridica. Nel 1902 fu consigliere provinciale dei mandamenti di Stroppiana e Desana. Anno importante nella sua carriera politico-amministrativa fu il 1903, quando divenne membro del Consiglio superiore del lavoro, appena costituito, come rappresentante della Federazione italiana delle società di mutuo soccorso.
Abbiate – tra i primi a comprendere come quest’organismo consultivo (che accompagnava l’Ufficio del Lavoro anch’esso istituito nel 1903) avrebbe potuto diventare punto di riferimento di un’azione politico-amministrativa per la promozione sociale – ne fu componente autorevole per tutta la sua durata, cioè fino al 1923, quando fu soppresso dal fascismo. Membro del comitato permanente, partecipò assiduamente a tutti i lavori del Consiglio, partecipando ad importanti inchieste sulle condizioni dei lavoratori italiani: dai contadini ai solfatari, dai fornai agli addetti del tabacco, diventando primo firmatario, nel 1910, di una proposta di riforma del Consiglio stesso, con Angiolo Cabrini e Cesare Saldini, nella quale era ipotizzata la sua trasformazione, seppur a livello embrionale, in una camera composta da tutte le parti sociali.
Esponente della corrente liberale progressista, Abbiate, dopo essere entrato nel 1905 nel Consiglio comunale di Vercelli, arrivò giovanissimo al Parlamento italiano. Fu eletto infatti deputato nella XXIII legislatura a 37 anni, nelle elezioni del marzo 1909, in cui riuscì a prevalere sul candidato del partito liberale moderato, Piero Lucca. Non si legò ad un gruppo preciso, anche se la storiografia lo inserisce, al pari di Nitti, tra i radicali. Per entrambi il radicalismo era una cultura di governo tutta interna al liberalismo, con specifica attenzione alle masse popolari, certo, ma senza dover aderire all’ideologia socialista, né abdicare alla guida del riformismo sociale. La sua vocazione politica fu sempre contraddistinta da un profondo senso di socialità, che sfociò in una costante attenzione verso i problemi del lavoro.
Su proposta del Presidente del consiglio, Francesco Saverio Nitti, il 6 ottobre 1919 fu nominato senatore del Regno. Abbiate era, allora, il più giovane tra i componenti della Camera Alta (47 anni) ma tale era la sua competenza in materia giuslavoristica che, pur avendo una sola legislatura – che non costituiva titolo sufficiente – fu nominato grazie ad una disposizione specifica dello Statuto Albertino, senza che fossero sollevate delle obiezioni. Come ministro del Lavoro non fu in grado di far valere la sua esperienza e conoscenza della materia, perché il governo Nitti di cui faceva parte cadde poco tempo dopo.
Ad Abbiate subentrò l’ex sindacalista rivoluzionario Arturo Labriola, nell’ultimo governo Giolitti, al quale fecero seguito il nittiano Alberto Beneduce (destinato a scrivere pagine importanti nel ventennio, divenendo l’artefice dell’Iri) e il socialriformista Arnaldo Dello Sbarba. Ultimo ministro del lavoro fu il popolare Stefano Cavazzoni. Per un paio di anni ebbe funzioni di sottosegretario il bresciano Giovanni Maria Longinotti, tra i firmatari del partito popolare di don Sturzo. Con regio decreto del 27 aprile 1923, n. 915, il Ministero del lavoro fu soppresso, pressoché contemporaneamente alla chiusura del benemerito Consiglio superiore del lavoro. Da esso nascerà il Ministero dell’economia nazionale.
Di fronte al nuovo stato di cose prodotto dalla marcia su Roma del 1922, i vecchi titolari del dicastero si adattarono quasi tutti al fatto compiuto. Così non fu per Mario Abbiate, che uscì dalla scena politica. Quaranta ricorda che il Corriere della Sera nel 1943 chiese ad Abbiate di scrivere, per gli archivi di via Solferino, gli eventi della sua vita da lui ritenuti più significativi. Abbiate rispose: “Nulla si potrebbe dire di me se non questo, che ho professato correttamente la mia fede politica e non l’ho ripudiata né barattata mai’’. Nel secondo dopoguerra Mario Abbiate – come ricorda Quaranta – scrisse una lettera al presidente del Consiglio Ferruccio Parri per perorare la ricostruzione del Dicastero del Lavoro e della Previdenza sociale che rinascerà nuovamente indipendente, con decreto luogotenenziale n. 377 del 21 giugno 1945. Abbiate morì nel 1954.