Passata è la tempesta, odo augelli far festa e la gallina… Più che una gallina, nel nostro caso, sarebbe un pollo. Anzi: dei polli. Noi. Come cittadini, consumatori, lavoratori e imprenditori. Perché?
Lo dicono i dati dei nuovi contagi. Da cui si capiscono due cose. Primo: il picco è dietro di noi, ma la discesa è lenta. Secondo e soprattutto: ogni volta che è arrivato un messaggio rassicurante, è calato il livello di attenzione delle persone e i nuovi contagi ri-aumentano. La modellistica messa a punto da REF Ricerche per la Regione Emilia-Romagna mostra proprio un andamento del noto parametro R0 che, dopo una netta discesa, tende a rimbalzare.
Si dirà che sono aumentati i tamponi e quindi si scoprono più casi. Verissimo: ciò rende meno significativa la tendenza statistica di una curva che scende meno velocemente di quanto sarebbe desiderabile. Ma resta che i nuovi casi sono ancora molti e questo vuol dire che l’epidemia è forte e può fare molto male. Come?
Con una seconda ondata di contagi, un secondo incendio. Che se anche fosse meno violento del primo e se anche ci cogliesse, come ci coglierebbe, molto più preparati, sarebbe un colpo mortale all’immagine dell’Italia e, quindi, alla sua competitività.
Molti imprenditori, e molti loro dipendenti (ricordiamolo: il livello di condivisione degli obiettivi tra gli uni e gli altri è molto elevato), sono preoccupati di perdere domanda, quote di mercato e posti di lavoro. Hanno perfettamente ragione. E li comprendiamo benissimo: i paesi non hanno adottato le stesse misure restrittive, anche se in tutti la produzione industriale è crollata (basta vedere i PMI manifatturieri). Perché le filiere internazionali si sono disarticolate e la domanda per alcuni beni è comunque sparita; così, per esempio, le grandi imprese automobilistiche hanno chiuso in anticipo rispetto all’adozione delle misure governative.
Ma riflettiamo: è meglio aprire subito e magari poi dover richiudere? E poi, cari amici imprenditori, cosa sarebbe successo alla domanda se avessimo lasciato briglia sciolta al virus e avessimo contato, tra qualche mese, oltre un milione di morti?
Dunque, cosa fare? Non invidiamo chi deve decidere. Però, ci sentiamo di dare due consigli non richiesti.
Primo: non creare confusione né illusione. Il messaggio deve essere chiaro e univoco. Come nella tanto ammirata Germania. La situazione rimane molto seria e serve prudenza, non presunzione, come ha detto la Cancelliera Merkel. Solo grazie alla migliore conoscenza del virus, delle terapie, della minore ospedalizzazione, della capacità di fare tamponi, del tracciamento del movimento delle persone infette e del loro isolamento possiamo permetterci di allentare le restrizioni. In termini di tecnica di governo amministrativo, più che inventarsi chissà quale improbabile soluzione miracolosa, andrebbe osservata con attenzione l’esperienza tedesca.
Messaggio chiaro e univoco vuol dire anche fine della cacofonia. Basta appelli di presidenti di Regioni che dicono il loro parere, mai disinteressato (state giocando con la vita dei vostri governati!), su quello che si deve fare e come farlo e che decidono come e quando aprire, a seconda se il giorno è pari o è dispari o delle pressioni politiche che ricevono.
Il loro punto di vista è cruciale, perché hanno meglio di chiunque altro il polso della situazione locale. Ma deve convergere attraverso canali istituzionali, per decidere collegialmente la strategia condivisa. Di nuovo, come succede in Germania, dove i 16 presidenti dei Länder (che sono un po’ più antichi e istituzionalmente importanti delle nostre Regioni, anche di quelle autonome) si sono riuniti con la Cancelliera e hanno assunto una posizione e una strategia comune. Certo affinché questo possa avvenire anche nel nostro Paese occorre che il centro non si attardi e non si mostri incerto, costringendo le Regioni a prendere l’iniziativa. È anche la mancanza di una autorevole regia centrale che scarica sulle Regioni la abusata accusa di “andare in ordine sparso”.
Secondo consiglio: per riaprire, perché bisognerà riaprire, occorre imparare a convivere con il virus, quale indesiderato ospite delle nostre comunità. Questo significa adottare un protocollo di comportamento nei luoghi di lavoro e in quelli pubblici: misurare la temperatura, continuare a lavarsi frequentemente le mani, disinfettare, usare la mascherina, organizzare turni per non affollare i mezzi di trasporto pubblico, proseguire con il telelavoro dove si può, ed per un tempo adeguato evitare le occasioni di socializzazione (spettacoli, bar, concerti, ristoranti, dove è impossibile rispettare la distanza minima).
Sarà difficile impedire che il virus continui a girare, ma con i comportamenti giusti e con le accresciute conoscenze sanitarie potrà divenire sempre meno pericoloso. Se, però, continuassimo a fare i galli di Renzo, finiremo come polli divorati, socialmente ed economicamente, dal virus.
PS: Finito e messo in rete l’articolo abbiamo scoperto che il Presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, traccia un modello di riapertura rigoroso: «Serve un calendario di ripresa in sicurezza metodologicamente chiaro, funzionale al raggiungimento di due obiettivi: riaprire la produzione perché solo essa dà reddito e lavoro; e farlo evitando un secondo contagio, che ci porterebbe a nuove misure di chiusura a quel punto ancor più disastrose». Siamo convinti che tutti gli imprenditori saranno d’accordo.