Ancora una volta i fragili equilibri politici interni minano l’efficacia della politica economica. È una sorta di dannazione che ci perseguita dalla fine della Prima Repubblica e che compromette da più di vent’anni le capacità di crescita del Paese. Non c’è dubbio infatti che, nel negoziato sulle misure economiche per fronteggiare la pandemia, richiedere che un non meglio identificato organismo europeo emetta un non meglio identificato Coronabond invece di discutere nel merito le clausole di “condizionalità leggera” del Mes (e quindi che sia questo organismo ad emettere i titoli) rifletta il timore del Presidente del Consiglio di una convergenza destabilizzante tra Lega e 5 stelle, notoriamente ostili al Meccanismo Europeo di Stabilità.
Ma gli effetti di questa debolezza del premier – che poi a sua volta riflette la poca coesione della maggioranza che lo sostiene – vanno oltre la mancata soluzione del problema dei Coronabond. Ve ne sono almeno altri due altrettanto dannosi. Il primo è quello di incentrare la comunicazione sulla necessità che “l’Europa sia all’altezza”. Difficile che i sovranisti non colgano l’occasione per sparare sull’Europa (Salvini ha già cominciato con la sua nota “leggerezza” – il “ma andate a cacare” sui cui la stampa italiana ha fin troppo elegantemente sorvolato), vista anche la vaghezza del criterio. Mettere troppe aspettative sulla mutualizzazione del nuovo debito in una fase di debolezza della leadership tedesca è il modo migliore per creare delusione e quindi servire argomenti ai sovranisti su un piatto d’argento.
Il secondo effetto è che il dibattito politico – e anche il lavoro delle strutture tecniche dei ministeri – viene prevalentemente assorbito dall’Europa: anche se si tratta di un esito in parte inevitabile vista la forte valenza simbolica della solidarietà europea sottostante l’emissione di nuovo debito, si toglie spazio – e si consuma capitale politico – per la discussione e l’approfondimento delle misure di rilancio dell’economia nazionale. E qui ci sarebbe invece molto da fare. Oltre agli interventi di sostegno al reddito e di liquidità alle imprese del decreto Cura Italia (peraltro il previsto incremento del Fondo Centrale di Garanzia per le Pmi è insufficiente) sarebbe infatti utile prevedere interventi specifici negli investimenti pubblici e nella ricerca, così come sarebbe opportuno iniziare la discussione sui concreti modi e tempi di una graduale riapertura delle attività produttive e commerciali.
Si deve infine tenere presente che l’annunciato acquisto di titoli pubblici da parte della Bce è tale da compensare disavanzi anche superiori al 5% del Pil. Quindi non vi dovrebbero essere problemi di collocamento dei titoli necessari per la copertura del maggior fabbisogno. E 5 punti di Pil corrispondono a circa 100 miliardi: ne abbiamo spesi poco meno di 30 (25 del Cura Italia e 4,7 per le misure annunciate sabato sera ma questi non sembrano essere tutti addizionali). In questo quadro, degli Eurobond, almeno per i prossimi mesi, forse non ci sarebbe neanche tutto questo bisogno. Quello che invece è urgente progettare un piano per la spesa degli altri 70 miliardi e le procedure per renderlo rapidamente efficace. Nel frattempo, la migliore strategia negoziale in Europa sarebbe abbassare i toni e costruire una proposta che sia tecnicamente solida e politicamente praticabile.