Stimare gli impatti economici della devastante emergenza del coronavirus è un esercizio in questi giorni irrinunciabile. Ad intervenire nel dibattito, spesso e volentieri catastrofico, è Valerio De Molli, amministratore delegato del think tank The European House – Ambrosetti, che ogni anno organizza ad inizio settembre (riusciranno anche quest’anno?) sulle rive del lago di Como un workshop che vede la partecipazione di centinaia di protagonisti italiani ed internazionali del mondo della finanza, dell’impresa, della politica e delle istituzioni.
“Un confronto appropriato sotto il profilo della diffusione dell’epidemia – esordisce De Molli – sarebbe dato dall’influenza spagnola del 1918-1919: un benchmark così distante dalla realtà sociodemografica, geopolitica ed economica attuale da rendere però la costruzione di scenari previsionali a partire dal parallelismo con episodi di archivio, poco più che un esercizio intellettuale”. E dunque come procedere? “Per quanto l’elemento più importante al momento sia l’aspetto medico-sanitario, la pandemia Coronavirus porta con sé anche pesanti impatti economici, sui quali vale la pena avviare una riflessione”.
TURISMO
Il primo aspetto sul quale riflette il leader di Ambrosetti è il turismo, che come noto attiva il 13% del nostro PIL, tra impatto diretto e catene di fornitura. “Ogni anno – spiega De Molli – in Italia oltre 60 milioni di turisti stranieri pernottano nei nostri alberghi, mangiano nei nostri ristoranti, fanno shopping nei nostri negozi. È ormai chiaro da queste prime settimane di diffusione del virus che questo numero sarà destinato a ridursi fortemente nel 2020: non passa giorno senza leggere di voli soppressi, prenotazioni cancellate, viaggi annullati, cancellazione di eventi, chiusura di bar, ristoranti ed esercizi commerciali”.
Secondo De Molli questa mazzata, anche se dovesse limitarsi a sole 4/6 settimane, è destinata a mettere definitivamente in ginocchio l’attività economica della vendita al dettaglio e, di conseguenza, quella delle filiere a monte ed aggiungerà un numero significativo di morti e feriti che andrà ad impattare su un settore già in difficoltà che ha già subito, nel 2019, la chiusura di oltre 5.000 esercizi commerciali.
CITTADINI E INVESTITORI
La seconda variabile è la reazione dei cittadini e degli investitori. “Vi do due dati per provare a quantificare la fiducia (o, in questo caso, la sfiducia) che pervade la comunità economica mondiale”, spiega l’Ad di Ambrosetti. “Da gennaio a febbraio l’indice PMI cinese – che traccia le aspettative di espansione o contrazione del mercato manifatturiero, espresso su una scala 0 – 100 dove valori sotto il 50 indicano aspettative di contrazione – è passato da 50 a 35,7. Si tratta del minimo storico: a novembre 2008, in piena crisi Lehman Brothers, tale valore scese fino a 38,8. Un altro indicatore rilevante è il VIX Index, che misura la volatilità della Borsa americana. La diffusione in Europa del virus ha provocato una salita del VIX Index su valori che non si vedevano da quando, nell’agosto 2015, è crollata la Borsa di Shangai. In sintesi, la tensione è visibile sia sui mercati, che fra le imprese, che fra i consumatori”.
PIL
Quindi, tenendo a mente le due variabili discusse poco sopra, sulla base delle stime di The European House – Ambrosetti una prolungata e duratura contrazione porterebbe ad una riduzione del PIL 2020 stimata fra -2,5% e – 3,5%. “Resta inteso che una variazione delle variabili sopra menzionate potrebbe spostare questo intervallo – precisa De Molli -: ad esempio, se le misure di quarantena e le altre indicazioni delle istituzioni venissero scrupolosamente rispettate, a fronte di una fortissima contrazione nelle prime settimane ci sarebbe una ripresa dell’attività economica anticipata rispetto al caso in cui il disinteresse e il menefreghismo aggravassero la diffusione del virus. Inoltre, questa stima è soggetta alle dinamiche di contenimento del virus messe in atto negli altri Paesi: si auspica che prendano esempio dai casi cinese e italiano, mettendo quindi in atto politiche di gestione con sufficientemente anticipo. In caso contrario, dovesse esserci una recessione diffusa a livello globale, gli impatti a cascata potrebbero essere peggiori”.
SOLUZIONI
Quali sono le armi che l’Italia e l’Europa hanno a disposizione? Chiaramente, la politica monetaria non rientra nel novero delle leve attivabili. Ricordiamo tutti i moniti di Draghi, che invitava – in tempi non sospetti – gli Stati ad una politica fiscale più coraggiosa, sostenendo che la faretra della BCE fosse ormai vuota. “E quindi – dice De Molli – bisogna tornare a guardare alla politica fiscale, al ruolo dello Stato in questa situazione di crisi. Il ruolo dello Stato si manifesta in due momenti distinti: politiche fiscali emergenziali, di breve periodo, ma anche politiche coraggiose capaci di rilanciare la crescita quando tutto questo sarà finito. Nel breve periodo: è indispensabile mettere in campo una politica fiscale che non strozzi partite IVA, piccoli imprenditori, commercianti, ristoratori, e che favorisca al massimo la mobilitazione degli investimenti. Posporre il pagamento dell’IVA trimestrale, dare la possibilità di spalmare l’imposizione 2020 negli esercizi successivi, possono essere delle idee che tranquillizzerebbero le imprese e, più in generale, la popolazione”.
Si potrebbero secondo De Molli anche ipotizzare nuovi importanti finanziamenti europei per i sistemi sanitari, da unire a sussidi alla disoccupazione temporanea e da unire ad un importante investimento nella digitalizzazione e modernizzazione del Sistema paese, a partire dai pagamenti digitali. Ma la vera sfida è il dopo, con il Green New Deal: forse questa emergenza è dunque l’occasione da non perdere per trasformare, una volta per tutte e come si deve, i nostri modelli sociali ed economici? Secondo De Molli sì: “Il mantra di The European House – Ambrosetti è: senza investimenti non c’è lavoro, senza lavoro non c’è crescita, senza crescita non c’è futuro. Mai come in questa occasione dobbiamo pensare al lungo periodo, e iniziare a pensare a come ripartire”.