I vecchi abitanti dei piccoli paesi della Garfagnana, quella vasta area compresa tra le Alpi apuane e la catena dell’Appennino tosco-emiliano entrata a far parte solo nel 1923 del comune di Lucca, non ne parlano con entusiasmo. Quel Biroldo, insaccato sanguigno che veniva fatto nelle case dei contadini con gli scarti meno pregiati della lavorazione del maiale, ricordano i tempi un po’ bui quando il benessere non aveva ancora investito questa bella e oggi fiorente zona d’Italia. E ancora oggi in tempo di diete, di religioni vegane, di regimi alimentari ipocalorici, di forsennati ingurgitamenti di integratori alimentari il Biroldo fa storcere il naso a molti soprattutto per l’uso del sangue di maiale nella sua lavorazione. Eppure stiamo parlando di una presenza alimentare che ha attraversato il corso dei secoli, le cui origini si perdono nel tempo. Ma tutto lascia presumere che il Biroldo abbia ascendenze nordiche. Andiamo per ordine. Con tutta probabilità questo particolare insaccato, che non trova equivalenti al di fuori dell’area della Garfagnana, deve la sua origine all’arrivo dei Longobardi in Italia. La cultura della lavorazione del maiale era molto diffusa nei territori al di là delle Alpi e quando i Longobardi scesero in Italia, per rimanervi lungo tempo, portarono con sé anche la loro esperienza nella lavorazione degli insaccati. In particolare è nel 600 d.C. che la bella e intelligente Regina Teodolinda occupa tutta la valle del Serchio per crearsi una zona difensiva da eventuali attacchi che potessero provenire dalla via Clodia che raccordava l’alto Lazio con la Pianura Padana.
A dire il vero ben prima della discesa dei Longobardi in Italia si usava lavorare la carne di maiale e mantenerla a lungo per i periodi di magra. Forme di insaccati risalgono addirittura ai tempi degli Etruschi e poi dei romani. Ma si deve solo ai Longobardi l’introduzione di innovative tecniche di conservazione e soprattutto la grande svolta del passaggio dalla lavorazione delle carni cotte alla lavorazione delle carni crude. Questa tesi “teutonica” sembra confermata anche dall’etimo del nome. A questo proposito ci sono diverse scuole di pensiero ma bene o male le più attestabili si ricollegano all’assonanza, frutto di successivi adattamenti fra la parola Biroldo e la parola sangue che per quanto ci riguarda proviene dal latino sanguis. Ma che nelle lingue germaniche (tedesco, inglese, frisone, norvegese, svedese, gotico) a partire dal sesto secolo si rifà alla radice blodan forse derivata da una radice protoindoeuropea tarda, bhlo-to, da cui deriva il proto germanico blotan (che significa sacrificio, e guarda caso il maiale nelle antiche culture è uno dei animali propiziatori ricorrenti) da cui si arriva al Blood inglese blut tedesco e Blot svedese.
Se ne può discutere all’infinito ma è certo che la prima definizione italiana di Biroldo la si deve, come ha reso noto Ivo Poli, un appassionato cultore delle tradizioni locali, ad un documento rintracciato negli archivi del comune di Gallicano della Garfagnana che risale al 1769. E’ una delibera del Consiglio della comunità che riguarda l’organizzazione di una fiera di paese e nella quale si legge: “Si fa noto che a ciascheduna persona, qualmente in esecuzione della Special Grazia accordata dall’Eccellentissimo consiglio a questa Comunità, si darà principio martedì prossimo al nostro mercato nella piazza fuori da questo Castello, e così continuerà in avvenire ogni settimana, e in caso che il detto giorno venisse impedito da festa si anticiperà il lunedì. Vi sarà poi una volta l’anno la Fiera alla quale si darà principio il 24 agosto e durerà tutto il restante di detto mese, per il qual tempo sarà lecito ad ognuno di vendere liberamente pane,vino e cibi cotti come sarebbe il biroldo”.
Eccoci dunque arrivati a noi. Ma che cos’è il Biroldo? E’ un salume dalle origini umili prodotto con gli scarti del maiale che si colloca fra la coppa di testa e il sanguinaccio. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il Biroldo lo ha inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani nelle tipologie Biroldo della Garfagnana, Biroldo delle Apuane, Biroldo di Lucca. Dal che si capisce che in questa ristretta zona si sono esercitati in diversi nella tradizione di questo insaccato ma solo quello della Garfagnana però ha ottenuto anche il Presidio Slow Food come patrimonio agroalimentare in via di estinzione. In cosa differisce dagli altri? Dal fatto che viene prodotto esclusivamente con la testa del maiale che è più magra rispetto agli altri organi interni come il cuore o il fegato usati nelle altre zone, che e non prevede l’aggiunta di pinoli all’impasto.
Come giustamente sottolinea Ivo Poli il Biroldo è una vera e propria bomba calorica ma il suo sapore è puro godimento.
Per la sua lavorazione si utilizza esclusivamente la testa del maiale, che è più magra, che viene messa a bollire per almeno tre ore Quindi la si disossa accuratamente e si unisce sangue di maiale aggiungendo, via via, le spezie che sono, in primis, il finocchio rustico selvatico, quindi a gusto del preparatore in dosi che possono variare: anice stellato, noce moscata, cannella e chiodi di garofano. Qualcuno aggiunge anche un po’ d’aglio. Quindi la carne viene tagliata rigorosamente a punta di coltello – vietato rigorosamente il tritacarne – in pezzi grossolani. Si procede quindi alla insaccatura in una vescica dello stomaco del maiale chiamata bugetto oppure in un altro budello sempre dello stomaco e chiamato zia e i salami così ottenuti vengono nuovamente messi a cuocere per tre ore. Durante la cottura i budelli vengono bucati più volte con e con un vecchio ago di lana o con una vecchia stecca di ombrello appuntita perché non si gonfino e scoppino. Terminata questa seconda fase di cottura quindi il Biroldo viene steso su un piano, sotto una serie di tavole sulle quali vengono posizionati dei pesi per far uscire il grasso in eccedenza. Ma anticamente si usava anche un’altra tecnica, si infilavano i pezzi un vecchio fiasco che veniva messo a bollire,m tappato e messo al buio, e poi in primavera il fiasco veniva rotto per mangiare le carni che si erano insaporite.
Perché una cosa è chiara ed è che qui il grasso la fa da padrone perché è ciò che da il sapore a tutto. Come ci ricorda Ivo Poli nei tempi antichi a differenza di quelli odierni un maiale in famiglia era apprezzato solo se aveva quattro dita di grasso sopra la schiena perché più grasso c’era e più c’era condimento per le loro umili tavole. E certo non erano quelli tempi di prosciutto perché a livello contadino si preferivano fare salsicce e salami come le famose “mondiole” un tipo di salame con le carni più rosse, sanguigne, del maiale, di breve stagionatura, che venivano ripiegate a U e poi separate da foglie d’alloro per conferire da un lato un’aggiunta aromatica dall’altro per evitare muffe dal contatto delle due parti del salume.
E, tanto per rimanere in tema di diete ipocaloriche, col brodo di cottura del Biroldo, ricorda sempre Poli, poiché come è noto e come è tradizione, del maiale non si scarta nulla, si usava poi fare l‘infarinata. Oggi il piatto si fa con i dadi, ed è una delizia ben più leggera. Ma i contadini non stavano lì a pensarci troppo e con l’avanzo della cottura delle carni grasse del maiale mischiato alla farina di granturco ai fagioli e al cavolo nero realizzavano uno squisito minestrone.
Per il Biroldo, di cui si stava perdendo la memoria – negli anni 80 erano rimasti in pochi a farlo ed era difficile trovarlo in commercio – oltre le azioni di salvaguardia del ministero è stato provvidenziale l’intervento di Slow Food che lo ha inserito fra i suoi presidi. E questo ha sicuramente aiutato il biroldo ed i suoi produttori ad uscire da un mercato solamente locale e a far sì che anche il resto d’Italia lo riscopra. Perché una testimonianza così importante della cultura contadina non poteva cadere nel dimenticatoio. E non si tratta certo un prodotto da ammirare come in museo, tutt’altro: i processi di lavorazione non sono piu quelli di una volta e il Biroldo oggi accompagnato da una fetta di tipico pane di castagne garfagnine o dal pane di patate rilascia un gusto perfettamente equilibrato: sangue e spezie non prevaricano il sapore della carne magra della testa del maiale, ma gli conferiscono sentori delicati e persistenti. Una vera e propria prelibatezza.