“Le ondate di calore di quest’estate? Sono solo un assaggio: tra qualche decennio avranno durata maggiore e potranno superare i 40 gradi, in Italia, sarà la normalità”. A confermare l’emergenza climatica che stiamo vivendo anche in questo week end d’agosto è Gianmaria Sannino, dal 2015 responsabile del Laboratorio di modellistica climatica e impatti dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), interpellato da FIRSTonline nel pieno di un’estate che, in sequenza, ha registrato un inanellarsi di eventi inediti: temperature mai viste in Francia e Germania, incendi in Siberia, scioglimento della calotta della Groenlandia, una delle più grandi riserve di ghiaccio del pianeta, con tutto quello che ne consegue. A questo si è aggiunto anche l’appello lanciato dall’astronauta italiano Luca Parmitano: i ghiacciai, dallo spazio, non si vedono quasi più, mentre avanzano i deserti.
Dottor Sannino, che cosa sta accadendo di così straordinario in Groenlandia?
“Lo scioglimento del ghiaccio ha subito una brusca accelerazione. Nella seconda metà di giugno le misurazioni da satellite hanno rivelato che la fusione dei ghiacci ha interessato il 60% della superficie della Groenlandia, una percentuale impressionante soprattutto se confrontata con quella media del periodo 1981-2010, secondo la quale nei mesi di giugno e luglio non si supera di solito il 20%. La cosa più preoccupante è che non è detto che quella superficie torni a ghiacciarsi del tutto il prossimo inverno, potrebbe non fare abbastanza freddo e questo sarebbe un ulteriore segnale negativo”.
Perché lo scioglimento dei ghiacciai è così importante?
“Innanzitutto per un motivo molto semplice: il colore. Le superfici ghiacciate sono bianche e riflettono i raggi del sole: venendo a mancare, fanno in modo che il pianeta continui a surriscaldarsi. Lo scioglimento dei ghiacci è dunque sia conseguenza che causa del cambiamento climatico. Poi c’è il tema della biodiversità: molte specie animali che vivono a quelle temperature o in altitudine, sono destinate ad estinguersi e questo sarà comunque un problema per l’equilibrio dell’ecosistema. Infine, per quanto riguarda i ghiacciai, sono la nostra sorgente d’acqua, e questa entro la fine del secolo potrebbe ridursi significativamente. Ma c’è anche un altro pericolo, prettamente climatico”.
Quale?
“Secondo alcune proiezioni climatiche, se l’umanità continuasse a produrre energia e a vivere secondo le abitudini attuali, considerando anche che nel frattempo la popolazione supererà gli 11 miliardi, entro il 2100 il circolo polare Artico vedrebbe una riduzione consistente dei ghiacci sia terrestre che marini, fino a rendere l’Artico completamente sgombro dai ghiacci ad ogni fine estate. Si tratta delle proiezioni che i climatologici indicano con la sigla RCP 8.5, quella che considera il peggior scenario possibile, che presuppone cose che presumibilmente non dovrebbero verificarsi ovvero che nel nostro modo di vivere, di lavorare, di spostarci e di usare l’energia, non cambi assolutamente una virgola. Uno scenario non probabile ma nemmeno impossibile”.
E questo che cosa determinerebbe?
“Una modifica radicale del clima a livello mondiale. Gli effetti sulla nostra area, quella del Mediterraneo, sarebbero di una marcata tropicalizzazione: precipitazioni sempre più rare ma sempre più violente”.
Torniamo alle temperature: ogni anno si aggiornano record su record. Quest’anno è toccato alla Francia, ma anche in Italia abbiamo avuto un caldo inedito a giugno. Quale sarà la tendenza nel lungo periodo?
“Tutto questo è solo un assaggio, rispetto a quello che ci aspetta in futuro. Le ondate di calore diventeranno la norma, non dureranno più pochi giorni come avviene oggi, ma per l’intero periodo estivo, cioè per due o tre mesi. In altre parole, la tremenda estate che abbiamo vissuto nel 2003 in Italia e in gran parte dell’Europa centro occidentale, cioè caldo fuori norma per intere settimane e precipitazioni quasi nulle, diventerà la normalità verso la fine del secolo. Ovviamente questo sarà un processo graduale, che vedrà le nostre estati assomigliare anno dopo anno sempre di più a quella del 2003.”
L’Italia e il mondo diventeranno un posto quasi invivibile, dunque. Basterà l’aria condizionata per fronteggiare il caldo sempre più insopportabile?
“Sarà necessaria ma è un boomerang, perché se continuiamo a produrre energia come la produciamo oggi, il suo utilizzo non farà altro che alimentare il consumo e dunque la produzione. Nelle grandi città poi si accentuerà l’effetto ‘isole di calore’, amplificato tra l’altro proprio dall’utilizzo dei condizionatori e dall’aria calda che scaricano fuori da uffici e appartamenti”.
Per ridurre l’effetto “forno” qualcuno sta suggerendo, ad esempio in una città come Milano, di dipingere i tetti di bianco, come nelle isole greche. Visto che non ci sono più i ghiacciai, un po’ di superficie bianca aiuterebbe a respingere il calore…
“Sì, è una soluzione sicuramente interessante a livello urbanistico, così come quella dei tetti verdi. La lotta al riscaldamento globale non riguarda solo scienziati e politici, ma è una sfida anche per ingegneri e architetti”.
Tuttavia la priorità rimane quella di ridurre drasticamente le emissioni di CO2. Come farlo?
“Dall’Ottocento ad oggi la percentuale di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata di oltre il 40%, passando da 280 parti per milione al record toccato proprio quest’anno di 415 parti per milione. La sua presenza nell’aria è fondamentale proprio perché la sua funzione è trattenere il calore, rendendo la Terra un pianeta abitabile: però se diventa troppa, come è oggi, trattiene troppo calore e surriscalda il pianeta, con le conseguenze che stiamo vedendo. C’è molta fretta, bisogna insistere con le rinnovabili e l’efficienza energetica, perché oltre a produrre energia pulita bisogna anche non sprecarla. Secondo i piani dell’Unione europea, dovremo raggiungeremo la neutralità tra emissioni e assorbimento di CO2, arrestandone l’aumento, solo nel 2050”.
Sarà troppo tardi?
“Difficile dirlo, sicuramente prima facciamo e meglio è. Poi non dipende solo dall’Europa, ricordiamoci che la Cina da sola produce più di 9 miliardi di tonnellate l’anno di emissioni di CO2 e anche rispettando gli accordi di Parigi la temperatura del pianeta aumenterà di 2 gradi rispetto al periodo pre-industriale e di un ulteriore grado rispetto ad oggi, che non è poco”.
Oltre alla Cina ci sono anche gli Usa, con i proclami a dir poco pericolosi del presidente Donald Trump. E poi la Russia, con le foreste siberiane che vanno in fumo: altro fenomeno mai visto.
“Quanto accaduto in Siberia è grave non tanto per le emissioni di CO2 che ha provocato (100 milioni di tonnellate, cioè lo 0,3% della produzione annua mondiale), quanto perché certifica che zone mai colpite dagli incendi, ora lo sono. E soprattutto non è detto che tutta la vegetazione ricresca, venendo dunque meno al ruolo di assorbitrice di anidride carbonica: oltre al danno – relativo – di oggi, c’è il danno futuro nel non poter contare nel breve periodo sul contributo di milioni di alberi nella lotta all’aumento della CO2.”
A proposito, per dare un’ulteriore accelerata alla produzione di energia da fonti pulite, non sarebbe il caso di prevedere nuovi incentivi?
“Questi sono aspetti politici di cui non mi occupo, ma potrebbero essere utili, ancorché utilizzati più intelligentemente che in passato”.
L’Italia è uno dei Paesi europei con più alta percentuale di energia pulita, oggi circa al 18%. Stiamo facendo bene la nostra parte?
“Sì ma bisogna fare molto di più per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette nulle entro il 2050. L’Italia è a lavoro per redigere piani affidabili e certi di decarbonizzazione della nostra economia”.
Torniamo all’estate 2019 e al grande caldo: avremo altre ondate, oltre a quella di questi giorni?
“Le nostre sono simulazioni climatiche sul lungo periodo e non vanno confuse con le previsioni meteorologiche, la cui affidabilità peraltro è limitata nell’arco di 3-4 giorni. Le posso dire, come ho fatto, cosa dovrebbe accadere tra alcuni decenni, ma non ho gli strumenti per valutare il prosieguo di questa stagione: sicuramente si può dire che siamo ancora nel bel mezzo dell’estate e non è da escludere che ci saranno altre fasi critiche”.
Altamente condivisibile l’articolo, in particola dove fa riferimento al maggior calore presente nelle grandi metropoli anche a causa dell’aria calda gettata nell’ambiente dai condizionatori degli edifici. Mi permetto di rilevare che in aggiunta a quanto detto c’e anche il maggior calore espulso dalle auto quando é in funzione il condizionatore e al riguardo val la pena ricordare che il condizionatore dell’auto, per funzionare, incrementa il consumo di carburante di circa il 10% e tale energia deve essere prodotta in qualche parte del pianeta.E’ una precisazione che mi sembra opportuna dopo che anni fa mi sono sentito dire (Da un laureato) che dato che il motore gira già allora il condizionatore dell’auto non consuma niente!