Il primo agosto di cinque anni fa si svolse nell’Auditorium del Lingotto l’ultima assemblea degli azionisti Fiat convocata a Torino, dove era nata 115 anni prima.
Un’assemblea storica. Veniva approvata la fusione di Fiat con l’americana Chrysler e nasceva una nuova società, la Fiat Chrysler Automobiles (FCA), dal cui acronimo scompariva la T di Fabbrica Italiana Automobili Torino, come quasi a voler sottolineare che la sede legale del gruppo si trasferiva in Olanda ad Amsterdam ed il domicilio fiscale nel Regno Unito a Londra.
Mentre il consiglio di amministrazione, da quel momento, infatti si terrà a Londra, le successive assemblee degli azionisti si svolgeranno in Olanda, beneficiando di una legislazione societaria più flessibile ed in particolare del peso superiore che in assemblea hanno le azioni di maggiore “anzianità” aziendale (soluzione in seguito adottata da altre aziende italiane e di recente anche da Mediaset).
Lo spostamento dell’assemblea ad Amsterdam ha comportato anche un vantaggio collaterale (del tutto anedottistico) di un drastico calo della presenza degli “storici disturbatori” assembleari, piccoli azionisti (a volte possessori di una sola azione) che tradizionalmente intervenivano a Torino per contestare provocatoriamente le decisioni gestionali della società e che ora si sono trovati nella condizione di sobbarcarsi le spese di una lunga trasferta per partecipare alle assemblee in Olanda.
I PRIMI DEL ‘900
La fusione con Chrysler e la nascita di FCA è la realizzazione di quel “sogno americano” che era presente in Fiat, la più americana delle aziende italiane, sin dall’inizio della sua storia.
Già ai primi del ‘900 infatti la Fiat, unica tra i costruttori europei, si era insediata negli States con uno stabilimento automobilistico a Poughkeepsie, nello stato di New York, la cui attività cessò, per motivi politici, allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Gli archivi storici riportano che negli anni Dieci del secolo scorso i taxi che circolavano a New York erano Fiat e non Ford.
Negli anni Venti e Trenta, ed ancora negli anni Cinquanta, gli ingegneri Fiat andavano a Detroit negli stabilimenti Ford per vedere come applicare i principi della mass production e dell’organizzazione del lavoro fordista-taylorista negli stabilimenti del Lingotto e di Mirafiori.
L’ORGANIZZAZIONE FORDISTA E LA WCM
Sul modello americano, l’organizzazione aziendale incomincerà ad utilizzare termini prettamente militari come divisione produzione, divisione commerciale, divisione tecnica, gli stabilimenti sono suddivisi per reparti e i reparti per squadre, le sale riunioni si chiamano “sale rapporto” e chiedere un appuntamento al proprio capo è “mettersi a rapporto”, mentre lo svolgimento del lavoro è di stampo gerarchico-funzionale basato sulla netta divisione tra chi dispone e chi esegue.
L’organizzazione fordista, voluta da Vittorio Valletta (il Professore che per 50 anni ha condotto la Fiat), pur se con variazioni apportate negli anni Novanta dalla lean production, è sopravvissuta sino all’arrivo di Sergio Marchionne, che ha voluto rivoluzionare il lavoro di fabbrica con una nuova organizzazione del lavoro, di progettazione totalmente aziendale e basata sulla eliminazione della fatica fisica, della ripetitività ossessiva delle operazioni, della propositività e partecipazione dei lavoratori denominata WCM (World Class Manufacturing).
Per la legge del contrappasso, decenni dopo l’importazione dagli stabilimenti americani della loro organizzazione, gli uomini Fiat esportavano negli stabilimenti della Chrysler le migliori pratiche della nuova organizzazione del WCM, i cui principi, basati sul coinvolgimento e la partecipazione, venivano nel frattempo estesi agli altri settori aziendali, dalla logistica alla progettazione, alla commerciale e così via.
I REPARTI “STELLA ROSSA” E GLADIO
I rapporti tra la Fiat e gli Stati Uniti si rafforzano negli anni Cinquanta quando, sotto indicazioni e pressioni della ambasciatrice americana a Roma Claire Boothe Luce, che aveva condizionato gli aiuti americani del piano Marshall ad un contenimento in Italia del comunismo, Valletta adotta una politica di isolamento dei lavoratori comunisti nelle fabbriche Fiat con la creazione dei cosiddetti reparti “stella rossa”.
Sono gli anni che in Fiat, come emerso dalla commissione parlamentare di inchiesta su Gladio negli anni Novanta, viene creata la struttura segreta dell’organizzazione Nato, la Stay-behind, composta da dirigenti aziendali e sindacalisti anticomunisti.
Grazie ai suoi rapporti americani, Valletta, dopo aver incontrato alla Casa Bianca il Presidente Kennedy nel 1962, avrà il via libera dal Dipartimento di Stato, nonostante l’opposizione dei francesi (al tempo i tedeschi non avevano voce in capitolo) a siglare un accordo con il governo sovietico a costruire, prima azienda europea, uno stabilimento automobilistico in Russia.
GLI ANNI 70, 80 E 90
Superate le criticità degli anni Settanta, dovute alla crisi petrolifera, alle lotte sindacali ma, soprattutto, dopo la scomparsa di Valletta, ad una visione aziendale confusa, basata sulla convinzione del superamento dell’auto a favore del trasporto pubblico (sic!), la Fiat, grazie a Vittorio Ghidella alla guida del settore auto, all’inizio degli anni Ottanta, supera la crisi e si rilancia contendendo alla Volkswagen la prima posizione sul mercato europeo.
Purtroppo i successi sul mercato europeo non saranno replicati sul mercato americano. La Fiat andrà incontro a due clamorosi fallimenti con la Fiat Ritmo e la Alfa 164; peraltro anni dopo il Presidente Obama ai vertici Fiat confiderà che la Ritmo fu la sua prima vettura da studente.
Fallisce peraltro nel 1986 anche il tentativo di Vittorio Ghidella di acquisire la Ford Europea, causa lo scontro tra lo stesso Ghidella accusato di volere una Fiat “autocentrica, e l’allora amministratore delegato della Fiat Romiti orientato a spostare il core business dell’azienda sulle privatizzazioni delle utilities.
La forzata uscita di Ghidella due anni dopo segna il progressivo declino della Fiat Auto nel prodotto, nella qualità, nella tecnologia, nei risultati economici che durerà oltre quindici anni. Dal contendere alla Volkswagen il primato europeo del mercato, ed essere la prima casa estera sui mercati francese e tedesco, la Fiat Auto si ridurrà ad essere l’ultima tra le case costruttrici europee, a nulla valendo il turbillon dei vertici aziendali: nello spazio di pochi anni si succederanno senza risultati cinque amministratori delegati nella Capogruppo e quattro in Fiat Auto.
La soluzione individuata dall’azionista sarà quella di guardare oltre Atlantico.
IL NUOVO MILLENNIO E L’ALLEANZA CON GM
Il 13 marzo 2000 viene siglata una alleanza tra la General Motors e la Fiat, che prevede da parte americana la sottoscrizione di una partecipazione del 20% in Fiat Auto in cambio dell’entrata di Fiat nel capitale GM con una quota pari a circa il 5,1% per un valore di 2,4 miliardi di dollari, e tale da farla diventare il suo primo azionista privato.
Il punto nodale dell’accordo era però il riconoscimento a favore di Fiat del diritto di opzione (il cosiddetto “put”) per cedere il restante 80% di Fiat Auto a GM a partire dal quarto anno ed entro i successivi cinque anni dell’alleanza.
Con l’accordo la Fiat confermava, ancora una volta, che il suo punto di riferimento erano gli Stati Uniti. A differenza di quanto farà Sergio Marchionne con la Chrysler, il “put” garantiva l’azionista ma metteva al vento gli stabilimenti e i lavoratori italiani.
Più si avvicinava la data del “put” più nasceva nel middle management, nei quadri, nei lavoratori e negli stessi sindacati la convinzione che l’azienda avrebbe esercitato l’opzione di cessione alla GM della Fiat Auto.
Agli uomini Fiat che partecipavano alle riunioni presso l’headquarter GM Europe di Zurigo venivano indicati gli spazi, nell’ingresso, dove a breve avrebbero fatto bella mostra i marchi Fiat e Alfa Romeo accanto a quelli della GM, come Cadillac, Buick, Chevrolet, Opel, Vauxhall, ecc.
I piani di ristrutturazione e riorganizzazione produttiva (predisposti anticipatamente dagli americani) prevedevano poi il taglio di qualche stabilimento, ovviamente al di sotto della “linea gotica” dove nessun uomo della GM, americano o tedesco, durante gli anni della joint-venture, era sceso a visitare, se non altro per acculturamento, gli stabilimenti di Cassino, Pomigliano o Melfi.
L’ARRIVO DI MARCHIONNE
Il 1° giugno 2004, dimissionato dall’azionista il precedente amministratore delegato, Giuseppe Morchio, a causa del suo tentativo di assumere i pieni poteri dopo la morte di Umberto Agnelli, Sergio Marchionne diventa amministratore delegato del Gruppo Fiat.
Sergio Marchionne, pur sedendo da qualche anno nel consiglio di amministrazione come consigliere indipendente, è un personaggio totalmente sconosciuto non solo tra i lavoratori ma anche tra il management di primo livello.
Debutta con la presentazione di un rigoroso piano di contenimento dei costi e di rilancio industriale della Fiat, tale da trovare riscontro positivo, dopo anni, anche tra i sindacati, Fiom compresa.
Nei mesi seguenti Sergio Marchionne inizia ad essere conosciuto tra i lavoratori torinesi quando a Mirafiori inaugura la linea della nuova Punto, dimostrando la volontà di investire nello stabilimento storico della Fiat.
Quel giorno della inaugurazione sarà una delle poche volte che Sergio Marchionne, circondato dagli operai, sarà fotografato in giacca e cravatta (capitò in seguito che indossasse giacca e cravatta solo in visita dal Papa e dal Presidente della Repubblica, mentre rimise la cravatta sul maglioncino nero in occasione della presentazione del suo ultimo Business Plan nel giugno 2018, facendo fede alla promessa che l’avrebbe indossata nuovamente dopo anni solo all’azzeramento del debito).
Il legame tra Sergio Marchionne e i lavoratori Fiat per 14 anni si instaura già dopo pochi mesi, quando vince il braccio di ferro con la GM per evitare la cessione del settore auto agli americani.
Sergio Marchionne, nel settembre 2004, apre la partita quando comunica che non ci saranno rinvii sull’esercizio del “put” da parte di Fiat. Seguirà una dura trattativa con gli americani impegnati ad evitare l’acquisizione forzata di Fiat Auto e Sergio Marchionne deciso a non recedere dalla sua posizione di esercitare il “put”.
Fu una specie di poker (peraltro il gioco di carte preferito da Sergio Marchionne).
Gli americani dovevano solo andare a vedere se la Fiat stesse bluffando o meno nella dichiarata volontà di esercizio della clausola di “put”, ma non vollero correre il rischio e all’ultimo minuto, prima della deadline e a fronte di una minacciata azione legale della Fiat intenzionata a far valere i propri diritti, nel febbraio 2005 cedettero e giunsero alla sottoscrizione di un oneroso accordo, pur di non rilevare la Fiat Auto. GM pagò cash a Fiat 1,5 miliardi di euro e restituì la quota di partecipazione che aveva in Fiat Auto.
Da questo momento tra i lavoratori Fiat nasce quella popolarità e fiducia in Sergio Marchionne che si concretizzerà tangibilmente nella vittoria dei “sì” a favore dei suoi piani di rilancio produttivo nei referendum di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco.
L’OPERAZIONE CHRYSLER: NASCE FCA
Nel 2009 l’operazione Chrysler farà di Sergio Marchionne il vero e proprio “demiurgo” della Fiat di oggi, paragonabile se non superiore allo stesso Valletta, non solo per la grandezza del manager ma del vero e proprio imprenditore.
A seguito della crisi americana del 2008, Sergio Marchionne ha il colpo di genio di “comprare” una quota del mercato auto americano, rilevando la Chrysler ormai in procedura fallimentare.
Il 10 giugno 2009 Fiat ottiene il 20 per cento dell’azienda americana. Sergio Marchionne viene nominato amministratore delegato con l’endorsement del Presidente Barack Obama.
È la solida base su cui partirà un’alleanza che porterà Fiat ad essere tra i primi gruppi automobilistici del mondo.
Negli anni successivi Fiat aumenterà progressivamente la partecipazione in Chrysler sino a raggiungere il 100 % nel 2014, quando l’ultima assemblea degli azionisti tenutasi a Torino, il 1° agosto, approverà la fusione di Fiat con Chrysler per formare la FCA.
Sergio Marchionne ha sempre avuto chiaro (da italiano nel profondo) che gli utili prodotti nella risanata Chrysler dovevano coprire le perdite che gli stabilimenti italiani avrebbero subito ancora per un periodo non breve in attesa del lancio dei nuovi prodotti, come previsto dal suo ultimo Business Plan 2018-2022.
In questo senso suoi eredi sono anche gli operai di Mirafiori, Grugliasco, Pomigliano, ed in generale di tutti i lavoratori italiani della Fiat, il cui lavoro e “busta paga” sono stati salvaguardati proprio da Sergio Marchionne.
Se non ci fosse stato Sergio Marchionne, la fiat sarebbe scomparsa dal mercato auto.
Come sopra Sergio Marchionne l’uomo che salvò la fiat.