Fra i 19 Paesi dell’Eurozona, l’Italia è l’unico ad avere un outlook negativo. Non solo: dal 2010 l’economia italiana è cresciuta solo dello 0,6% in termini reali, contro il 10,6% per l’intera area valutaria. Lo scrive S&P Global Ratings nel suo ultimo report sull’andamento dei rating dei paesi sovrani della zona euro. “La crescita debole e l’incapacità dei policymaker di affrontarla spiegano le prospettive negative per il rating sovrano italiano”, si legge nell’analisi.
“Nei prossimi anni prevediamo un lento aumento del debito pubblico italiano – prosegue l’agenzia – accompagnato da un’ulteriore riduzione della leva finanziaria nel settore privato. Riteniamo che l’economia ristagnerà nel 2019 prima di riprendersi l’anno prossimo (0,6%)”.
Secondo S&P, al momento l’Italia non rischia di cadere nella spirale di una crisi del debito pubblico, “tuttavia in uno scenario alternativo in cui i policymaker perseguano soluzioni non ortodosse – come l’introduzione di una valuta parallela o di misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati Ue – l’adesione dell’Italia all’area euro potrebbe essere messa in discussione. In extremis, potrebbe verificarsi una nuova crisi di fiducia come quella avvenuta in Grecia nel giugno 2015, ma in un paese membro dell’Unione Europea molto più grande e con maggiore rilevanza sistemica”.
Per quanto riguarda le ragioni della crescita bassa, S&P spiega che “in primo luogo, i prestiti bancari hanno subito un forte rallentamento a partire dal 2010. In secondo luogo, la propensione del settore privato italiano al risparmio piuttosto che all’investimento è diventata ancora più marcata. Anche se l’economia italiana è molto più ricca di quella greca, le rigidità che caratterizzano il mercato del lavoro e il tessuto produttivo sono simili e frenano l’ingresso di nuovi attori e gli investimenti, con un impatto negativo sulla crescita”.
In questo contesto, “dopo aver vinto le elezioni parlamentari del marzo 2018, l’attuale coalizione di governo ha velocemente congelato le modeste iniziative di riforma – conclude l’agenzia di rating – e ha iniziato a contrastare la Commissione Europea sul suo mandato di vigilare sull’osservanza da parte degli Stati membri della regolamentazione fiscale dell’Unione. Una controversia aperta tra il governo di un paese e le istituzioni europee ha in genere effetti di secondo piano sul settore privato dell’economia, comprese le basi di finanziamento del sistema bancario di un paese. Questo è stato il caso della Grecia, un’economia molto più piccola (meno del 2% del Pil della zona Euro) nel giugno 2015. La questione è se sarà lo stesso anche per un’economia molto più grande come l’Italia, che rappresenta il 15% del Pil dell’Eurozona”.