“Quella di cui si sta discutendo non è una riforma federalista, ma è l’avvio di un processo che porterebbe alla dissoluzione dell’Italia: e non si tratta tanto e solo di una frattura Nord – Sud, perché è dubbio che il processo di autonomia differenziata di cui si parla possa portare effettivi benefici nel breve e soprattutto nel medio termine, a tutti i cittadini, compresi quelli delle regioni ricche.”
Gianfranco Viesti, noto economista che insegna all’Università di Bari, da tempo si è fatto promotore insieme ad alcuni colleghi di una vera e propria campagna per spiegare ai cittadini, ed agli stessi politici, il vero significato e le implicazioni del progetto di autonomia differenziata di cui si sta discutendo da diversi mesi e che per ora sembra arenato sulle secche delle divergenze tra i due soci di governo.
Tutto nasce dalla sciagurata riforma del titolo V della Costituzione varata nel 2001 dal governo di centro-sinistra con lo scopo di togliere appeal al richiamo localistico della Lega che allora interessava esclusivamente il Nord. Ma l’intento dei riformatori dell’articolo 116 della Costituzione era allora di elencare un certo numero di materie che le Regioni avrebbero potuto chiedere (ma si pensava ad una o due) in ragione di particolari esigenze territoriali diverse da quelle di altre Regioni. Nessuno pensava alla possibilità che una o più Regioni chiedessero di avere tutte le materie elencate nell’articolo.
Invece per motivi politici, dopo aver illuso i ricchi cittadini del Nord che era giusto tenersi i soldi che si guadagnavano sul proprio territorio, il Veneto, seguito dalla Lombardia e sciaguratamente dall’Emilia-Romagna hanno chiesto il trasferimento dallo Stato di un gran numero di materie: si va dalla scuola alle infrastrutture, all’energia, alle grandi opere, ai beni culturali, al lavoro.
Si pensi che la regione Lombardia ha chiesto il trasferimento di ben 131 nuove funzioni legislative ed amministrative. Senza peraltro fornire adeguata dimostrazione della maggiore efficienza della gestione regionale, rispetto a quella centrale. E del resto anche sulla sanità, fiore all’occhiello della gestione lombarda, si trascura di considerare che l’ex presidente Formigoni sta scontando una condanna a 5 anni di carcere proprio per uno scandalo riguardante le spese sanitarie.
Insomma, se passasse la normativa che in gran segreto si sta discutendo tra Governo e Regioni si creerebbe un caos totale, aumenterebbe il contenzioso amministrativo e forse costituzionale tra centro e periferia, si ridurrebbero al lumicino gli spazi di manovra del Governo centrale ed in definitiva si avvierebbe lo sgretolamento del paese.
“Nei paesi dove c’è un federalismo forte e ben ordinato esiste – afferma il professor Viesti – un potere centrale saldo ed autorevole con attribuzioni ben precise. Occorrerebbe quindi in Italia avviare un processo riformatore che abbia da un lato la capacità di rafforzare il governo di Roma e dall’altro di avviare una modifica generale delle autonomie locali mettendo tutti sullo stesso piano. In questo quadro vanno riviste anche le attribuzioni delle Regioni a statuto speciale in quanto con l’attuale sistema si creano delle sperequazioni tra territori limitrofi. E’ ovvio che il Veneto soffre per gli strapoteri del Trentino – Alto Adige e del Friuli e che quindi cerchi di imitarli in tutto e per tutto. Ma questo sposta solo il confine delle discriminazioni più a valle e quando tutte le regioni avranno richiesto ed ottenuto analoghi poteri a quelli del Veneto ci sarebbe o un forte incremento della spesa pubblica con probabile fallimento dello Stato, oppure si accentuerebbero squilibri tra i singoli cittadini in maniera sicuramente anti costituzionale.”
In altre parole rischiamo uno sbandamento dell’ Italia simile a quello avvenuto in Spagna dove l’autonomia differenziata concessa ai Paesi Baschi ha indotto i Catalani ad avanzare analoghe richieste che il Governo centrale ha dovuto stoppare con misure di polizia e giudiziarie molto energiche. Inoltre, una così larga autonomia concessa alle Regioni aumenterebbe di molto il volume di denaro intermediato dalla classe politica locale distruggendo quel poco che rimane dei partiti nazionali che avevano la capacità di mediare al loro interno le spinte localistiche favorendo una sintesi politica vantaggiosa per l’interesse generale, come è avvenuto almeno per i primi vent’anni del secondo dopoguerra. Si avrebbero partiti ancora più in balia dei boiardi locali che avrebbero tutte le leve per gestire il consenso. Ed anche le Confederazioni sindacali nazionali vedrebbero frantumato il loro potere di uniformare le condizioni di lavoro su tutto il territorio nazionale.
Se parliamo di squilibri finanziari, mi sembra che il ministro del Tesoro abbia chiaramente affermato che il regionalismo può essere fatto solo a condizione di non provocare aumenti di spesa pubblica.
“Questo è vero – dice Viesti – e tuttavia dopo che Gentiloni aveva accettato il principio che le Regioni con maggio reddito potessero contare su risorse maggiori di quelle attualmente spese dallo Stato, con l’attuale Governo si è tentata una marcia indietro. E tuttavia dalle bozze di accordo finora circolate, si evince che con complicati meccanismi i cui effetti sulla spesa sono largamente indeterminati, si tenta di prospettare un graduale aumento delle risorse a disposizione delle Regioni a maggior gettito fiscale, aggirando così la prescrizione di Tria circa il non aumento della spesa complessiva. Il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard è una operazione molto complessa e delicata che rischia di creare nuovi squilibri non solo tra Nord e Sud ma anche all’interno delle stesse regioni più ricche“.
Si tratta insomma di capire bene gli effetti di certe misure. Sulla sanità, ad esempio l’attuale ripartizione del Fondo Nazionale sulla base della popolazione e del suo invecchiamento non dà luogo ad una equa suddivisione dei fondi in quanto sarebbe opportuno prendere in considerazione anche altri parametri collegati alle caratteristiche sociali e sanitarie della popolazione che in alcune zone soffre di malattie che invece sono sconosciute in altre.
“Ma prendiamo il caso delle infrastrutture e della politica industriale. La Liguria , ad esempio rivendica la piena responsabilità sui suoi porti, sull’aeroporto e sulla viabilità. Gli industriali del Nord hanno valutato cosa può significare andare a trattare con la regione le tariffe per far passare le loro merci da Genova? Tutti rivendicano poi la responsabilità della erogazione dei fondi che lo Stato attualmente destina alla politica industriale. Ma come potrebbero politiche industriali regionali non essere collegate al centro? Come potrebbe ogni Regione fare i propri centri di ricerca o incentivare alcune imprese in concorrenza con quelle della Regione vicina? Si rischia di aumentare gli sprechi di soldi pubblici o di creare disparità come quelle che gli industriali italiani lamentano esistere nei confronti della Slovacchia o della Romania”.
Già l’Italia come paese è troppo piccolo per poter competere nel mondo. Ed infatti dobbiamo stare in Europa e starci in maniera convinta ed autorevole. Economie regionali più piccole sarebbe esposte agli attacchi dei competitori internazionali. Lo stesso concetto di surplus fiscale sul quale politici spregiudicati hanno costruito le loro fortune promettendo di distribuire ai cittadini delle regioni ricche quello che oggi viene dato a chi non produce e vive di sussidi, è un po’ una bufala. Aziende che hanno sede al Nord e stabilimenti in tutta Italia, dove producono il reddito per le tasse che pagano nella loro Regione?
Certo ci sono fatti storici che segnano differenze strutturali tra varie parti del paese. Ma questi non si superano tentando di accaparrare una fetta maggiore della torta, ma cercando, con opportune politiche si far crescere questa torta per tutti.
E queste politiche passano anche per un riordino istituzionale. Le Regioni, a quasi cinquant’anni dalla loro istituzione, hanno bisogno di una manutenzione straordinaria. In primo luogo bisognerebbe capire come hanno funzionato finora e se non c’è stato una malintesa interpretazione della autonomia che ha portato ad una moltiplicazione della burocrazia, ad uno spezzettamento dei servizi ( dalla sanità ai trasporti ) che non ha molto senso per il cittadino.
In genere c’è stato un aumento delle spese, troppo spesso non giustificato dall’efficienza e dallo sviluppo del territorio. Questo tipo di autonomia differenziata di cui si discute non solo non pone riparo alle evidenti disfunzioni delle attuali Regioni, ma al contrario accentua le inefficienze complessive del sistema fino ad arrivare vicino alla disgregazione del nostro già fragile Stato nazionale.
Da Borbonico Campano sono d’accordo sull’autonomia differenziata, perchè sarebbe l’inizio della fine dello stato italiano….Dopo 163 anni è giunta l’ora di dire addio all’italia !