Come riportato da SACE, ad aprile l’export italiano è avanzato a ritmi significativi rispetto allo stesso periodo del 2018 (+5,8%), risultato che porta la crescita del primo quadrimestre a +2,9%, dove il calo dei volumi esportati (-0,6%) è stato più che compensato dall’aumento dei valori medi unitari. Le vendite in Regno Unito (+13,7%) e Belgio (+5%) stanno beneficiando, rispettivamente, dell’«effetto scorte» pre-Brexit e del traino della farmaceutica. In Polonia (-6%) pesa la dinamica debole dell’automotive; bene invece Francia (+2,7%), Austria (+3,1%), Svizzera (+17,8%), India (+8,7%) e Africa Subsahariana (+6,9%). Calo marcato invece in Mercosur (-9,1%) e, più lieve, in Russia (-0,6%). In Cina si chiude al +0,8%. L’export italiano continua ad avanzare in Giappone (+12,9%) e USA (+6,5%), ma con dinamiche opposte in alcuni dei principali settori: la farmaceutica traina le vendite verso Washington e si rivela il comparto peggiore per chi fa business a Tokyo, mentre i mezzi di trasporto crollano sul mercato americano (-20%) e volano nel Sol Levante. Dinamica comune invece per quanto riguarda il food and beverage (oltre il 10%): in Giappone questo potrebbe riflettere alcuni primi effetti dell’accordo commerciale siglato con l’UE.
Dal punto di vista settoriale, i beni di consumo continuano a trainare le vendite (+8,5%), grazie in particolare ai non durevoli (+10,2%), che includono alimentari, bevande e prodotti farmaceutici. È stato invece contenuto l’incremento dei beni durevoli (+0,9%), mentre l’export dei beni intermedi avanza del 2,8%. Anche in questo caso, non si arresta l’andamento favorevole della farmaceutica: oltre che negli USA, si registrano incrementi significativi in Germania e Francia; tra i principali emergenti, ottima la performance in Cina, India e Russia. L’export di alimentari e bevande cresce in modo trasversale a livello geografico: tra le poche eccezioni vi sono Mercosur, India e Turchia. È invece debole la dinamica delle vendite di apparecchi elettrici (-1,4%), con la significativa eccezione degli USA (+15%). Tra gli altri settori, si segnala l’andamento positivo di tessile e abbigliamento e metallurgia. La meccanica strumentale segna un aumento del +2,5%.
Sebbene nel 2019 i volumi degli scambi commerciali si manterranno su questi livelli, nel Rapporto Export pubblicato recentemente SACE prevede un rafforzamento delle esportazioni che, già dal 2020, grazie anche a un relativo miglioramento della competitività dei prezzi, avanzeranno a una media del 4,3%, nei prossimi tre anni, consentendo di avvicinare quota 500 miliardi di euro. Note positive anche i servizi, che nel 2018, per la prima volta, hanno superato il valore di 100 mld e sono previsti crescere a un tasso lievemente più sostenuto rispetto all’export di beni (+3,7% nell’anno in corso e +4,6%, in media, nel periodo 2020-2022). Questo significa buone notizie per le imprese che cercano nuove opportunità sui mercati internazionali, in uno scenario che vede, dal 2010 al 2018, l’export come l’unico contributo positivo alla crescita dell’economia italiana nel suo complesso, riuscendo a compensare e superare, con i suoi sette punti percentuali, il calo registrato dalle altre componenti del PIL nazionale. La crescita dell’export degli ultimi anni, tuttavia, non è di per sé garanzia di successo anche per il futuro: l’esperienza dello scorso anno insegna che le previsioni possono essere disattese in un clima di elevata incertezza, come è stato e continua a essere evidente con le fasi alterne nei rapporti commerciali tra USA e Cina o con il difficoltoso processo di uscita del Regno Unito dall’UE. Ecco allora che, in presenza di numerosi, rischi al ribasso, ampliare e diversificare i mercati di riferimento continua a rappresentare la strategia vincente per le imprese.
Nel prossimo triennio i piani di internazionalizzazione delle imprese potranno approfittare della dinamica positiva nelle principali economie dell’Asia-Pacifico e del Nord America (come Cina, Corea del Sud, India, Vietnam e USA) senza sottostimare le potenzialità di Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria e Russia in Europa emergente e CSI. La domanda per il Made in Italy riprenderà a crescere anche in America Latina (in particolare in Messico, Brasile e Cile), mentre in Medio Oriente e Nord Africa i rialzi attesi delle vendite in Egitto, Marocco, Tunisia, Qatar ed Emirati compenseranno i cali previsti in Turchia e Algeria. L’export verso l’Africa Subsahariana continuerà a registrare una performance particolarmente vivace, sia verso i principali mercati di Sudafrica, Nigeria, Angola e Kenya, sia verso le altre economie emergenti dell’area, come Tanzania, Senegal e Ghana. In maniera trasversale a tutti i settori, le imprese potranno inoltre approfittare delle opportunità che si apriranno grazie al progressivo aumento dei tassi di urbanizzazione nel medio termine: gli analisti stimano 6,7 miliardi di persone vivere nei centri urbani entro il 2050, in rapida espansione soprattutto nei Paesi emergenti (66% nel 2050 rispetto al 52% attuale), in particolare in Asia e Africa. Ciò significa un ulteriore traino a crescita e diversificazione della domanda con opportunità derivanti dallo sviluppo urbano e da una nuova classe di consumatori dal reddito più elevato, senza dimenticare la meccanizzazione dei processi produttivi, l’ammodernamento delle infrastrutture idriche, energetiche e dei trasporti, agricoltura e trasformazione alimentare.
In questo scenario, le esportazioni dei prodotti dell’agroalimentare, in particolare, sono previste in aumento del 3,8%, mentre a registrare la crescita più moderata (+3,1% nel 2019) saranno i beni di investimento, che soffrono l’incertezza globale e le difficoltà del settore automotive. Il rallentamento della domanda mondiale non dovrebbe invece avere ripercussioni sui beni di consumo (+3,4%), in particolare su abbigliamento e arredamento, così come quelli intermedi (+3,6%) che, seppur in decelerazione rispetto al 2018, contribuiranno alla dinamica positiva dell’export, grazie, ancora una volta, alla farmaceutica.