Anche il blasone secolare della siderurgia italiana, la Magona d’Italia, è passata di mano. A Piombino, dove hanno contato a lungo su bilanci pingui i nobili fiorentini dei Marchi (detti anche marchi d’oro) o in anni più recenti la famiglia Lucchini, sono arrivati quelli della Liberty Steel. L’indiano Sanjev Gupta, acquisendo per 700 milioni le cessioni di alcuni impianti imposti dall’antitrust europeo ad Arcelor Mittal, si piazza come terzo interlocutore del mercato nel cuore dell’Europa e del Mediterraneo. Jindal, nel frattempo, prosegue la sua stabilizzazione nelle Acciaierie di Piombino rilevate dell’algerina Ferpi, che ha abbandonato di fatto quello che era il gioiello dell’impero bresciano dei Lucchini. Va avanti con i piedi di piombo nell’attesa di tempi migliori, prima di sciogliere il dilemma se alimentare i treni di laminazione con acciaio da altoforno o con l’alternativa di una acciaieria elettrica.
Così a Piombino si sta concentrando un polo siderurgico proteso a tutta la gamma dei prodotti lunghi e delle rotaie fino alla filiera dei prodotti piani ad alto valore aggiunto come la banda preverniciata e zincata. Tutto quanto in aggiunta al porto in mano indiane. Gli uomini dell’acciaio italiano sembrano nicchiare estraendosi completamente dalle manovre di mercato che rischiano di accerchiarli e di emarginarli. Solo il vecchio leone Giovanni Arvedi si era mosso con Luciano Del Vecchio per contrastare la discesa di Mittal a Taranto e di Jindal a Piombino.
Oggi l’attenzione degli osservatori è tutta su Taranto. La decisione di Arcelor Mittal di mettere in discussione il contratto di acquisto del più grande impianto europeo dopo che sono cadute le “guarentigie” giuridiche messe in piedi come scudo penale per i Commissari designati a pilotare lo stabilimento dal disastro lasciato dai Riva verso possibili acquirenti, non ha trovato ad oggi un confronto costruttivo né sulla stampa né, soprattutto, negli ambienti professionali di riferimento. Pare tutto un gioco delle tre carte e il governo italiano non fa certamente una bella figura. Lo scudo eretto a suo tempo attorno ai Commissari era già una forzatura forse anche di natura anticostituzionale. Una decisione temporanea per fermare l’accetta della magistratura tarantina che mirava a tagliare definitivamente ogni prospettiva di ripresa per l’impianto e per i suoi oltre ventimila addetti tra diretti ed indotti.
Non era pensabile proseguire in eterno con questo scudo anche per la nuova proprietà. Con i lavori ormai avanzati per la copertura dei parchi minerari (forse la fonte di maggior inquinamento e disagio) e con un ciclo produttivo che si sta assestando sui 6 milioni di tonnellate l’anno, una soluzione in grado di togliere i timori di Mittal e di salvaguardare le esigenze indifferibili di uno stato di diritto potrebbe anche essere trovata. Si tratta di dettare tempi certi di risoluzione dei nodi ambientali più delicati; di definire metodi avanzati e collaudati degli interventi; di concordare cronogrammi certi e monitorati delle migliorie: il tutto sottoposto al consenso delle parti e soprattutto dell’organo giudiziario tarantino. Per dimensioni diverse e in situazioni mediaticamente meno esposte potremmo citare decine e decine di situazioni di acciaierie riammesse dalla Giustizia alla produzione a fronte di un piano certo di interventi di bonifica e di migliorie tecnologiche.
Si dice che la congiuntura negativa dell’acciaio italiano (vedremo le semestrali) messo in difficoltà dalle massicce importazioni dalla Turchia, dall’Ucraina e dall’Oriente cinese, abbia anch’essa influito sulla reazione di Mittal. Fonti vicine ai vertici di Arcelor suggeriscono di guardare a quanto accaduto ai vertici tedeschi della Tyssen dopo il disastro dello stabilimento di Torino. I morti del laminatoio hanno trascinato nelle responsabilità penali (e alla definitiva condanna con richiesta di carcerazione) non solo i dirigenti dello stabilimento ma anche i due massimi esponenti della multinazionale tedesca. Mittal può rischiare un ipotetico simile destino? Certo che no. Ecco perché il passaggio delle prossime settimane dovrà riguardare certamente il futuro di Taranto, ma sapendo che sotto questo profilo sarà necessario alzare il grado delle certezze per oggi e per il domani.
Mentre nella prateria vede gli indiani vanno a tutto galoppo, il Settimo Cavalleggeri cosa fa? Arrivano i nostri? Pare proprio di no. I cosiddetti bresciani hanno messo in solaio il fieno abbondante dei bilanci 2018, per tutti positivi. Il ciclo del mercato ormai viene affrontato a colpi di Cig. Le importazioni extra Cee passano spesso da canali amici. E allora lasciamo fare agli indiani.