In America la chiamano con un’efficacissima definizione, The Retail Apocalypse, e sta sconvolgendo la distribuzione tradizionale in tutto il mondo, senza eccezioni. Il licenziamento comunicato l’altro giorno a Parigi dal vertice di Carrefour di ben 1.500 dipendenti in Francia è solo l’ultima spia, dopo il primo taglio che aveva da poco eliminato 4.800 posti di lavoro in Francia, Argentina e Belgio, di questo disastro che pare solo agli inizi. Da qui al 2022 dovranno essere eliminati 400mila mq delle superfici degli ipermercati di Carrefour. Il licenziamento appena annunciato si inquadra nelle misure consentite dalle nuove norme sul diritto del lavoro francese introdotte nel 2018.
Il gruppo ha avviato subito degli incontri con i sindacati, contando di arrivare ad un accordo particolare e previsto per i licenziamenti collettivi, definito accordo di rottura convenzionale collettiva (RCC) anche in assenza di motivi economici. Ma sarà molto dura… Auchan, un altro simbolo dei giganteschi luoghi dello shopping è da tempo in crisi – con l’esclusione della Cina – e il 13 marzo ha annunciato un calo del fatturato 2018 del 3,2 per cento con una perdita di 1 miliardo di euro. All’origine di queste ed altre pesanti situazioni finanziarie, l’avanzata travolgente dell’e-commerce spesso disinvoltamente praticato con sottocosti costanti, prezzi stracciati e anche con prodotti non sempre di qualità.
ESEMPI VINCENTI APPLE STORE E EATALY
La formula dei mega spazi è inoltre ormai priva di attrazione: anzi, quel che sta conquistando consumatori giovani e anziani è lo store dove il consumatore prova emozione, avvolto da un’atmosfera di grande fascino; gli Apple stores o quelli festosi dell’italiana Eataly del visionario Oscar Farinetti ne sono un esempio. È per quello che anche in altri settori come l’arredamento o l’abbigliamento piacciono tanto le showroom delle aziende, perché a proporre direttamente i prodotti è chi li progetta, li fabbrica e li sa circondare di emozioni…
I numeri della Retail Apocalypse sono però terribili: secondo Euler Hermes, i fallimenti di aziende con fatturati superiori ai 50 milioni di euro – quasi tutti del settore retail – hanno toccato nel mondo un valore (distrutto) di oltre 62 miliardi di euro solo nei primi mesi del 2018. Mediamente negli Usa chiudono circa 7mila punti vendita l’anno, in gran parte di abbigliamento e elettronica, con un picco di 8mila nel 2017. Nel settore dei giochi e giocattoli sono falliti nomi storici di fama mondiale come Toys in Usa e Maplin in Inghilterra; in Francia un’illustre vittima, la Grand Récré, ha messo in evidenza un dato mondiale: in questo settore Amazon ha raggiunto una quota di mercato monstre di oltre il 30%.
IL DISASTRO CON LA BREXIT
Molti prodotti dell’e-commerce provengono dalla Cina, dove la crisi mondiale dei consumi preoccupa molto, poiché interi quartieri di molte prefetture sono letteralmente traboccanti di cianfrusaglie di plastica che pian piano anche le catene off e online di prezzi stracciati cominciano a rifiutare. E che la Cina sta riversando sui paesi africani causando la disfatta di migliaia e migliaia di piccoli operatori locali tradizionali: un’altra faccia della Retail Apocalypse. Se Amazon mantiene il ritmo attuale di crescita, con Alibaba e altri che stanno raggiungendola, cosa succederà al retail tradizionale rimasto?
Nel 2018 i social network che alimentano soprattutto tramite gli smartphpone gli ordini dell’e-commerce, sono aumentati di oltre 100 milioni di utenti. E a star peggio, secondo i grandi esperti del settore, sarà l’Inghilterra che già con le incertezze della Brexit ha visto una rovinosa accelerazione delle chiusure di catene e negozi anche illustri. E proprio per la scelta di starsene per proprio conto, andrà incontro ad un ulteriore peggioramento della competitività dei punti vendita tradizionali costretti a pagare sempre più cari i prodotti di importazione che sono la maggior parte di quelli sugli scaffali.