Frenare i Barbari è urgente ma la costruzione di un’alternativa democratica al populismo e al sovranismo sarà una lunga traversata nel deserto che potrà dare frutti solo nel medio-lungo periodo e che non tollera scorciatoie su improvvisate e subalterne alleanze del Pd con i Cinque Stelle che finirebbero per essere un rimedio peggiore del male. Economista e politologo di grande spessore culturale, Michele Salvati è stato tra gli ispiratori del Partito democratico e non nasconde la sua delusione per l’involuzione che il Pd ha subito nel corso degli anni. Oggi è più che mai convinto che, solo ridefinendo la sua identità in senso inequivocabilmente riformista ed europeista e trovando un leader estraneo alle guerre interne (del tipo di Bentivogli o di Minniti), il Pd potrà dare il suo contributo alla formazione di una alternativa democratica, che è sempre più urgente, come spiega in questa intervista rilasciata a FIRSTonline.
Professor Salvati, domenica scorsa Lei ha lanciato dalle colonne del Corriere della Sera un appello a Forza Italia e al Pd perché non cedano alle sirene del populismo qualora si sfasciasse l’attuale coalizione Lega-Cinque Stelle. Tuttavia, se la tendenza emersa dalle recenti elezioni nel Trentino Alto Adige dovesse essere confermata sul piano nazionale, quell’appello – almeno sul versante di destra – è in parte superato nei fatti, perché Forza Italia è praticamente scomparsa e già assorbita dalla Lega: siamo al tramonto definitivo del sogno di una destra conservatrice ma moderna per l’Italia?
“In effetti la Lega è in crescita ovunque e attrae ogni giorno di più elettori che una volta erano di Forza Italia. D’altra parte, al di là di qualche bellicosa dichiarazione, mi pare che Silvio Berlusconi abbia ceduto e che quindi Salvini abbia campo libero, probabilmente con l’intenzione di arrivare con questo governo fino alle elezioni europee e poi, se il voto confermerà la sua crescita, di puntare a nuove elezioni politiche e di liberarsi dei 5 Stelle. Per quel che si può intuire, anche se è difficile fare previsioni, mi sembra possibile che nella prossima legislatura la destra a trazione leghista possa avere i numeri per governare da sola, probabilmente su una linea – soprattutto di politica economica – meno estremista di quella praticata oggi, se i mercati non faranno saltare tutto prima”.
Se Forza Italia piange, certamente il Pd non ride e, malgrado la resistenza antipopulista di Renzi e dei suoi, la tentazione di una scorciatoia per tornare in campo attraverso un’alleanza inevitabilmente subalterna con i Cinque Stelle è diffusa: pensa che, in vista del congresso, questa spinta possa crescere dentro il Pd e che, malgrado le smentite d’ufficio, il candidato alla segreteria Nicola Zingaretti sarà indotto a cavalcarla?
“Un tentativo del Pd di tornare al centro della scena con un’alleanza con i 5 Stelle -inevitabilmente subalterna, come ha appena detto- sarebbe un rimedio peggiore del male. Nel Pd oggi c’è molta confusione e toni inutilmente accesi pro e contro Renzi. Al di là della simpatia o antipatia verso l’ex premier e segretario del Pd mi sembra che ci sia una spinta pericolosa e acritica a cancellare non tanto la sua leadership ma tutte le riforme che sono state fatte in epoca renziana, sia quelle positive che quelle meno riuscite. Personalmente penso che Zingaretti sia un politico esperto e saggio ma temo che sia prigioniero delle correnti che lo sostengono e che rischiano di spingerlo verso una pericolosa alleanza con i Cinque Stelle”.
Mi pare quindi di capire che Lei pensa che occorrerebbe tentare di cacciare i Barbari dal Governo dell’Italia anziché provare a civilizzarli per allontanare davvero lo spettro del populismo e costruire un’alternativa democratica?
“Nel breve periodo sarebbe già apprezzabile riuscire a frenare i Barbari. Ma è urgente farlo”.
Non crede che per opporsi efficacemente alle sirene del populismo il Pd dovrebbe darsi un’identità riconoscibile, definire una visione, elaborare le linee guida di un progetto e di una piattaforma politico-programmatica e, in rapporto al campo di gioco che difficilmente tornerà maggioritario, a ricercare le alleanze possibili senza snaturarsi?
“Certamente sì. E’ ora di superare l’incertezza su quale animale politico sia il Pd, se un partito di sinistra liberale, democratica e riformista o un partito che corteggia gli estremisti e i populisti. La costruzione dell’alternativa democratica al populismo è una difficile traversata nel deserto che potrà dare frutti solo nel medio-lungo periodo e non può essere compito di un solo partito. Se il PD vuole essere il perno di questa alternativa dev’essere un perno stabile: insomma il conflitto tra renziani e antirenziani deve attenuarsi, e di molto, e il congresso dovrebbe essere il suggello di una effettiva unità di fronte all’avversario esterno. Critiche e autocritiche serie sono inevitabili e benvenute: una eccellente è quella contenuta nel recente libro di Marco Leonardi, “Le riforme dimezzate”. Ma soprattutto ci dev’essere un vero accordo su alcuni punti base, perché senza di questo la convergenza delle diverse correnti sarebbe solo di facciata e lascerebbe aperti tutti i conflitti che hanno offuscato l’immagine del PD negli ultimi anni. In un lungo articolo sul Foglio ho cercato di indicare quali potrebbero essere questi punti base e ora posso solo indicare quello che mi sembra il più spinoso, l’atteggiamento da tenere con i 5 Stelle: questo movimento mi sembra un avversario ancora più ambiguo e pericoloso dell’avversario di sempre, la destra, ora in via di ricompattamento sotto la leadership di Salvini. Più ambiguo per gli echi che suscita in una sinistra che non ha ancora maturato una posizione riformistica adeguata alle circostanze italiane, europee e internazionali oggi prevalenti”.
E se questo non avvenisse che cosa succederebbe?
“Succederebbe che, senza un limpido accordo interno e una chiara fisionomia riformista, accettata da tutti, il Pd finirebbe per frantumarsi ancora. L’urgenza di una identità riformista come base inequivocabile per tentare il rilancio non si risolve accantonando Renzi e il passato. E nemmeno cambiando nome al contenitore se i contenuti restano gli stessi. Nessuno ha mai detto che il mestiere di un riformista sia un mestiere facile e oggi, come già nel periodo tra le due guerre, la democrazia è entrata in conflitto contro il suo vero nemico, contro Behemoth, il mostro dell’anarchia e della confusione, evocato da demagoghi cui proprio i caratteri liberali della democrazia e i nuovi strumenti di comunicazione concedono la massima influenza in un periodo di “ribellione delle masse”, per ricordare il titolo di un famoso libro di Ortega y Gasset”.
Sembra di capire dalle sue parole che il dibattito congressuale che il Pd sta avviando non la convinca molto e che forse la convincono ancor meno le candidature in campo.
“Non è solo questione di persone ma, in una situazione difficile come quella che vive oggi il Pd, forse servirebbe un leader estraneo alle guerre fratricide del recente passato e che porti aria nuova, insieme alla capacità di fare i conti con le grandi sfide del nostro tempo”.
A chi sta pensando? Faccia un nome.
“I nomi che mi vengono in mente servono solo per dare un’idea di una esigenza del partito in questa fase. Potrebbe trattarsi di un leader riformista come il segretario dei metalmeccanici della Cisl, Marco Bentivogli, se fosse disponibile. O di una persona capace e coraggiosa come Minniti: entrambi hanno la caratteristica di non essere identificabili con l’esperienza renziana – e questo potrebbe soddisfare gli antirenziani – anche se ne proseguirebbero la spinta riformista, e di questo i renziani potrebbero accontentarsi”.
Resta però il problema delle alleanze.
“Se il campo di gioco resterà il sistema proporzionale, è evidente che non si possa pensare di raccogliere da soli il 51% o anche solo il 40% dei voti. Ma il problema delle alleanze è il punto d’arrivo e non di partenza della costruzione di un’alternativa democratica al populismo e al sovranismo, che non può che partire da contenuti politici chiari e facilmente riconoscibili. E’ su questa base che il Pd deve cercare di recuperare i consensi perduti, non inseguendo alleanze equivoche con i Cinque Stelle, che snaturerebbero del tutto la proposta riformista ed europeista”.
Le prossime elezioni europee, anche se si giocheranno con il sistema proporzionale, potrebbero essere una prima occasione per opporsi al sovranismo e all’anti-europeismo senza inutili ammucchiate ma con uno schieramento largo che vada da Tsipras a Macron?
“Sì, le elezioni europee possono diventare una prima occasione per ripartire, purché ci si presenti nel modo giusto e con connotati riformatori inconfondibili: il PD potrebbe essere l’unico grande partito che sventola con chiarezza e fierezza la bandiera europea e questo potrebbe essere un vantaggio. In tal caso il campo in cui collocarsi è certamente quello che ha come perno Macron. Quello che sta succedendo in Gran Bretagna, dove una parte sempre più larga di popolazione si rende conto dell’enorme abbaglio del voto pro-Brexit, autorizza qualche speranza in più”.
C’è chi dice che in realtà il ribaltamento delle attuali tendenze sovraniste, populiste e antieuropeiste che circolano in Italia possa avvenire solo nel medio-lungo periodo o solo dopo uno choc come sarebbe la sciagurata uscita dall’euro o – se la manovra di bilancio del Governo andrà a sbattere contro il muro – l’arrivo di una patrimoniale o l’obbligo di donare l’oro alla Patria attraverso i Btp o il consolidamento del debito pubblico: Lei che ne pensa?
“Viviamo tempi estremamente incerti. Ho letto anch’io su FIRSTonline l’analisi della situazione e delle prospettive aperte dalla sciagurata manovra di bilancio che ha fatto Filippo Cavazzuti e degli incubi che essa evoca e non si può escludere che i mercati ce la facciano pagare. In questo caso i costi per l’Italia sarebbe molto pesanti e non è detto che la ricostruzione di un’alternativa democratica al populismo diventi più facile”.
Intervista molto interessante. Condivido al 100 per cento le
posizioni di Salvati su nomi e alleanze. Credo tuttavia che il
problema fondamentale sia riuscire a contrapporre una narrativa e una
visione dell’Europa alternative a quella dei sovranisti-populisti. Le
soluzioni da loro offerte ai problemi posti, diciamo per semplicità
dalla globalizzazione, sono infatti sbagliate ma i problemi sono reali
a mi piacerebbe una maggiore riflessione sul punto da parte del fronte
europeista.