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Addio Qe: mutui e investimenti, ecco cosa cambia

La fine della politica monetaria ultra-espansiva della Bce farà aumentare le rate dei mutui a tasso variabile e il costo dei nuovi prestiti a tasso fisso – La situazione è invece più complicata sul versante del risparmio, con azioni e obbligazioni che reagiranno in modo opposto

Giovedì 14 giugno il presidente della Bce, Mario Draghi, ha annunciato che dal primo gennaio 2019 l’Eurotower chiuderà i rubinetti del quantitative easing, il programma di acquisto titoli che dal 2015 ha portato nella pancia di Francoforte obbligazioni pubbliche e private per migliaia di miliardi di euro. Per quanto riguarda invece i tassi d’interesse, torneranno a salire a partire dall’estate dell’anno prossimo.

Cosa significa tutto questo per l’economia reale?

COSA CAMBIA PER I MUTUI A TASSO FISSO…

Iniziamo dai mutui. Chi ne ha già sottoscritto uno a tasso fisso può stare tranquillo: la rata non cambia. Chi invece non ha ancora acceso un mutuo, ma vorrebbe farlo, deve sbrigarsi a firmare. In previsione dell’aumento dei tassi praticati dalla Bce, infatti, è prevedibile che già da settembre alcune banche aumenteranno lo spread (cioè il loro margine di guadagno) sui contratti a lungo termine. In altre parole, i nuovi mutui a tasso fisso saranno meno convenienti di quelli accesi negli ultimi tre anni. Su un prestito ventennale da 100mila euro, un aumento del tasso dal 2 al 3% comporta un rincaro della rata pari al 10%, da circa 500 a circa 550 euro al mese.

…E PER QUELLI A TASSO VARIABILE

La situazione è diversa per il tasso variabile. Di solito questo tipo di mutui è ancorato al tasso Euribor a 3 mesi, che attualmente è negativo (-0,32%). Non ci dovrebbero essere cambiamenti significativi finché non salirà il tasso praticato nei confronti delle banche che depositano i loro fondi nelle casse della Bce (oggi al -0,40%). Quando però, fra un anno, l’Eurotower metterà mano ai tassi di riferimento, aumenterà anche l’Euribor, che trascinerà con sé il tasso variabile dei mutui. Non sarà piacevole, ma nemmeno drammatico, considerando che un aumento dello 0,3/0,4% farebbe salire la rata di una ventina di euro.

AI RISPARMIATORI CONVIENE?

Per chi ha investito i propri risparmi, invece, la fine della politica monetaria ultra-espansiva della Bce è una notizia ambivalente: positiva per chi ha puntato sulle obbligazioni e potenzialmente negativa per chi ha scelto il mercato azionario.

COSA CAMBIA SUL MERCATO OBBLIGAZIONARIO…

Negli ultimi anni l’ondata di acquisti da parte dell’Eurotower ha fatto crollare i rendimenti dei bond. Questo ha creato problemi a investitori istituzionali come i fondi pensione, che però sono riusciti a far quadrare i conti grazie alla bassa inflazione, che ha permesso di mantenere il valore reale dei capitali investiti praticamente invariato. A breve questo scenario cambierà, perché l’inflazione dovrebbe stabilizzarsi alla quota-obiettivo della Bce (inferiore ma vicina al 2%) e in parallelo i rendimenti delle obbligazioni torneranno a salire, ridiventando appetibili per i risparmiatori.

…E SU QUELLO AZIONARIO

Il discorso è inverso per il mercato azionario, che dal Qe ha tratto beneficio per due ragioni: primo, perché l’intervento della Bce (insieme alla ripresa economica) ha aumentato a dismisura la liquidità in circolazione, favorendo gli investimenti e aumentando la propensione al rischio; secondo, perché i rendimenti bassi dei bond hanno indotto molti investitori a dirottare i capitali sulle azioni. In teoria, la fine del quantitative easing e l’aumento dei tassi dovrebbero invertire questa tendenza. D’altra parte, l’operazione sarà molto graduale e il corso dei listini azionari è influenzato anche da molti altri fattori, per cui il cambiamento della politica monetaria non basta da solo a far prevedere l’avvio di una fase negativa.

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