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Marittimi solo italiani sui traghetti? Governo alla prova

L’entrata in vigore del controverso decreto che fa obbligo alle navi iscritte nel Registro navale italiano di utilizzare solo personale italiano o comunitario spacca gli armatori e agita i sindacati ma diventa anche un test molto significativo per il nuovo Governo e per la Lega di Salvini

Marittimi solo italiani sui traghetti? Governo alla prova

Il Governo 5 Stelle Lega, ottenuta la fiducia delle Camere, si avvia nel mare aperto per realizzare l’impegnativo  “contratto” sottoscritto da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini. Anche se per un certo periodo l’Esecutivo potrà forse godere della tradizionale “luna di miele” di chi ottiene un successo politico, il percorso si annuncia accidentato e non privo di insidie. Soprattutto per gli effetti  dirompenti che potrebbero nascere sul fronte della spesa pubblica corrente e degli equilibri di bilancio. All’orizzonte si delineano anche vicende particolari, apparentemente di ordinaria amministrazione e di impatto finanziario limitato, che potrebbero però assumere un valore politico rilevante.

Una di queste riguarda l’entrata in vigore del  Decreto Legislativo 221 del 2016 che ha l’obiettivo di imporre,  senza possibilità di deroghe, l’uso esclusivo di marittimi italiani o comunitari sulle navi traghetto iscritte nel Registro Internazionale (Italiano) che svolgono viaggi di cabotaggio, anche quando seguono o precedono viaggi internazionali. Il Decreto è in un certo senso “bipartisan” essendo stato firmato a suo tempo dall’ora  sottosegretario e senatore del PD Roberto Cociancich. Il testo è stato da tempo inviato alla UE che dovrebbe rispondere entro il prossimo 11 giugno, termine oltre il quale il provvedimento  potrebbe entrare in vigore. Ma la vicenda è anche l’ultimo capitolo di una guerra senza quartiere tra due gruppi imprenditoriali (Onorato e Grimaldi) che ha provocato anche una scissione in Confitarma, l’organizzazione storica degli armatori.

Cgil, Cisl e Uil del trasporto marittimo sono state accusate di favorire Grimaldi (che utilizzerebbe molti extracomunitari) applicando un accordo firmato con gli armatori nel 2003. Tale intesa garantisce tra l’altro ai sindacati un contributo da 190 euro (se italiano o comunitario) a 270 euro (se extracomunitario) per ogni marittimo imbarcato. Non è mancata neppure l’iniziativa di una “Associazione Marittimi per il futuro di Torre del Greco” che ha inviato il ”tradizionale” esposto alla Guardia di Finanza manifestando il timore che questo contributo violi l’articolo 17 dello Statuto dei Lavoratori che fa divieto a datori di lavoro e ad associazioni imprenditoriali di finanziare le organizzazioni sindacali.

Il valore complessivo di questo contributo in teoria potrebbe aggirarsi attorno a qualche milione di euro l’anno; in pratica, secondo fonti sindacali, si tratta di una somma che si aggira sul milione di euro ed è regolarmente iscritta a bilancio da Cgil, Cisl e Uil del settore in quanto rappresenta un contributo sindacale per l’assistenza a tutto il personale marittimo. Il dato politico è assai più rilevante perché afferma per la prima volta in un provvedimento di legge il principio che solo i lavoratori italiani (e quelli comunitari) possono essere assunti, sulla base del vigente contratto collettivo, da imprese marittime, nella fattispecie quelle che effettuano il cabotaggio nelle nostre acque territoriali con toccate internazionali. Potrebbe essere anche l’occasione per mettere a fuoco il ruolo effettivo delle Capitanerie di porto che svolgono per i marittimi la funzione del collocamento e di organo di vigilanza sulla sicurezza della navigazione, oltre a vigilare sulla composizione degli equipaggi.

In discussione non è certo l’obiettivo, largamente condivisibile in via di principio, di offrire più opportunità di lavoro (anche) agli italiani, quanto il rischio che l’applicazione di questa norma provochi la fuga degli armatori dal Registro Internazionale (italiano) verso bandiere estere più convenienti. Infatti, battendo bandiera di un altro Stato, gli armatori italiani pur perdendo agevolazioni come la completa defiscalizzazione degli oneri sociali, potrebbero sottrarsi completamente agli obblighi cui sarebbero tenuti dal nuovo dettato legislativo. Se così fosse il danno sarebbe duplice, gli armatori avrebbero le mani libere sia di applicare il contratto della bandiera a cui sono registrati che di imbarcare senza limiti lavoratori extracomunitari.

Occorre comunque una seria riflessione ad ogni livello per assumere poi una decisione definitiva. Ma il clima di polemica esasperata e la oggettiva complessità della materia rendono difficile un confronto pacato. Un dato evidente, destinato probabilmente a ripetersi in altre circostanze, è la nascita di una “fazione filogovernativa“ dichiarata tra gli imprenditori mentre lo schieramento che va da Confitarma (allo stato  l’organizzazione maggioritaria degli armatori) alle organizzazioni sindacali confederali è su posizioni più attendiste e comunque vorrebbe misurarsi su un progetto organico di riforma. Per altro lo stesso Onorato, che da una parte plaude a Beppe Grillo per le affermazioni fatte in campagna elettorale a sostegno dei marittimi disoccupati della Campania, dall’altra arriva a chiedere di ripartire da zero sulla riforma del lavoro marittimo riscrivendo la legge 30 del 1998, quella che disciplina oggi il settore.

L’occasione è ghiotta anche per Matteo Salvini che, se l’operazione “solo marittimi italiani” andasse a buon fine, potrebbe legittimamente attribuirsi il merito di aver dato una risposta, certo non risolutiva, ma concreta ai disoccupati meridionali. L’intera questione è però avvolta da molte incertezze, la domanda è una sola. Quali potrebbero essere, nel bene e nel male, gli effetti pratici di questo provvedimento? Forse sarebbe necessario un incontro di tutti i soggetti interessati per approfondire con competenza e buona volontà tutti gli aspetti del problema. Chi vivrà vedrà. In ogni caso questa vicenda sarà un test interessante per giudicare dai fatti il nuovo Governo.

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