Oltre 36 miliardi di asset gestiti, banker saliti a 300 (grazie anche all’integrazione con le good banks), 20 mila relazioni (43mila clienti). UBI Banca Top Private, la divisione di UBI Banca dedicata al Private Banking, celebra il suo primo anno di attività (a seguito dell’operazione Banca Unica) con dei numeri che la collocano tra i primi 5 operatori del settore in Italia. “La nostra clientela – spiega a FIRSTonline Riccardo Barbarini, Responsabile UBI Top Private – è High Net Worth Individual o Ultra High Net Worth Individual: gestiamo patrimoni non inferiori al milione di euro e in alcuni casi superiori ai 10 milioni”.
Le parole d’ordine dell’attività sono due: consulenza e massima attenzione al rischio attraverso la diversificazione. ”Il servizio di consulenza evoluta – racconta Barbarini – è stato lanciato dalla nostra Banca nel 2005, prima della crisi, ed erano in pochi a chiedercelo. Con la crisi è cambiato l’approccio e oggi fornire una consulenza a 360 gradi, sia alle famiglie che alle imprese, è diventato fondamentale. La crisi ha anche spostato il focus sull’attenzione al rischio più che sul benchmark: in quest’ottica, gestione professionale e diversificazione sono sempre consigliabili “.
A proposito di crisi: negli ultimi giorni il mercato finanziario italiano è in subbuglio e Piazza Affari (salvo poi recuperare in parte) ha azzerato i guadagni del 2018. Quali sono state le conseguenze sui vostri portafogli?
“Minime ed è la dimostrazione che, quando ci si rivolge a professionisti, la diversificazione del rischio protegge il patrimonio dalla volatilità. Dei 36 miliardi di asset che gestiamo, 14,2 miliardi sono di gestito e 5,7 miliardi di assicurativo: su questi 20 miliardi circa la perdita legata alle turbolenze dell’ultimo periodo è stata praticamente nulla. Questo perché un portafoglio diversificato solo in piccola parte contiene titoli azionari/obbligazionari italiani, ovvero riproduce solo proporzionalmente il peso del mercato italiano nel mondo. La maggior parte degli investimenti è infatti diversificata sul mercato internazionale. In questi giorni è il mercato italiano prevalentemente in difficoltà, mentre il dollaro si è rivalutato, il Bund ha recuperato e i titoli obbligazionari sono saliti: un buon portafoglio è quindi in grado di limitare i danni o persino non produrne”.
Quindi il consiglio, soprattutto di questi tempi, è di diversificare?
“Sì, per diminuire il rischio. Offriamo però un servizio anche per i clienti che, alla ricerca di rendimenti superiori, siano disposti a rischiare di più. Un potenziale rendimento superiore è infatti sempre legato a un rischio più elevato. Siamo in grado di supportare e suggerire ai clienti quelle situazioni che, a nostro avviso, offrono un rapporto rischio/rendimento più favorevole”.
Quale è il bilancio del vostro primo anno di attività come private banking della banca unica?
“Grazie anche all’incorporazione delle good banks (Banca Adriatica, Banca Tirrenica e Banca Teatina) siamo passati da 32 miliardi di asset a fine 2016 a oltre 36 miliardi di asset nel 2018. L’aumento di oltre 4 miliardi è dovuto per il 50% circa all’operazione delle good banks, mentre per un’altra metà è legato alla crescita della nostra attività. Abbiamo 20mila relazioni (43mila clienti). I nostri private relationship manager, nel corso dell’anno, sono aumentati di 60 unità, passando dai 240 del maggio 2017 ai circa 300 attuali: anche qui sia per effetto dell’integrazione, sia anche per una politica di assunzione di professionisti esterni e di giovani che stiamo assumendo tra i laureati di miglior talento del nostro paese e che abbiamo intenzione di proseguire”.
Quali sono i principali servizi che offrite?
“Il family business e la consulenza evoluta. Il family business è dedicato alle famiglie e alle imprese familiari e sta crescendo molto, perché oggi più che in passato, ci si sta rendendo conto che, nel caso di un’azienda, gestire bene i passaggi generazionali è un valore aggiunto. Proponiamo una serie di servizi di advisory che curano tutti gli aspetti, finanziari, legali e fiscali. La consulenza evoluta, come detto, l’abbiamo lanciata nel 2005, prima della crisi quando ancora non era avvertita come esigenza. Oggi invece gli investitori, soprattutto quelli con patrimoni molto significativi, pretendono la massima attenzione sulla gestione del rischio, con un servizio ad hoc. Solo con questo servizio gestiamo oggi quasi 6 miliardi, con un incremento di 900 milioni nell’ultimo anno”.
Avete anche voi, come altri operatori, pensate di supportare sempre di più la consulenza con la tecnologia?
“Assolutamente sì ed è uno dei nostri grandi obiettivi per il 2018. Vogliamo semplificare tutte le operazioni tramite la digitalizzazione. Si tratta, ci preme sottolinearlo, non di sostituire il lavoro con le macchine, ma di semplificare ai nostri clienti l’accesso a tutti i servizi, di cui saranno ancora i nostri banker ad occuparsi. La digitalizzazione non è mai abbastanza, è un processo che deve essere migliorato in continuazione”.