Non c’è dubbio che la campagna elettorale di Trump per le prossime elezioni di medio termine che si terranno negli Usa il 6 novembre sia già iniziata alla grande. Il commercio internazionale resta al centro dell’azione politica dell’Amministrazione Trump, tra fuoriuscite di consiglieri economici, (da Steve Bannon alla più recente con Gary Cohn), e decisioni comunicate via Twitter per far innervosire i tradizionalisti del protocollo della Casa Bianca.
I dazi selettivi annunciati sull’acciaio e l’alluminio ed il monito all’UE sono il naturale risultato di un richiamo alla campagna presidenziale a difesa delle imprese statunitensi, e di quei oltre 6 milioni di dipendenti del settore manifatturiero le cui sorti sono legate ai prezzi di due metalli industriali al centro di una querelle mediatica e di accuse contro l’Amministrazione Usa di favorire guerre commerciali.
Ciò che occorre dire ed osservare con attenzione è che il processo di globalizzazione misurato dall’entità del commercio mondiale rapportato al PIL ha iniziato il suo ridimensionamento, come effetto traino della crescita globale già nel 2013, agli albori dell’uscita dalla crisi finanziaria mondiale. Una crisi alla quale è seguito un processo di deleveraging e di concentrazione del sistema bancario avviato dai fatti che hanno caratterizzato la crisi di Cipro e dalla messa a punto della normativa del bail in (BRRD), entrata poi in vigore nel 2017. Ma il bail in, il salvataggio interno alle banche, è stato solo uno dei tasselli che hanno visto lo sforzo delle Autorità di mercato e delle banche centrali a spingere per una architettura normativa volta a salvaguardare i mercati finanziari e quindi le banche dalle crisi sistemiche.
La globalizzazione ha iniziato così a perdere di incisività ben prima che un imprenditore globale come Trump entrasse alla Casa Bianca, contrapponendosi ad alleanze commerciali diffuse e quindi ai Trattati come il TTP e il TTIP, (rispettivamente il Patto Transpacifico con l’Asia e quello Transatlantico con l’Europa), che gli sembravano ormai fuori “tempo massimo”.
Così è iniziato lo stillicidio degli incontri per rivedere i patti già esistenti come il Nafta, nei confronti di Messico e Canada, ed un confronto sulla reciprocità con Cina ed Europa nel tentativo di difendere l’industria americana da un pericolo evidente derivato dalla fine degli effetti positivi della globalizzazione e al contempo dall’avanzata di una spinta alla digitalizzazione dei processi industriali.
Questi due elementi insieme incideranno sull’occupazione mondiale e su una trasformazione degli scambi commerciali, sempre più dominati da relazioni commerciali digitali attraverso mega piattaforme dei colossi tecnologici. Big Corporates che ora spaziano su molti settori da quello sanitario a quello alimentare e dal settore dell’editoria sino ai servizi di pagamento, ricomprendendo anche finanziamenti per le PMI.
Il commercio è la cartina al tornasole delle relazioni diplomatiche e Trump lo sa bene , così dopo l’impegno della diplomazia cinese a bloccare i lanci di missili nordcoreani , che avevano spaventato i Paesi asiatici e il Giappone oltremodo sino allo scorso novembre , ed aver ottenuto una compartecipazione delle due Coree alle recenti Olimpiadi invernali ecco offrirsi l’ottima occasione di un incontro ufficiale tra i due Presidenti coreani.
La Corea del Sud è il Paese con il numero più importante di basi americane ed è legata alla Corea del Nord da un Armistizio stipulato nel 1953 , all’indomani della Guerra di Corea, che non è mai stato seguito da un vero Trattato di Pace e di fatto ha creato un Paese cuscinetto per la Cina, che è la Corea del Nord. E come dimostrano i fatti in Ucraina ed in Turchia lo status di Paese cuscinetto nel Risiko geopolitico mondiale è una questione delicata e potenzialmente esplosiva.
La moderazione di un Presidente sudcoreano Moon Jae-in, eletto dopo lo scandalo di Park Geun-hye e molto più vicino alla Cina di quanto si pensi, che ha messo al primo posto della sua Agenda la questione della riunificazione ha certamente aiutato i fatti attuali che hanno portato all’incontro atteso tra Trump e Kim Yong Un in maggio.
In questa partita a poker dalla posta altissima tutti vogliono sedersi e nessuno vuole restare fuori e chi fa il mazziere distribuendo le carte coperte è ancora una volta Donald Trump, per molti solo un biscazziere ma per altri un Presidente che non si piega al regime iraniano e che nell’incontro con la Corea del Nord ha avviato un ridimensionamento della minaccia iraniana, il principale problema per avviare una vera pacificazione in Medio Oriente.