Dopo 60 anni storico stop alle aranciate senza arancia e più frutta nelle bibite. Scatta da oggi, 6 marzo, l’obbligo di garantire una percentuale minima del 20% di succo nelle bevande analcoliche prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo o comunque con denominazioni che si riferiscano a quel tipo di agrume. Lo prevede l’entrata in vigore delle disposizioni contenute nella legge 161 del 30 ottobre 2014 che scattano appunto dal 6 marzo, trascorsi dodici mesi dal perfezionamento con esito positivo della procedura di notifica alla Commissione Europea del provvedimento in materia di bevande a base di succhi di frutta.
“E’ un risultato straordinario per agricoltori e consumatori grandi e piccini”, commenta la Coldiretti che ha lanciato una giornata nazionale di mobilitazione da Roma a Reggio Calabria fino a Catania per spiegare come leggere le nuove etichette “e festeggiare – spiega un comunicato – l’agrume piu’ consumato in Italia con maxispremute, tutor delle arance per riconoscere le diverse varietà, nutrizionisti e arance per tutti”.
L’innalzamento del contenuto di succo d’arancia – sottolinea la Coldiretti – modifica dopo 60 anni una norma del 1958. Alcuni studi hanno posto in evidenza che una bevanda con il 20% di succo di arancia aiuti a soddisfare il fabbisogno giornaliero di vitamina C raccomandato dalle diverse Accademie scientifiche e la sua assunzione veicola un variegato mix di sostanze fitochimiche che possono incidere positivamente sulle difese del sistema immunitario. “Con la nuova norma – precisa la Coldiretti – si contribuisce, inoltre, ad offrire il giusto riconoscimento alle bevande di maggior qualità riducendo l’utilizzo di aromi artificiali e soprattutto di zucchero la cui elevata concentrazione potrebbe essere utilizzata per sopperire alla minore qualità dei prodotti”.
Ma cosa cambia ora in concreto? Le etichette delle aranciate devono riportare l’effettiva presenza di un contenuto in succo minimo del 20% ma, in un primo periodo, potranno continuare a circolare anche bevande con un contenuto inferiore di succo poiché la norma prevede che le bevande prodotte anteriormente alla data di inizio dell’efficacia delle disposizioni possano essere commercializzate fino ad esaurimento delle scorte.
La nuova norma – sostiene Coldiretti – “andrà a salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria”. L’aumento della percentuale del contenuto minimo di frutta al 20% corrisponde infatti, secondo valutazioni dell’associazione agricola, all’utilizzo di 200 milioni di chili in più di arance all’anno con effetti anche dal punto di vista paesaggistico in una situazione in cui una pianta di arance su tre (31%) è scomparsa in Italia negli ultimi quindici anni, mentre i redditi dei produttori sono andati a picco. Ad oggi per ogni aranciata venduta sugli scaffali a 1,3 euro al litro agli agricoltori vengono riconosciuti solo 3 centesimi per le arance contenute “del tutto insufficienti a coprire i costi di produzione e di raccolta” osserva ancora l’associazione.
“Il prossimo passo verso la trasparenza è quello di rendere obbligatoria l’indicazione di origine in etichetta della frutta utilizzata nelle bevande per impedire di spacciare succhi concentrati importati da Paesi lontani come Made in Italy”, ha sottolineato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.