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Lavoro, la sicurezza è una battaglia persa: è ora di cambiare

Le morti sul lavoro crescono in maniera allarmante ma la sicurezza sul lavoro, salvo lodevoli eccezioni, non è quasi mai una priorità: per cambiare strada bisogna affrontare una vera e propria battaglia culturale e non temere la diffusione di tutte le moderne tecnologie disponibili per la formazione e la prevenzione

Lavoro, la sicurezza è una battaglia persa: è ora di cambiare

Nel giro di due giorni e nella sola Lombardia, quattro operai sono morti a Milano e un giovane ha perso la vita nell’azienda di famiglia a Brescia sotto gli occhi del padre. Le fabbriche coinvolte non godevano di cattiva reputazione né, per quanto si legge, erano mai stati sollevati dubbi o timori sulla sicurezza. Quel che invece è certo è il mancato rispetto delle procedure, l’assenza o l’inefficacia di strumenti che avrebbero dovuto evitare rischi ai lavoratori.  Purtroppo stiamo assistendo negli ultimi  due anni ad una crescita allarmante di morti sul lavoro, tanto più se si tiene conto che il numero di ore lavorate complessivamente non ha ancora raggiunto i livelli precrisi.

Lo aveva già sottolineato il procuratore di Torino Guariniello poco prima di andare in pensione. Questi eventi drammatici sono seguiti da unanimi dichiarazioni che si ripetono stancamente. Si manifesta dolore, indignazione, rabbia, solidarietà. Si denuncia, facendo di ogni erba una fascio, la mancanza di rispetto delle regole da parte degli imprenditori, si proclama un’ora di sciopero, si invoca l’aumento del numero degli ispettori, si fa appello alla magistratura per accertare le responsabilità. Arrivano gli avvisi di garanzia, si sequestra un impianto o l’intero stabilimento, si ricorre alla cassa integrazione. I processi durano anni e troppo spesso  tutto torna come prima.

Non sempre queste dolorose emergenza sono state affrontata con analisi rigorose per individuare soluzioni che evitassero il ripetersi dell’evento. La sicurezza è una questione prima di tutto culturale, dovrebbe essere insegnata fin dalla scuola dell’infanzia. Non si fa che (giustamente) parlare di industria 4.0, ma senza  incentivare la diffusione di tutte le moderne tecnologie disponibili per la formazione e la prevenzione, e senza la comune consapevolezza che il rispetto delle regole antinfortunistiche non ammette scorciatoie, non si faranno grandi passi in avanti.

Troppo spesso si combatte l’innovazione e si giudicano i controlli come un’intrusione nella privacy. Qualche tempo fa in una azienda di trattamenti termici, la Barattiere di Brescia, dove si svolgeva un lavoro simile a quello della Thyssen di Torino, (dove qualche mese prima vi erano stati sette morti) la maggioranza delle RSU sottoscrisse un accordo che prevedeva l’installazione di un sistema di telecamere per il controllo in tempo reale del processo produttivo, consentendo un intervento tempestivo in caso di pericolo. La Fiom-Cgil, che era minoritaria in azienda, segui per lungo tempo tutte le strade possibili  per impedirne persino la sperimentazione, ma perse la battaglia e quell’esperienza, sia pur isolata, continua.

Stessa sorte fu riservata alla proposta di utilizzo delle telecamere e di altri strumenti tecnologici nei cantieri, che avrebbero costituito pur sempre un deterrente nei confronti di quegli imprenditori che ignoravano le regole di sicurezza. Ad onor del vero l’unico amministratore pubblico ad affrontare in termini di progettualità complessiva l’utilizzo delle nuove tecnologie per la sicurezza in edilizia fu Filippo Penati, che impose nuove ed importanti regole nei cantieri aperti dall’allora Provincia di Milano.

Ogni realtà ha caratteristiche specifiche. L’unica constatazione (amara) da farsi è che la sicurezza del lavoro non è oggi, tranne lodevoli eccezioni, una reale priorità. Né per le forze politiche, né per le forze sociali. La sicurezza sul lavoro è spesso un codicillo che si aggiunge, “ad adiuvandum”, a lunghi elenchi di rivendicazioni che costituiscono le mitiche “piattaforme”. Questa è anche la ragione (certo non la sola) che induce spesso gli stessi lavoratori ad una sottovalutazione dei rischi. Solo quando la sicurezza tornerà ad essere un obiettivo perseguito con rigore, professionalità e determinazione, le cose potranno davvero cambiare.

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