Quando il rischio politico diventa protesta popolare diffusa, il rischio di una guerra civile è reale per i paesi emergenti con una storia sociale travagliata come il Sudafrica. Ed è stato il rand sudafricano, una delle migliori divise emergenti del 2016, a farne le spese, mettendo a segno la peggiore settimana da oltre un anno con un -9,6%, mentre la perdita dall’insediamento dell’attuale Presidente è del 40% sul dollaro Usa.
Il presidente in carica Jacob Zuma, di etnia zulu, negli ultimi quattro anni ha accumulato una serie di scandali infinita: dalle polemiche sulla sua sontuosa residenza presso Nkandla, costata 20 milioni di dollari (sanzionata anche dal Tribunale di Stato), fino alle accuse di corruzione e traffico d’armi, passando per il recente rimpasto di governo con il quale ha silurato il ministro delle Finanze Gordhan, il suo Vice e altri 7 fra ministri e alti dirigenti del Comitato per la Politica Monetaria del ministero del Tesoro , in netta contrapposizione con il suo partito. Una mossa che ha messo a rischio la stabilità fiscale e finanziaria del Paese con una sostituzione inconsistente e molto criticata dagli analisti internazionali: siamo al quarto ministro delle Finanze in 15 mesi e Gordhan è stato richiamato in patria e “licenziato” in tronco nel bel mezzo di un road show anglosassoni nel Regno Unito e Usa.
L’Anc, African National Congress, è il partito del “padre della patria” Nelson Mandela , quello che ha permesso al Paese di uscire pacificamente dall’apartheid e dal segregazionismo e che dopo Mandela ha visto Thabo Mbeki, di etnia Xhosa come Madiba, portare avanti un processo importante di riforme strutturali e sociali per il cosiddetto “Rainbow Country”, il Paese Arcobaleno, afflitto da disuguaglianze sociali ancora profonde e da una strenua lotta contro la diffusione dell’Aids.
Ma con la fine del suo mandato e l’avvento di Zuma, il partito Anc non si è più ripreso e si è trascinato in una crisi interna che ha eroso i consensi dopo 23 anni di potere incontrastato, rafforzato le opposizioni ed ora rischia la disgregazione definitiva. Già dalla vittoria del Congresso dell’Anc nel 2007 era evidente che la corsa del potere di Zuma avrebbe cambiato il volto della gestione politica e programmatica dell’Anc.
Tra l’ etnia Xhosa (perlopiù animista, pacifista e cristiana) e quella Zulu dominante nel Paese (anch’essa animista ma tradizionalmente poligama e con un passato militare che ha permesso di riscattarsi da una considerazione di cittadinanza inferiore del passato) la partita politica ha assunto toni molto diversi negli anni e per certi versi drammatici ultimamente. Così riemergono nella lotta politica questioni ataviche ed etniche mai sopite.
Zuma non è un buon Presidente e non ha fatto molto per il Paese, che è afflitto da elevati livelli di disoccupazione , ufficialmente al 27%, e da una crisi economica evidente, con il Pil fermo allo 0,1% secondo il Fmi (lo 0,3% nel 2016) e l’inflazione sopra il 5%. Il suo mandato scadrà nel 2019 ma il consenso di cui gode è ormai sceso sotto il 20%, dimezzandosi in poco più di un anno.
All’opposizione vi sono tra gli altri almeno due partiti che dominano la scena rispetto all’Anc, sceso verso il 25% nei sondaggi. Il primo è Alleanza Democratica, guidato da Mmusi Maimanedomina e basato a Cape Town, che domina i sondaggi nelle principali città con consensi vicini al 40%. Il secondo è il Partito dei Combattenti per la Libertà Economica, guidato da Julius Malema, fuoriuscito dall’Anc, che supera ormai il 10%. Entrambi i partiti hanno chiesto il voto di fiducia in Parlamento per chiudere l’era Zuma ed andare a nuove elezioni in anticipo sulla fine del mandato
Tra le case di rating, Moody’s è attesa il 7 aprile a una decisione su un possibile ridimensionamento del rating a causa dell’outlook negativo mentre Standard & Poor’s e Fitch avevano già relegato il Sudafrica al gradino più basso dell’investment grade, a BBB-, e ad un passo dal livello “spazzatura”, junk. Intanto i titoli governativi a 10 anni hanno visto il rendimento salire a ridosso del 9% e la parte a breve della curva potrebbe peggiorare di oltre un punto alla riapertura dei mercati il 3 Aprile.
Grazie a questa situazione il rublo russo, che insieme al rand era tra le divise preferite nei mercati emergenti sulle chiusure di marzo, ha preso il volo ed è atteso a un ulteriore rafforzamento nelle strategie di carry trade valutario. Infatti anche la lira turca, in vista del prossimo referendum costituzionale di metà aprile, è tornata di nuovo preda della volatilità. Solo le divise asiatiche resistono ai venti di tempesta politica che in Africa e Medio oriente non configurano scenari promettenti per ritorni interessanti sui cambi.
Insomma, l’arcobaleno ha perso molti dei suoi colori e i mercati internazionali hanno già girato le spalle al Sudafrica, certi che la storia del Paese difficilmente potrà ripetere una transizione per un ritorno alla democrazia in modo indolore come seppe fare Mandela. La strada verso nuove elezioni è costellata di un rischio effettivo di peggioramento recessivo e di lotta civile durissima.