Il conflitto siriano e la tragedia umanitaria che ne è conseguenza hanno scavato profondamente negli assetti geopolitici mondiali, con effetti innegabili non solo sui flussi migratori già imponenti dal continente africano verso l’Europa ma anche sulla politica estera americana e sui rapporti tra Turchia ed Europa. Ora Usa e Turchia diventano per aspetti molto differenti aghi della bilancia di equilibri mondiali sempre più instabili e dominati dall’incertezza che si riverbera sui mercati finanziari internazionali .
In Turchia manca poco più di un mese al referendum che il Presidente Tayyip Erdogan ha indetto per espandere i poteri presidenziali e di fatto svuotare la figura del Primo Ministro assumendo su di sé il ruolo di leader di una Repubblica Presidenziale che così darebbe l’addio per sempre alla tradizione secolare sulla quale Ataturk aveva rifondato il Paese in forma repubblicana.
Il fallito golpe della scorsa estate è diventato così lo spauracchio usato dal “Sultano” Erdogan per convincere la popolazione della necessità di una riforma costituzionale radicale, declinata in 18 emendamenti, e di farsi garante di una stabilità politica economica di lunga durata con gli investitori esteri. Di fatto la crisi economica indotta dalla fuga di capitali e di investimenti e soprattutto dalla svalutazione della divisa aggravata da un’elevata inflazione spaventa i turchi che cominciano a girargli le spalle.
Le polemiche poi sulla politica dei 3 milioni di siriani rifugiati come ostaggi per ottenere i finanziamenti europei ed il nuovo impegno dell’esercito sul fronte siriano ed in versione anticurdi aumentano tanto più che la repressione sui media e il prolungamento dello stato di emergenza aiutano il Governo a imporre un clima pesante e vessatorio.
La bagarre sul Si e sul NO al referendum ha visto il 2 Febbraio addirittura la diffusione di un documento ufficiale che ammoniva gli impiegati pubblici dall’utilizzo di qualsiasi parola o intercalare, che declinata in senso positivo, creasse confusione nell’elettorato. Il termine “ Hairly” che viene frequentemente scambiato come buon augurio e’ diventato così un’hashtag di protesta contro il Governo su Twitter. La marcia indietro del partito AKP non è servita a convincere i cittadini turchi o a frenare lo scatenarsi della satira sui social e prontamente poi a causare la reazione dei fans del Presidente visto che addirittura son state premiate le famiglie che hanno battezzato i propri figli con il nome Evet (tradotto “SI”) da membri dell’AKP. E a metà Febbraio il ritiro della campagna anti fumo in alcune grandi municipalità: il cui slogan era “Se dici NO, avrai vinto sulla tua Vita ed il tuo Futuro”, un messaggio fa comprendere il clima incandescente di questa campagna referendaria.
Ma Erdogan che accusava sino a poco tempo fa gli oppositori di voler un nuovo golpe o la guerra civile, ora che il dissenso cresce ha dovuto smorzare i toni e nella popolazione il senso di frustrazione e la sensazione di una difficoltà economica diffusa diventa sempre più tangibile. Inoltre la minaccia di un referendum aggiuntivo sulla pena di morte in caso di un mancato esito in questo senso dal Parlamento allontana sempre di più la Turchia dall’UE. Le intimidazione ed i nuovi arresti tra coloro che portano avanti la campagna del NO continuano e di fatto la situazione sociale resta esplosiva.
Il parallelismo tra l’autoritarismo di Erdogan quello di Putin e di Trump sono lo specchio di un’era del caos dove si tocca con mano la difficoltà di garantire una stabilità politica costruttiva in un contento di crescita globale che offre l’illusione di un’inflazione drogata dal petrolio. Ma al centro resta l’incapacità di risolvere il conflitto siriano e i tatticismi dei tre leader di fronte anche ad un nemico ISIS che sembra sparito dalle cronache quotidiane ma che resta attivo al centro del conflitto.
Erdogan dopo aver supportato i ribelli nel nord ovest della Siria si è schierato con Iran e Russia causando il disappunto americano che ha ritiratole promesse di supporto sul campo ai turchi. Così i colloqui di pace iniziati a dicembre son già naufragati nel mare delle molteplici alleanze che si modificano in continuazione. Il Governo turco ora rilancia l’idea di uno stato islamico in territorio siriano sotto il suo controllo ma Trump resta alleato ai curdi e non vede di buon occhio il tentativo di “inciucio” con gli strateghi sauditi. Dall’esito del referendum turco quindi dipenderà molto della posizione degli USA che sperano di vedere un Erdogan indebolito e manovrabili memori della pessima esperienza della guerra del Mediterraneo e del caso libico dopo l’uccisione di Gheddafi…