Perfino il ruvido segretario della Lega, Matteo Salvini, stavolta ha capito subito che, di fronte a una tragedia come quella del nuovo terremoto del Centro Italia, le differenze politiche vanno messe temporaneamente da parte per lasciare il posto alla concordia e all’unità nazionale. Prima si soccorrono le popolazioni colpite e si avvia la ricostruzione nella massima trasparenza delle zone terremotate e poi si tornerà alla normale dialettica. Salvini preferirebbe che il Commissario per la ricostruzione fosse il prefetto Tronca anziché l’ex Governatore dell’Emilia-Romagna, Errani, ma ha pubblicamente dichiarato che la Lega è pronta a collaborare con il Governo e con la maggioranza per l’emergenza. Non è solo calcolo politico, ma puro buon senso, come quello manifestato da Silvio Berlusconi, ancor prima di Salvini.
Solo Beppe Grillo ha voluto tirarsi in disparte e marcare pregiudizialmente le distanze dal governo Renzi anche nel momento dell’emergenza nazionale, ma il rischio di brandire così la bandiera del disfattismo diventa ogni giorno più forte per i Cinque Stelle, con buona pace dei propositi governisti dell’aspirante premier Luigi Di Maio.
Anche i mugugni e i mal di pancia della minoranza del Pd per la candidatura a sorpresa di uno dei suoi esponenti, come Vasco Errani, che il premier Renzi vuol nominare commissario straordinario della ricostruzione, lasciano il tempo che trovano e sicuramente non rafforzano l’immagine della minoranza dem, che la preconcetta opposizione al premier rischia sempre di più di trascinare in una pericolosa deriva peggiorista nella quale i piccoli interessi di parrocchia sovrastano l’interesse generale e annebbiano l’orizzonte nazionale ed internazionale nel quale avviene oggi la battaglia politica in Italia.
Ma la mossa politicamente più rilevante di fronte al dramma del terremoto è sicuramente quella ispirata fin dalla prima ora da Silvio Berlusconi, preceduta e seguita da altre due mosse che fanno capire come, al netto di nuove e mai prevedibili capriole, il leader di Forza Italia sembra aver decisamente invertito la rotta assumendo un profilo più realista e più moderato e lasciando Salvini, emergenza terremoto a parte, al suo destino minoritario e alle sue infatuazioni lepeniste.
Saranno stati i consigli del suo entourage familiare e aziendale, soprattutto della figlia Marina e del fedele Confalonieri o sarà stato puro buon senso, come scrive Giuliano Ferrara su “Il Foglio”, è un fatto che Berlusconi abbia cambiato verso e che il suo linguaggio e la sua prospettiva politica non sono più quelli di un oppositore senza se e senza ma al governo Renzi. Prima il lancio della candidatura moderata di Stefano Parisi verso il vertice di Forza Italia e poi la disponibilità ad appoggiare Matteo Renzi nel caso in cui il premier perdesse il referendum sulla riforma costituzionale bastano e avanzano a segnalare la svolta neo-realista del leader di Forza Italia. “Meglio Renzi dei 5 Stelle” sibila Berlusconi che ha l’evidente obiettivo di salvare Forza Italia e di trovare un nuovo ruolo politico che ne arresti il declino, senza dimenticare il futuro delle sue aziende.
C’è da sperare che gli opinionisti e i retroscenisti da strapazzo di cui il nostro Paese è pieno ci risparmino la consunte litanie sulla inesistente rinascita del Patto del Nazareno (che altro non era che un metodo di confronto) e arrivino a comprendere che la realtà è spesso più semplice di come appare, se non la si deforma. Non c’è bisogno di scomodare patti misteriosi e complotti segreti per spiegare quello che l’estate della politica ci sta riservando alla vigilia del referendum, ma di comprendere che una normale dialettica e la regola del dialogo tra il Governo e l’opposizione (purtroppo solo di destra) fa bene a tutte le parti in causa e, ohibò, prima di tutto al Paese, che non ne può più di urli e strilli e di polemiche taroccate ,ma ha solo voglia di essere governato.
Si comprende che una prospettiva di dialogo senza confusione di ruoli e di normale dialettica politica non interessi i Cinque Stelle, che non sono in grado di sostenerla e che puntano sullo sfondamento finale sulla scia degli exploit elettorali a Roma e a Torino. Ma chi rischia di uscire più spiazzato dal nuovo corso berlusconiano a cui fa pendant una leadership più tranquilla e più dialogante del premier è la minoranza Pd.
Il dramma del terremoto ha per ora consigliato la minoranza bersaniana di prendere tempo prima di imbarcarsi in avventure a forte rischio di boomerang per sostenere il NO al referendum dopo aver votato la riforma costituzionale in Parlamento, ma i tatticismi hanno il fiato corto. Al momento opportuno e nelle sedi giuste, chi osteggia la leadership di Renzi ha tutto il diritto di fare la propria battaglia politica, ma strumentalizzare il referendum mettendo a rischio la stabilità del Paese è quanto di più lontano si possa immaginare dalla tradizione riformista della sinistra italiana. Ma i rancori, si sa, annebbiano le menti, anche quelle un tempo lucide e ragionanti.
Perfino Berlusconi (ed è tutto dire) ha capito che sul referendum non si può tirare troppo la corda e che il “tanto peggio tanto meglio” non è mai una buona ricetta e che prima o poi l’elettorato te la fa pagare. E’ vero che di questi tempi il lume della ragion politica non sembra più un patrimonio unanimemente condiviso, ma alla fine con la forza della realtà bisogna sempre fare i conti.