Le recenti polemiche che hanno coinvolto la Consob ed il suo presidente Vegas in merito alla necessità di includere, proposta che da sempre condivido, nei prospetti i c.d. scenari probabilistici finalizzati ad informare il risparmiatore sulla probabilità di ottenere il rendimento sperato, solleva un problema più generale non soltanto sul grado di educazione finanziaria dei risparmiatori italiani – che tutti invocano, ma che purtroppo non scende dal cielo – ma soprattutto sulla disponibilità (scarsa) dei vertici delle istituzioni finanziarie, ad attrezzare con semplici strumenti conoscitivi il risparmiatore stesso sulle plurime opportunità di scelte di investimento, opportunamente ponderate con le altrettante plurime probabilità di rischio.
Ma oggi, per lo sviluppo delle tecnologie informatiche in un contesto di globalizzazione, il mondo dell’informazione è radicalmente e rapidamente cambiato. Le fonti di informazione rilevanti per i mercati finanziari e per i risparmiatori si sono moltiplicate a dismisura rendendo quasi impossibile il loro riordino nelle valutazioni dello stesso risparmiatore: la rete di internet con i suoi portali finanziari che informano il pubblico quasi in tempo reale e su scala mondiale o che offre ( di norma via e mail) gadget per fare trading “fai da te” (qualcuno li controlla ?); i programmi pubblicitari degli emittenti prodotti finanziari che rinviano alla accurata lettura dei prospetti, così come fanno le case farmaceutiche con il rinvio ai bugiardini, con la differenza che i farmaci sono controllati da enti pubblici specializzati a differenza dei prodotti finanziari (non a caso definiti anche “tossici”; le istituzioni pubbliche che disseminano informazioni statistiche sull’andamento dei mercati; sponsor che assistono gli emittenti in fase di collocamento iniziale sul mercato primario ; le società di revisione appartenenti a gruppi polifunzionali; le agenzie di rating possedute da soggetti che operano sui mercati finanziari, e così via. È ovvio che tutto ciò è difficilmente riassumibile nella testa del risparmiatore.
Ma diversamente da quest’ultimo, le istituzioni finanziarie elaborano, sulla base di modelli statistici e probabilistici che a loro volta utilizzano le serie storiche delle informazioni raccolte in colossali data base e nei big data, – e ci mancherebbe altro che non fosse così – calcolano il probabile rendimento e il rischio associato ad ogni prodotto. Ma siffatte elaborazioni rimangono chiuse nei computer dei back office, ove statistici e matematici elaborino i complessi algoritmi finalizzati a definire il rischio per l’emittente dei diversi prodotti finanziari da offrire al pubblico. Specularmente, questo rischio grava anche sulle spalle del risparmiatore. È però vero che chi auspicasse che al risparmiatore fossero forniti anche i complessi algoritmi ora ricordati, non farebbe altro che accrescerei la confusione nella mente del poveretto, caso mai a digiuno anche delle più elementari nozione statistiche ed algebriche.
È altrettanto vero che la legislazione non aiuta ad educare e a prendere in considerazione alla probabilità del verificarsi degli eventi finanziari. Ho provato infatti a rintracciare, con i modesti mezzi offerti dal mio PC, cliccando su “trova”, se nel Testo unico di finanza avessero spazio i lemmi “proba abilità” oppure “probabilistico”. Ma entrambi i lemmi non figurano nel TUF, segnando che il concetto di probabilità non si è mai posto nelle riflessioni e nella mente del legislatore e dei suoi c.d. esperti nel campo dei mercati finanziari, dominati in vece sempre e ovunque dall’incertezza che non può essere eliminata con l’informazione anche più completa. La buona informazione è condizione necessaria ma non sufficiente per informare correttamente il risparmiatore: Troppe informazioni equivalgono a nessuna informazione. Lo stesso lemma “calcolo” è degradato all’ utilizzo elementare di “somma” e “sottrazione” nel caso del “calcolo” dei numeri dei votanti e dei presenti in qualche assemblea societaria.
Ma vi può essere una via di uscita proprio grazie alla tecnologia delle informazioni. Infatti, la prassi da anni seguita degli exit poll elettorali e delle proiezioni dei risultati di voto ha da tempo abituato il cittadino italiano a ben comprendere il concetto squisitamente probabilistico offerto dalle c.d. “forchette” (ovvero intervallo di confidenza) entro cui si collocano le probabilità che vinca il candidato prescelto. Sono due numeri semplici che ognuno è ormai abituato a comprendere e a valutare con accuratezza.
Anche i modelli matematici e statistici applicati ai mercati finanziari producono “forchette” (intervallo di confidenza) sulla probabilità di default di un prodotto finanziario: e ripeto: ci mancherebbe altro che non fosse così. Forse, prendendo lo spunto dalle attuali polemiche sul comportamento della Consob, una leggina che imponesse le “forchette” nei prospetti informativi potrebbe essere di aiuto ai risparmiatori e al buon funzionamento del mercato finanziario, che in ogni caso non sarà mai a “rischio zero”, così come insegna ogni valutazione probabilistica.