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Elezioni a Milano: Sala e Parisi, opposte visioni

Sono entrambi manager, ma Parisi e Sala sono due candidati sindaci completamente diversi: il primo è condizionato dalla visione isolazionista e antieuropea della Lega di Salvini mentre il secondo, scelto dalle primarie e non dai cenacoli di Arcore, è l’espressione della Milano che si è modernizzata e che ha trionfato nell’Expo – Anche le loro esperienze manageriali sono state molto diverse

Elezioni a Milano:  Sala e Parisi, opposte visioni

Ormai è diventato quasi un luogo comune: i due candidati principali alla guida del Comune di Milano, Beppe Sala e Stefano Parisi, sono praticamente uguali. Entrambi manager, hanno avuto una esperienza nella burocrazia comunale. Entrambi sono tecnici, cioè non vengono dalle file di un partito politico, e di tendenza moderata. Sergio Scalpelli, ex Pci, ex assessore e manager di Fastweb ha addirittura affermato che “nel resto del mondo Sala e Parisi sarebbero dalla stessa parte”.

Niente di più sbagliato. Se non ci si ferma alla prima e superficiale impressione, e se non ci si lascia influenzare dai personali sentimenti di amicizia, le differenze tra i due risultano profonde sia sotto l’aspetto politico che dal lato della personale esperienza professionale. Certo in campagna elettorale entrambi hanno evitato toni troppo accessi e mai sono scesi all’insulto personale o alla denigrazione dell’avversario. E questo è un buon segno di civiltà che i pragmatici milanesi hanno chiaramente gradito.

Ma se si va ad esaminare non tanto i programmi che spesso sono scritti sulla sabbia, ma le vere intenzioni che stanno dentro le coalizioni dei partiti che li sostengono, le differenze emergono con chiarezza e sono notevoli. Parisi cerca di farlo dimenticare, ma di fatto la sua sindacatura sarà a trazione leghista, e della Lega di Salvini non di quella del Governatore della Regione, Maroni. E la Lega di Salvini al di là di bloccare la costruzione di Moschee o di auspicare la cacciata di tutti i migranti, compresi coloro che secondo il diritto internazionale, avrebbero la possibilità di richiedere asilo, non sembra avere alcuna idea sensata sul futuro di Milano.

Prima del disfacimento di Forza Italia, la Lega governava in posizione subordinata e quindi non aveva la possibilità di fare troppi danni. Ora con l’appannamento di Berlusconi le idee di Salvini hanno campo libero. E come potrebbe Milano, la città italiana più internazionale e profondamente legata per tradizioni economiche (basti ricordare che la Comit venne fondata dai tedeschi), e per cultura ai paesi del Nord Europa, convivere con chi attacca quotidianamente l’Europa e vuole uscire dall’euro? Gli investitori internazionali che, specie negli ultimi anni, si sono riaffacciati a Milano in tutti i settori dall’immobiliare ai servizi, passando per la manifattura, come potrebbero avere ancora fiducia in una città che ha scelto di essere rappresentata da chi vuole isolarsi dal resto del mondo?

Qualche giornalista particolarmente fantasioso, immagina che una vittoria di Parisi possa rappresentare il primo passo per la ricostruzione del centro-destra su basi moderate e liberali. Ma questa sembra una pia illusione. Difficile pensare che Salvini, legato ai movimenti xenofobi europei e riscopritore di un nazionalismo esasperato che lo ha portato non a caso ad allearsi con gli estremisti di Casa Pound, possa cedere il passo ad un “estraneo” come Parisi creato con un gioco di prestigio da Berlusconi stretto nell’angolo dall’offensiva dei suoi alleati.

Le forze che sostengono Beppe Sala, sono a livello locale compatte. Il suo nome è venuto fuori da primarie molto partecipate e combattute. Poi però tutti si sono ricompattati dietro il nome del vincitore senza spaccature come avvenuto per esempio a Genova lo scorso anno. La giunta Pisapia nel complesso ha ben governato. Il successo dell’Expo non è solo merito suo, ma nel complesso la città ha saputo ben sfruttare l’avvenimento per avviare progetti di modernizzazione che hanno riproposto Milano all’attenzione del mondo. Anche la questione dei migranti, al di là di qualche momento di emergenza è stata gestita senza troppo disagio per la cittadinanza. Le questioni della sicurezza, cavallo di battaglia della destra, non dipendono solo dal Comune, e comunque non si può dire che Milano sia peggio di altre città, anche minori, del resto del Paese.

Quanto ai grandi progetti strategici non sembrano esserci idee molto originali da parte dei vari candidati. Del resto per una grande città terziaria come Milano la strada appare obbligata. Il Comune deve creare un ambiente il più possibile favorevole ed attraente per i talenti di tutto il mondo. Facilitare le pratiche per richiamare quartieri generali di imprese multinazionali. Facilitare l’esecuzione delle opere pubbliche riducendone i tempi di realizzazione.

Sotto questo aspetto l’esperienza manageriale di Sala è senza rivali. Essere riuscito a guidare l’Expo in condizioni molto difficili, tra lo scetticismo degli stessi promotori e gli attacchi degli avversari, costituisce un titolo di merito ineguagliabile. Parisi invece ha esperienze diverse, più vicine alla politica e non sempre coronate da successo. Non è stata positiva la sua esperienza come direttore generale di Confindustria. La sua gestione in Fastweb, nata peraltro da una costola del Comune di Milano, si è conclusa con la vendita dell’azienda ad operatori esteri, dopo una confusa ed inquietante vicenda giudiziaria.

Le due persone quindi non sono affatto intercambiabili. Ai milanesi il compito di scegliere con giudizio, valutando con attenzione sia il retroterra politico che le qualità personali dei due candidati.

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