Sarà bene che, prima di votare alle prossime elezioni comunali, gli elettori di Roma leggano l’esilarante intervista che la candidata sindaco del Movimento 5 Stelle ha rilasciato all’Espresso, che la titola così: Virginia Raggi:”Se Beppe Grillo me lo chiedesse, io mi dimetterei” nel caso di un’eventuale iscrizione nel Registro degli indagati.
Si tratta di un’intervista davvero illuminante perché i cittadini romani che, magari in buona fede anche se con insostenibile leggerezza, pensavano di votare la Raggi, scoprono ora che, se eletta, la Raggi sarà, per sua stessa ammissione, un sindaco a sovranità limitata. Sulle questioni cruciali non sarà lei a decidere ma il comico che guida il suo movimento, Beppe Grillo, tornato non per caso sui palcoscenici di mezza Italia. E’ il codice di comportamento del M5S per i candidati a prevederlo. E non solo in caso avviso di garanzia.
Lo staff grillino dirà la sua e farà sentire tutto il suo peso sugli “atti di alta amministrazione” del Comune e sulle nomine del sindaco. Messa alle strette dall’intervistatore dell’Espresso, la Raggi cerca di minimizzare, spiegando che quello del M5S “è uno staff tecnico legale coordinato dai garanti del movimento”, cioè da Beppe Grillo. Ma la realtà non cambia.
Inutile dire che sul caso Pizzarotti, la Raggi si guarda bene dal difendere il sindaco di Parma che rischia l’espulsione dal movimento grillino in barba a ogni sia pur lontana sembianza di democrazia interna. Ma il coraggio, si sa, se uno non c’e l’ha, non se lo può dare. E difatti sui problemi più spinosi di Roma la Raggi tergiversa e spessa butta la palla in corner: “Rifletterò, studierò la questione”. Ma quando? Prima o dopo le elezioni?
Prima della Raggi sarà bene però che siano gli elettori romani a riflettere se non sia una farsa affidare la Capitale a un capocomico. Sia pure per interposta persona.