Pensioni, il blocco della perequazione per due soli anni e il conseguente “trascinamento” dello stesso agli anni successivi “non costituiscono un sacrificio sproporzionato rispetto alle esigenze, di interesse generale”, perseguite dalle disposizioni impugnate. È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 250 depositata oggi, con cui sono state respinte tutte le censure al Dl 65/2015 contenute in 15 ordinanze.
La pronuncia si colloca nel solco della giurisprudenza della Consulta ed è in piena continuità con la sentenza n. 70 del 2015 che dichiarò invece l’illegittimità costituzionale della Legge Fornero, che aveva bloccato la perequazione delle pensioni per gli anni 2012/13, togliendo così ai pensionati il 5-6% della pensione, anche per il futuro. Il Governo però rilanciò con un decreto legge nel 2015, che è stato invece ritenuto legittimo. “Il decreto-legge n. 65 del 2015 sulla perequazione delle pensioni – emanato in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015 – non è una «mera riproduzione» del Dl 201 del 2011 (cosiddetto Salva-Italia, all’interno del quale c’era la riforma Fornero) perché ha introdotto una disciplina «nuova» e «diversa», ancorché temporanea, della rivalutazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013“, si legge in una nota della Consulta.
“In particolare, ha riconosciuto la rivalutazione in misura proporzionale decrescente anche alle pensioni – prima escluse – comprese tra quelle superiori a tre volte il trattamento minimo Inps e quelle fino a sei volte lo stesso trattamento. Non vi è stata, dunque, alcuna violazione del giudicato costituzionale”. La sentenza ha dunque ribadito che la rivalutazione automatica è uno «strumento tecnico» necessario per salvaguardare le pensioni dall’erosione del loro potere d’acquisto a causa dell’inflazione, e per assicurare nel tempo il rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti di quiescenza. Ha ribadito anche che va salvaguardata la garanzia di un reddito che non comprima le “esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale”.