Quale fu il vero ruolo delle Autorità di vigilanza e controllo di fronte al dissesto delle banche venete che hanno rovinato migliaia e migliaia di risparmiatori, di famiglie e di imprese del Nord Est? Le prime audizioni della Banca d’Italia e della Consob davanti alla Commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario italiano non hanno convinto e il confronto all’americana di giovedì 9 novembre tra il capo della Vigilanza di Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, e il Direttore generale della Consob, Angelo Apponi promette scintille. I punti ancora oscuri sono molti ma ce n’è soprattutto uno al centro dell’attenzione: è vero o no che la Vigilanza di Banca d’Italia considerava la Banca Popolare di Vicenza, malgrado tutti i guai che aveva, come banca aggregante e permetteva a un banchiere discusso come il Gianni Zonin, allora padre padrone a Vicenza e oggi messo sotto accusa dalla magistratura, di fare il bello e il cattivo tempo? Proprio su questo ha alzato il tiro Giovanni Schiavon, magistrato per oltre 40 anni e già Presidente del Tribunale di Treviso e fondatore dell’Associazione Azionisti di Veneto Banca. Ecco in questa intervista a FIRSTonline il suo punto di vista.
Dottor Schiavon, Lei non è nuovo ai colpi di scena come quando si dimise a sorpresa dalla presidenza del Tribunale di Treviso e da magistrato in polemica con il Csm contro la gestione burocratica e borbonica della giustizia, ma adesso, alla vigilia del confronto all’americana di giovedì 9 novembre tra il capo della Vigilanza di Banca d’Italia, Barbagallo, e il Direttore generale della Consob, Appon, ha fatto scalpore la Sua richiesta alla Procura di Roma perchè valuti se ci sono i presupposti per un’indagine giudiziaria per falsa testimonianza a carico di Barbagallo: perché l’ha fatto e che cosa contesta esattamente a Barbagallo?
“Innanzitutto ricordo che, in un disastro bancario che, solo nel Veneto, ha polverizzato improvvisamente i risparmi di circa 220.000 famiglie e piccole imprese (ma l’onda lunga non è ancora arrivata), non ci si può preoccupare solo della moral suasion istituzionale e della formale indipendenza delle Authority; bisogna anche dare alla gente un forte segnale di tutela del risparmio, secondo il dettato dell’art. 47 della Costituzione. E, dunque, già la conferma di Visco nel ruolo del governatore di Bankitalia ha destato non poche perplessità proprio perché, durante il suo mandato, sono emerse, quasi improvvisamente, gravi crisi bancarie, che hanno dimostrato che il sistema non era poi così sicuro e solido, come ci era sempre stato assicurato (anche da Bankitalia). I risparmiatori avrebbero apprezzato un segnale di cambiamento al vertice, anche se la persona di Visco non era, in sé, in discussione perché nessuno ha mai dubitato che egli non sia un galantuomo. E’ certo vero che la mozione parlamentare cosiddetta anti Visco è stata maldestra e impropria, ma, nel bilanciamento fra la riconferma del governatore (che, essendo a capo dell’Authority, non può essere esente da responsabilità per le criticità operative della sua struttura) e il rispetto di migliaia di disperati, sarebbe stato preferibile pensare ad un avvicendamento e non ad una riconferma, che ha un vago e inopportuno sapore premiale.
Perché?
Deve passare sempre il concetto che il capo di una struttura che ha dimostrato di non funzionare non può tout court chiamarsi fuori. Ciò premesso, tutti hanno avuto l’impressione che il Capo della Vigilanza di Bankitalia (il dottor Carmelo Barbagallo), nella sua prima audizione, si sia particolarmente impegnato in una accanita autodifesa ed abbia interpretato un improprio ruolo di relatore in una specie di inaugurazione dell’anno finanziario, alla presenza di plaudenti autorità civili, militari e religiose, leggendo il suo temino preconfezionato nell’Ufficio Studi. Ma poiché le sue affermazioni sono sembrate, in più punti, fortemente difformi dal reale accadimento degli eventi, ho ritenuto – e ritengo – giusto ricordare alla Commissione Parlamentare di Inchiesta che la stessa legge istitutiva (art. 4 comma 2 L. 12 luglio 2017 n. 107) prevede espressamente che le persone da essa convocate per riferire rischiano, se a corto di memoria, l’imputazione per falsa testimonianza (art. 372 c.p.). Va ricordato che la Commissione non è un organo giurisdizionale e che le persone convocate non sono testimoni, in senso tecnico. Ciononostante la loro eventuale responsabilità penale per falsa testimonianza è espressamente prevista dalla legge n. 107/2017. I dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni di Barbagallo, su punti nodali dell’inchiesta, sono molti, ma il più importante riguarda la funzione della Banca Centrale nei consolidamenti bancari, con particolare riferimento all’indicazione di BPVI quale banca aggregante”.
Il quotidiano “la Repubblica” di martedì 7 novembre ha riferito di un incontro del 27 dicembre del 2013 tra i vertici delle due banche venete nella tenuta di Gianni Zonin ad Aquileia dopo una visita in Banca d’Italia dove Barbagallo e il suo vice avrebbero indicato nella Popolare di Vicenza un “partner di standing” per Veneto Banca: le risulta?
“Su questo fatto hanno, a suo tempo, parlato i giornali e l’argomento è stato anche oggetto di ampia discussione nell’assemblea dei soci di Veneto Banca dell’aprile 2014. Gli articoli dei giornali ritraevano Zonin raggiante e riferivano che egli aveva intimato a Consoli di consegnargli le chiavi della banca, con la precisazione che tutti i membri del CDA di Veneto Banca avrebbero dovuto lasciare. Sapere ora che Barbagallo non ne sapeva niente e rendersi conto che quello che tutti, in questi tre anni, hanno sempre dato per scontato, anche perché mai smentito, non sarebbe vero, desta molte perplessità. Invito, ancora una volta, la Commissione a svolgere precisi accertamenti per verificare se non sia vero che proprio il dottor Barbagallo aveva indicato la Banca Popolare di Vicenza (a Banca Etruria ed a Veneto Banca) come Istituto di elevato standing, meritevole, in quanto tale, di svolgere ruoli aggreganti. Ma non credo siano solo queste le risposte non corrette di Barbagallo”.
Quali sono le altre? Certo la moral suasion fa parte della normale attività della Vigilanza di Banca d’Italia e Barbagallo dice che al massimo si poteva immaginare una fusione e non un’acquisizione di Veneto Banca da parte della Popolare di Vicenza, ma non è po’ strano che Via Nazionale potesse far leva su un banchiere tanto discusso come Zonin?
“Tutti sapevano, in Veneto, che Zonin aveva ottime entrature in Bankitalia, a differenza di Consoli (Ndr. che era il numero uno di Veneto Banca). E tutti si sono sempre stupiti che un’Authority così attenta all’immagine di sua terzietà consentisse a Zonin di svolgere il ruolo del padre padrone nella banca berica. Il diffuso sospetto si è ancora più consolidato quando, nel 2014, gli stress test europei hanno evidenziato i primi scricchiolii di BPVI, che però è stata messa in grado, in zona Cesarini, di rientrare nei parametri con l’urgente conversione in capitale del bond da 253 milioni. Qualcuno deve aver lanciato a Zonin un allarme”.
Nella sua prima audizione davanti alla Commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario, Barbagallo ha avanzato una pioggia di critiche alla dissennata gestione delle banche venete: quando lei era Presidente del Tribunale di Treviso non Le erano mai arrivate denunce ed esposti in tal senso? Che cosa ne avete fatto?
“Fino a quando ho svolto il ruolo di presidente del Tribunale di Treviso Veneto Banca ha sempre goduto di buona fama e la fiducia dei risparmiatori (sottoscritto compreso) era piena. Preciso, comunque, che avrebbe dovuto essere la Procura della Repubblica l’organo giurisdizionale destinatario di eventuali segnalazioni di valenza penale. In ogni caso, fino al 2012, non ho mai avuto occasione di nutrire dubbi sulla solidità della banca”.
Uno degli aspetti di malcostume più incredibili emersi in occasione delle audizioni parlamentari sulle banche venete è quello delle cosiddette “porte girevoli” tra ispettori della Vigilanza bancaria o della Consob e magistrati da una parte e banche venete dall’altra: in Tribunale eravate a conoscenza dei continui cambi di casacca?
“Il sistema delle cosiddette porte girevoli è riferibile solo alla Popolare di Vicenza, non a quella di Montebelluna”.
Anche a Lei furono offerti incarichi da Veneto Banca soprattutto in Romania e in Albania: come si comportò?
“Dopo il mio pensionamento ho fatto parte del consiglio di amministrazione della Banca Italo Rumena (del Gruppo Veneto Banca), per pochi mesi. Qualche tempo dopo, sono stato indicato dal Comitato Nomine di Veneto Banca come possibile destinatario del ruolo di presidente della Banca d’Albania (sempre del Gruppo), ma la proposta non ha avuto nessun seguito, per la mia dichiarata non disponibilità”.
Dopo le sue dimissioni da magistrato, Lei assunse la presidenza dell’Associazione Azionisti di Veneto Banca, che raccoglie soprattutto piccoli risparmiatori, ma, visto il disastro della banca, c’è chi dice che anche voi siete stati un po’ troppo teneri verso il vertice dell’istituto di Montebelluna: si poteva fare di più?
“La domanda richiederebbe una risposta molto articolata. Mi limito a dire che l’Associazione che io stesso ho concorso a costituire ha fatto l’impossibile per consentire ai risparmiatori–azionisti di venire a capo dei loro problemi. E ricordo che, nell’assemblea di Veneto Banca del 5 maggio 2016 (in occasione della quale si erano presentate due contrapposte liste di candidati al nuovo CDA, una espressione del consiglio uscente e l’altra suggerita dalle associazioni dei risparmiatori) sorprendentemente hanno vinto proprio gli azionisti. A seguito di ciò, io stesso sono stato nominato vice presidente della banca. Ebbene, fin da subito, il nuovo CDA ha operato in un clima di evidente ostilità e tutti noi (quelli del nuovo board, intendo) eravamo convinti di non essere neppure liberi di parlare, tanto che, per comunicare tra noi riservatamente, uscivamo spesso in terrazza. Prima di quell’assemblea, il CDA uscente (che era stato nominato proprio su proposta di quello di cui facevano parte Consoli e Trinca, nel segno della continuità) dichiarava apertamente che la loro lista (e non la nostra) aveva avuto il gradimento di Bankitalia e di BCE. Nessuno ha mai smentito queste loro dichiarazioni, pur se pubblicate in paginate apparse sui maggiori quotidiani (ovviamente, a spese della banca). Basta andare a leggere i giornali di allora. Non abbiamo potuto far di più per gli azionisti non solo perché ci siamo trovati isolati, ma anche perché, subito dopo, c’è stato l’intervento del fondo Atlante. Abbiamo avuto la sensazione che i giochi fossero stati fatti da tempo”.
Che cosa si aspetta giovedì dal confronto all’americana e tra Banca d’Italia e Consob e più in generale da Commissione d’inchiesta del Parlamento?
“Ho già avuto recente occasione di esprimere le mie perplessità sull’utilità reale dei lavori della Commissione, quantomeno perché è pacifico che essa scadrà a breve e non sarà rinnovata. Ma la gente si aspetta che, una volta tanto, possa almeno emergere qualche segmento di verità. Il gioco dello scaricabarile cui siamo abituati in Italia fa prevedere che tutti finiranno per dare le colpe ai soli ex vertici delle banche. Ma già dal prossimo giovedì la Commissione ha un’importante opportunità: quella di stabilire quale fra le due Authority (Consob e Bankitalia) abbia mentito sul meccanismo delle loro dirette collaborazioni. Almeno questo. I cittadini sono stanchi di vedere che, a fronte di un tale immane disastro economico, venga proposta una così grande quantità di spudorate menzogne”.
Alla fine i veri colpevoli del dissesto delle banche venete pagheranno? E i risparmiatori che tra azioni e bond hanno perso 15 miliardi riavranno un po’ dei loro soldi?
“Il problema è proprio questo: chi sono i veri responsabili del disastro delle banche? Io sono stato sempre convinto che gli ex vertici, per quanti errori possano aver commesso e per quanto grande sia stata la loro megalomania gestoria, non possono essere – essi soli – responsabili di tutto. Il problema è complesso, ma ci sono stati fattori causali ben maggiori e più significativi che, a questo punto, temo non emergeranno mai. Ma, almeno, alcuni probabili coautori del disastro non ricerchino l’autobeatificazione. I risparmiatori, ormai abbandonati da tutti, potranno forse ottenere una qualche riparazione economica solo a costo di pesanti e difficili contenziosi civili: e non certo nei confronti degli ex vertici delle due ex Banche popolari. Le associazioni dei risparmiatori hanno fatto quel poco che potevano”.