“Sì, la ripresa è in atto e molti indicatori suggeriscono che si stia consolidando” ma guai a pensare che il contesto nel quale l’economia italiana è tornata a crescere “rimanga così favorevole a lungo” e guai a non vedere i “freni strutturali che ne stanno limitando la velocità di recupero” rispetto ai nostri partner europei. Attenzione dunque a non commettere errori nella prossima manovra di bilancio ma non solo: questo è il momento di tornare a pensare al debito pubblico e di metterlo in cima alle priorità della politica economica. Chi parla è Lorenzo Forni, economista e nuovo Segretario generale di Prometeia Associazione, centro bolognese di analisi e consulenza economica e finanziaria di comprovata eccellenza. Forni, 49 anni, che ha un passato al Servizio Studi della Banca Italia e dal 2010 al 2016 al Fondo Monetario Internazionale, insegna Politica Economica all’Università di Padova e si è sempre occupato di temi macroeconomici, tra cui l’impatto del debito pubblico e privato sull’economia, di cui parla anche in questa intervista rilasciata a FIRSTonline. Ma il nuovo Segretario generale di Prometeia non vive in una torre d’avorio e non manca di scrutare gli effetti della politica sull’economia, a partire dalle ricette che offrono i Cinque Stelle, il centrodestra e il Pd di Matteo Renzi. Ecco il suo punto di vista.
Prof. Forni, l’economia italiana cresce meno di quella dei maggiori partner europei, al Pil mancano ancora 6 punti percentuali per tornare ai livelli pre-crisi e l’occupazione deve fare di più, tuttavia gli ultimi segnali congiunturali (Pil oltre le attese, produzione industriale, export, consumi e investimenti in ripresa e occupazione a 23 milioni di unità anche se la disoccupazione sale) sembrano indicare che il peggio è alle spalle e che si sta aprendo anche in Italia una nuova fase economica: gli ultimi indicatori autorizzano a pensare che sia proprio così e che la ripresa sia destinata a continuare? Quali sono le previsioni di Prometeia per il 2018 e per i prossimi tre anni?
“Sì, la ripresa è in atto e molti indicatori suggeriscono che si stia consolidando. Il 2017 ha visto la concomitanza di molti impulsi positivi, dalle politiche economiche alla ripresa del commercio mondiale e alla caduta dell’incertezza politica, che potrebbero non ripresentarsi con la stessa intensità favorevole il prossimo anno. In particolare il cambio ha smesso di deprezzarsi e le politiche saranno meno espansive già nel corso del 2018, per cui il 2017 potrebbe rappresentare il punto massimo del ciclo. Prevediamo una crescita del PIL all’1.4% nel 2017 e un assestamento all’1-1.1% negli anni successivi”.
Tra i tanti indicatori congiunturali, quali sono – secondo Prometeia – quelli più incoraggianti per questa fase dell’economia italiana e quali i punti su cui il miglioramento, se c’è, è troppo debole?
“Tra i segnali più incoraggianti va certamente segnalato l’indice di diffusione della crescita della produzione industriale, che sta sfiorando il 100% (a dire che la ripresa non è più a macchia di leopardo come qualche tempo fa, ma si è diffusa), e la crescita di occupazione, che sta proseguendo anche una volta esaurito l’incentivo della decontribuzione. L’elemento di debolezza è rappresentato dal fatto che comunque la nostra crescita rimane inferiore a quella dei nostri partner europei, nonostante la recessione ci abbia colpiti più duramente, contrariamente a quanto sta accadendo in Spagna, che ha avuto una recessione profonda, ma che sta crescendo a tassi molto elevati. La nostra economia evidenzia “freni” strutturali che ne stanno limitando la velocità di recupero”.
Oltre agli effetti della congiuntura internazionale e della politica monetaria, si può dire che l’economia italiana comincia a raccogliere il dividendo delle riforme realizzate negli ultimi anni?
“Raccoglie certamente il frutto delle politiche fiscali espansive messe in atto dal 2014 (su questo abbiamo pubblicato una nota che si può trovare su www.prometeia.it/en/research-insights/position-note) e, probabilmente, anche delle riforme strutturali fatte, benché per cogliere appieno gli effetti di queste ultime sarà forse necessario più tempo (ad esempio, Jobs Act e contratto a tutele crescenti forse non sono ancora stati completamente interiorizzati dagli operatori)”.
Al Forum Ambrosetti di Cernobbio il Presidente Gentiloni e il ministro Padoan hanno rivendicato con orgoglio la capacità del Governo di tenere in ordine i conti pubblici (“Non c’è nessun Paese europeo con il nostro avanzo primario”) senza soffocare la crescita, ma hanno anche messo le mani avanti rispetto alle prevedibili pressioni elettorali dicendo che “nella prossima manovra di bilancio non si devono fare danni”: quali sono secondo Lei gli errori da evitare e quali le priorità da affermare nell’imminente Legge di Bilancio 2018 per sostenere la crescita riducendo le diseguaglianze sociali?
“Non bisogna fare l’errore di pensare che il contesto rimanga così favorevole a lungo, ad esempio in termini di politica monetaria, ripresa internazionale e incertezza politica. Per questa ragione bisogna dare la priorità alla riduzione del debito, perché altrimenti si esporrebbe il paese a rischi elevati. Una modesta correzione dei conti non avrebbe un impatto significativo sulla crescita e sarebbe sufficiente per mettere il debito su un sentiero decrescente (anche su questo si può vedere wsuww.prometeia.it/en/research-insights/position-note). Poi all’interno di questo quadro, direi no ad interventi a pioggia ma bisognerebbe concentrare le poche risorse sui redditi più bassi, ad esempio aumentando gli stanziamenti al REI e sull’istruzione”.
Il Governo considera le nuove generazioni – lo ha ripetuto anche Padoan a Cernobbio – una priorità, ma le risorse pubbliche disponibili sono scarse: meglio concentrarle sulla decontribuzione per le nuove assunzioni dei giovani o meglio tagliare il cuneo fiscale per tutti?
“La scelta del governo di concentrare lo sgravio sui nuovi assunti è stata opportuna, con l’obiettivo di sostenere l’occupazione in una congiuntura difficile e in un contesto di risorse limitate. Limitarlo ai giovani però rischia di creare una “guerra fra poveri”, spiazzando lavoratori disoccupati non giovanissimi ma magari con carichi familiari (abbiamo visto che la crisi ha fatto aumentare i disoccupati nelle fasce centrali di età). Inoltre gli incentivi sono a termine (durano tre anni) perché sono stati pensati come una misura anticiclica, quindi c’è il rischio che quando scadono l’effetto positivo venga meno. Nel medio termine sarebbe preferibile trovare le risorse per abbassare il costo del lavoro in modo generalizzato e permanente”.
Andando oltre la prossima manovra di bilancio, per sostenere la crescita economica è preferibile concentrare le risorse sulla riduzione selettiva delle tasse o sugli investimenti?
“Aumentare gli investimenti ha ovviamente effetti moltiplicativi maggiori, si tratta però di selezionarli e di avere la capacità organizzativa di metterli in opera (che secondo molti osservatori di recente sta mancando). Anche interventi di riduzione delle tasse in modo selettivo a favore degli investimenti in innovazione possono essere efficaci (penso a Industria 4.0 e incentivi per le spese in R&D che hanno preso avvio quest’anno, anche se è ancora prematuro valutarne l’efficacia), per cui direi che la scelta non è facile”.
Il debito pubblico sembra rimosso dal dibattito pubblico ma il Governo e anche il premier del Pd Matteo Renzi stanno pensando a qualche operazione straordinaria da lanciare prima o dopo le elezioni, come la creazione di una superholding di tutti gli asset pubblici mobiliari da mettere probabilmente in capo alla Cdp e da aprire alla partecipazione di grandi fondi nazionali e internazionali: che cosa ne pensa?
“La questione delle privatizzazioni ritorna ogni volta che si pensa come abbattere il debito pubblico, ma c’è ampio consenso sul fatto che non sono certo la soluzione del problema. Realisticamente le privatizzazioni possono al massimo dare un contributo limitato, di privatizzazioni “facili” non ce ne sono più”.
Guardiamo al di là dell’imminente manovra di bilancio e delle prossime elezioni politiche in vista delle quali si confrontano diverse o opposte ricette economiche (il reddito di cittadinanza di M5S, la flat tax del centrodestra e la riduzione delle tasse sul lavoro con un deficit pubblico un po’più alto anche se sotto il 3% del Pil proposta da Renzi). Qual è il suo giudizio su tutt’e tre le ricette?
“Il reddito di cittadinanza è un’opzione molto costosa e che non affronterebbe in mondo diretto il problema della povertà. Riteniamo invece che sia più produttivo estendere e rafforzare il REI appena approvato dal governo (su questo usciremo con una nota il 29 settembre che sarà disponibile sul sito Prometeia). La flat tax parte dal presupposto che il nostro sistema fiscale vada semplificato, ma spesso non ci si rende conto che le complicazioni sono dovute a esigenze legittime (ad esempio progressività e tutela di categorie deboli), per cui riforme radicali sono spesso sia inopportune sia probabilmente politicamente infattibili. La terza ricetta rischia di fare crescere ulteriormente il debito pubblico. Se il paese non è in grado di mettere il debito su un sentiero sostenibile quando i tassi sono bassi e la crescita sopra il potenziale, sorgerà il dubbio che riesca a farlo quando le condizioni saranno meno positive. Inoltre, la ripresa si sta rafforzando e l’occupazione sale, quindi la necessità di sostenerle con politiche in deficit è minore”.