Il mercato emergente, a volte, salta fuori da dove uno meno se lo aspetta. Ad esempio da quei fondi azionari globali che si confrontano con l’indice MSCI World. Questo paniere è costituito da 1.646 azioni di media e grande capitalizzazione di 23 paesi. Anche se questa sembra essere una ragionevole rappresentazione delle opportunità di investimento a livello globale manca, almeno all’apparenza, un asset che nel bene e nel male è cruciale: i paesi in via di sviluppo, appunto. Questo può essere un problema, soprattutto quando si parla di propensione al rischio di un investitore che potrebbe non gradire le incertezze legate a mercati diversi dai developed.
Se è vero che gli emerging non fanno parte dell’Indice MSCI World, è anche vero che i gestori di fondi globali spesso hanno la flessibilità per andare a pescare in quelle aree per ottenere un’esposizione diretta alle loro economie in rapida crescita: sia per aumentare il rendimento, che per obiettivi di mera diversificazione Questo è più evidente nei gestori che scelgono l’MSCI ACWI o il FTSE World come loro benchmark ufficiale. Entrambi, infatti, hanno una esposizione ai paesi in via di sviluppo, seppur minima.
Restando in superficie
“Sebbene il margine di manovra per investire in azioni fuori dai mercati sviluppati sia generalmente limitato, i fondi globali a livello di economie hanno un’esposizione più elevata a questo asset maggiore di quella indicata dai loro investimenti diretti”, spiega Jeffrey Schumacher, Associate Director della Manager Research di Morningstar. “Abbiamo analizzato 112 fondi fra aperti chiusi, attivi ed Etf che hanno un Morningstar Analyst Rating e che avevano i portafogli aggiornati al 31 marzo 2017. A prima vista la maggior parte dei fondi in questo campione investe direttamente nelle aree emergenti, anche se spesso in maniera marginale. L’allocazione media all’asset class a fine marzo 2017 era del 3,3%. Ci sono poi 21 fondi che, sempre a un primo sguardo, non hanno esposizione diretta ai mercati emergenti. Di questo sottoinsieme, solo nove fondi non hanno avuto esposizione diretta negli ultimi tre anni. Per la maggior parte dei fondi azionari globali che investono direttamente nei mercati emergenti, l’allocazione in genere non cresce mai al di sopra del 5%. Solo una manciata di fondi investe una parte significativa del patrimonio nei paesi in via di sviluppo, con esposizioni dirette superiori al 20%”. Questo, almeno, è quello che appare in superficie.
Guardando più a fondo
L’analisi delle esposizioni dirette sui mercati emergenti dei fondi azionari globali, insomma, indica che l’esposizione alla regione è in genere limitata. “Tuttavia, le metodologie tradizionali che classificano uno stock come appartenente a un determinato paese o regione non danno sempre una foto completa”, dice Schumacher.
I metodi tradizionali di classificazione spesso categorizzano le aziende in base a dove è quotato il titolo, a dove è stata fondata l’azienda o a dove si trova la sue sede. Tuttavia, questo approccio non rivela necessariamente l’esposizione economica di un’azienda a un determinato paese o regione, che poi è la cosa più rilevante dal punto di vista dell’investitore.
In mercato sempre più globalizzato, le imprese sono diventate meno dipendenti dal loro paese di origine. L’esposizione economica di un’azienda a un paese o una regione è dunque il risultato di diverse variabili, tra cui: dove crea i ricavi, l’ubicazione degli impianti produttivi, dove si trovano i suoi fornitori e in che misura i rischi di valuta sono coperti. Di conseguenza, le entrate e i profitti di un’azienda sono spesso esposti a un’attività economica che si svolge ben oltre i confini del paese di origine dell’impresa.
La società mineraria BHP Billiton, per esempio, è quotata a Londra, ma è fortemente dipendente dalle condizioni economiche dei paesi emergenti e in particolare della Cina. Le sue attività minerarie e petrolifere, nel frattempo, sono in Australia, negli Stati Uniti e in Sud America. Di conseguenza, non si comporta come un tipico stock dei mercati sviluppati, e non può essere un indicatore per l’economia del Regno Unito. Questo titolo è più pesante nell’indice Msci Emerging Market che nel Ftse100.
Per andare oltre la classificazione geografica degli stock, gli investitori dovrebbero cercare di analizzare dati fondamentali come i ricavi o le divisioni di utili per rivelare l’esposizione regionale sottostante di una società. Tuttavia, potrebbero esserci limitazioni in termini di comparabilità, disponibilità e qualità dei dati.
Tutti hanno un po’ di emerging
“Utilizzando il Risk Model di Morningstar (un sistema di analisi dei rischi nascosti all’interno di un asset di investimento) per analizzare le possibili esposizioni dei fondi presi in esame a sette regioni emergenti ha portato a conclusioni diverse rispetto alla tradizionale metodologia di classificazione”, dice Schumacher. “Il nostro modello dice che tutti i fondi del campione avevano, a marzo 2017, un’esposizione ai mercati emergenti. Nel dettaglio l’esposizione media ai paesi in via di sviluppo era dell’8,9%: il triplo di quella che risulta secondo la metodologia tradizionale. Per i portafogli che non hanno esposizione ai paesi in via di sviluppo con le classificazioni tradizionali, il modello di rischio evidenzia un’esposizione del 4,7%. Per 48 fondi, più di due quinti del campione, l’esposizione alle regioni emergenti misurate dal modello di rischio era superiore al 10%. Nel caso di 13 fondi il Risk Model ha dato un risultato più basso rispetto alla metodologia classica”.
La tabella sottostante mostra le differenze riscontrate nell’esposizione dei mercati emergenti per il campione di fondi azionari globali utilizzando le classificazioni tradizionali e il Morningstar Global Risk Model.
Dal sito morningstar.it.