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Romania: il Pil rallenta ma cresce del +3,4%, occhio però al deficit

Le prospettive di un rafforzamento dei fondamentali in un’ottica di lungo periodo restano positive, mentre appare ancora debole la posizione delle infrastrutture e nel sistema giudiziario. Si mantiene su bassi livelli medi l’inflazione (1,5%).

Romania: il Pil rallenta ma cresce del +3,4%, occhio però al deficit
La Romania è tra i Paesi dell’Europa Sud-Orientale ad aver maggiormente accusato la crisi finanziaria internazionale prima e quella del debito dei paesi periferici dell’Eurozona poi, con una dinamica del PIL di -7,1% nel 2009 e -0,8% nel 2010. Con il superamento della crisi del debito e l’allentamento delle difficoltà economiche, si è rafforzato l’export e l’economia rumena ha ritrovato slancio nel 2013 crescendo del 3,5%. Il Paese è così entrato in una fase ciclica favorevole che è proseguita nei tre anni successivi rafforzata dalla domanda interna per consumi privati e investimenti: l’aumento del salario minimo pubblico, il basso prezzo dell’energia e la riduzione dell’IVA sugli alimentari hanno sostenuto la fiducia dei consumatori e la domanda delle famiglie. Allo stasso tempo, la disponibilità dei fondi europei (30 miliardi di euro stanziati per il periodo 2014-20) e i tassi di interesse ai minimi storici hanno favorito gli investimenti. Nel corso del 2016 il PIL è cresciuto del 4,8%, il tasso più alto degli ultimi otto anni, con il contributo fornito dai consumi privati pari a 6,4pp e quello degli investimenti pari a 0,2pp.

Il contributo netto delle esportazioni è stato invece negativo (-4,0pp) per via della maggiore crescita delle importazioni. Tuttavia, la fase ciclica positiva è proseguita anche nei primi mesi di quest’anno: la produzione industriale è cresciuta del 5,8% a gennaio con il comparto dei beni capitali che ha registrato una dinamica a doppia cifra (+10%), mentre a sua volta anche l’export è avanzato con un ritmo a due cifre (+13,1% tendenziale in termini nominali). A gennaio il tasso di disoccupazione è rimasto sotto il 5,0%, confermandosi vicino al minimo degli ultimi anni, e le vendite al dettaglio (esclusi i motoveicoli), sebbene in rallentamento, sono comunque cresciute del 6,5% (in termini reali) a gennaio. Per l’anno in corso, dopo la straordinaria crescita del 2016, la Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo prevede un rallentamento del PIL a 3,4%: benché più contenuta, la crescita economica verrà trainata dalla domanda interna, senza dimenticare il contributo degli investimenti favoriti dai fondi UE e della spesa pubblica alimentata con l’aumento del deficit. L’export netto, per via della crescita delle importazioni, sottrarrà ulteriormente propellente all’espansione economica, con un effetto che proseguirà anche nel 2018.

A gennaio l’inflazione è passata in territorio positivo (0,1%) e a febbraio si è lievemente rafforzata pur rimanendo molto contenuta (0,2%) per effetto della lieve ripresa dei prezzi dell’energia e degli alimentari. Nel complesso, gli analisti prevedono che l’inflazione resterà positiva quest’anno (1,5% in media) per via degli effetti di secondo ordine derivanti dai passati aumenti salariali, il progressivo atteso rafforzamento della domanda, soprattutto pubblica, e i prezzi dell’energia in aumento. A partire dal 2013 la Banca Nazionale della Romania (NBR) ha stabilito l’obiettivo per l’inflazione al 2,5%, con una banda di oscillazione di +/-1%: a fronte di aspettative di basse pressioni inflazionistiche, la NBR ha allentato la politica monetaria riducendo il tasso di policy in più step fino all’attuale 1,75%. L’inflazione bassa e ancora al di sotto del corridoio target non lascia margini per iniziare una fase di rialzo del tasso di policy che invece gli analisti credono resterà ai minimi ancora fino alla fine del 2017; tuttavia sui mercati monetari il tasso di interesse a breve termine (attualmente a 0,6%) potrebbe iniziare a salire ancor prima, in occasione dell’annuncio da parte della Banca Centrale Europea di uscire dal quantitative easing. In questo scenario, anche il tasso a lungo termine (attualmente al 4,0%) si prevede continui a salire.

Sulla base dei principali indicatori di liquidità non emergono al momento criticità in un orizzonte di breve periodo. Il rapporto tra le riserve ufficiali e il debito estero a breve termine è stimato a 1,6 nel 2016. Il margine di copertura del fabbisogno finanziario estero (reserve cover ratio), cioè il rapporto tra le riserve ufficiali e la somma del deficit corrente e degli impegni finanziari in scadenza cumulati nel 2016 è stimato pari a 1,4 (cioè superiore all’unità che rappresenta la soglia di allerta) ed è previsto in lieve salita nel 2017 a 1,7.

Negli ultimi anni il Paese ha migliorato significativamente lo squilibrio di bilancio: il deficit pubblico, arrivato al 6,3% del PIL nel 2010, è sceso gradualmente fino a 1,5% nel 2015 grazie a politiche fiscali prudenti, in parte nell’ambito del programma di assistenza del FMI (da marzo 2011 a settembre 2015). Tuttavia, lo scorso anno il deficit pubblico, pur rimanendo meno della metà del suo valore medio degli anni 2008-14, si è ampliato al 2,4% a causa delle minori entrate fiscali, per via del taglio dell’IVA, e delle maggiori uscite dovute all’aumento dei salari minimi nella pubblica amministrazione. Per l’anno in corso la Commissione Europea prevede che, a legislazione corrente, il deficit pubblico supererà il parametro fissato dal Trattato di Maastricht del 3,0% del PIL arrivando al 3,6% con il rischio che si possa aprire una procedura per deficit eccessivo. La spesa pubblica salirà dal 31,5% al 32,7% del PIL per via soprattutto dell’aumento delle pensioni pianificato per quest’anno. Nel 2016 il deficit corrente è stato del 2,4% del PIL, in aumento dall’1,2% dell’anno precedente, laddove il deficit del conto con l’estero è stato tenuto in territorio negativo da tutte le sue componenti. Il saldo del conto dei capitali è invece rimasto positivo e, grazie al maggior afflusso rispetto all’anno precedente di IDE e di investimenti di portafoglio, anche il conto finanziario è passato in surplus. Per l’anno in corso si prevede il saldo corrente ancora negativo e in ampliamento per via del rafforzamento delle importazioni.

Le prospettive di un rafforzamento dei fondamentali economici della Romania in un’ottica di lungo periodo restano positive, subordinatamente a una dinamica economica dell’Eurozona più solida e all’attuazione delle riforme necessarie ad incrementare la competitività del Paese e la capacità dello stesso di assorbire i fondi UE. Sulla base del Global Competitiveness Index (GCI), indice calcolato dal Word Economic Forum (WEF), la Romania è passata, tra il 2007 e il 2017, da un punteggio di 3,97 a 4,3 su una scala compresa tra 0 (minima competitività) e 7 (massima competitività), grazie soprattutto al sistema dell’istruzione. Appare invece ancora debole la posizione nel settore delle infrastrutture e nel sistema giudiziario dove, secondo la Commissione Europea, devono ancora essere realizzate importanti riforme. Un elemento di vulnerabilità economica della Romania è rappresentato dall’indebitamento estero che al momento è al 50% circa del PIL, ma potrebbe aumentare per via del deficit corrente previsto quasi al 3,0% nei prossimi anni.

I conti pubblici si sono consolidati nell’ultimo quinquennio sebbene l’austerità di bilancio sia stata in parte allentata nel 2016 e per il 2017 il FMI prevede un ulteriore ampliamento del deficit al 3,7% del PIL. Le condizioni della finanza pubblica nel complesso sono migliorate rispetto agli anni precedenti e i tassi di interesse storicamente bassi sui mercati internazionali hanno favorito un progressivo calo dei CDS che risultano attualmente a 93pb, ben inferiori a quelli di altri paesi dell’area come ad esempio la Croazia (176pb) e la Serbia (199pb). Ecco allora che le agenzie Fitch e S&P attribuiscono al Paese il rating BBB- a fronte della buona crescita economica del Paese, tuttavia i conti pubblici restano oggetto di attenzione per il rischio di un loro eccessivo aumento nel caso la politica fiscale accentuasse l’orientamento pro-ciclico. Baa3 è il giudizio espresso da Moody’s.

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