Si torna a parlare dei vitalizi ai parlamentari. In un clima di grande polemica, la proposta di legge firmata dal deputato Pd Matteo Richetti sbarca martedì in Aula alla Camera e già mercoledì potrebbe incassare il via libera di Montecitorio, per poi passare al Senato. L’obiettivo è arrivare all’approvazione prima della pausa estiva.
Non dovrebbe essere un problema, perché il provvedimento è sostenuto da varie forze politiche, a cominciare dal Movimento 5 Stelle. La maggioranza è granitica: non mancano le critiche al testo di Richetti, che secondo alcuni sarà tacciato d’incostituzionalità, ma a pochi mesi dal voto nessuno vuole presentarsi agli elettori come difensore della casta.
LA POLEMICA M5S-PD
La bagarre allora si concentra sulla paternità del disegno di legge. “Si scrive Richetti, si legge Lombardi”, attaccano i deputati M5S della commissione Affari costituzionali, ricordando che l’anno scorso la deputata grillina aveva presentato un disegno di legge sullo stesso tema. Un provvedimento che però – accusano i 5 Stelle – all’epoca il Pd lasciò impantanare in Parlamento.
“Mi fa molto piacere che si uniscano i grillini, ma loro hanno firmato questa legge solo poche settimane fa, mentre il testo è depositato dal 2015 – si difende Richetti – Se avessero voluto fare sul serio, perché in questi due anni non si sono uniti alla battaglia lasciando che sulla proposta ci fossero solo 80 firme, tutte del Pd?”. Quanto alle presunte analogie con il provvedimento scritto dal M5S, il deputato Pd sottolinea che “la proposta Lombardi non toccava minimamente la riduzione dei vecchi vitalizi”.
ABOLIRE I VITALIZI? È STATO FATTO NEL 2011
Non è un dettaglio, ma il punto centrale della questione. Parlare di “abolizione dei vitalizi” è sbagliato, perché i vitalizi sono già stati aboliti dal governo Monti alla fine del 2011. Le regole in vigore oggi prevedono che, al termine del quinto anno di mandato, deputati e senatori maturano il diritto a una pensione calcolata con il metodo contributivo, basato cioè sui contributi effettivamente versati (molto meno generoso del retributivo, legato alle ultime retribuzioni percepite), da incassare al compimento del 65esimo anno di età. Per ogni anno in cui restano in carica oltre i primi cinque, deputati e senatori possono godere di un anno d’anticipo sull’erogazione della pensione. Tuttavia, non è mai consentito incassare l’assegno prima dei 60 anni.
Il Movimento 5 Stelle contesta anche questa normativa, perché di fatto privilegia ancora i parlamentari rispetto ai cittadini, soprattutto per quanto riguarda l’età di maturazione del trattamento pensionistico.
COSA PREVEDE LA PROPOSTA RICHETTI E PERCHÉ RISCHIA LO STOP COSTITUZIONALE
Non è però di questo che si sta parlando nelle ultime settimane. Il problema non riguarda i parlamentari attualmente in carica, che non riceveranno comunque gli assegni spropositati di un tempo, ma gli ex deputati e gli ex senatori che – in base alle regole in vigore prima del 2012 – incassano oggi vitalizi ricchissimi (perché calcolati con il metodo retributivo), a fronte di incarichi spesso brevissimi, in alcuni casi durati addirittura poche ore. Si tratta, in base agli ultimi dati resi noti dal presidente dell’Inps Tito Boeri, di 2600 ex parlamentari per una cifra che nel 2016 ha raggiunto i 193 milioni di euro, senza considerare gli incarichi al parlamento europeo e ai consigli regionali. Cifre che non spostano certamente i conti di finanza pubblica ma che hanno un valore simbolico.
E qui che entra in gioco lo spettro della Corte Costituzionale. Sempre nel 2011, la Consulta bocciò un comma del decreto legge 98 che introduceva un contributo perequativo per le pensioni oltre 90 mila euro lordi. Un contributo che la Corte Costituzionale considerò di natura tributaria, ritenendo perciò che fosse “un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini”. In altri termini, secondo la Consulta non si può imporre una tassa arbitraria che colpisca esclusivamente i pensionati, anche se ricchi. In gioco ci sono, come si dice, dei “diritti acquisiti”.
Ora la riforma targata Richetti propone qualcosa di simile per gli ex parlamentari titolari di vitalizi. Il testo impone che quegli assegni vengano ricalcolati con il metodo contributivo: si tratta perciò di una norma retroattiva che andrà a toccare il diritto acquisito di una singola categoria, proprio come nel caso del prelievo sulle pensioni d’oro.
“Il rischio di incostituzionalità c’è – ha ammesso Richetti al Gr1 Rai – ma io sulla Costituzione leggo che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. E dunque tutti devono avere lo stesso trattamento, compresi i parlamentari. Se la Corte dirà che questa legge è incostituzionale se ne prenderà la responsabilità. Una resa preventiva, però, non è possibile, altrimenti l’Italia non cambia mai”.