Ogni anno sulla Terra consumiamo più di 24 PWh di energia elettrica: 24 000 000 000 000 000 Wh/anno, cioè l’energia che consumerebbero un milione di miliardi di lampadine a risparmio energetico da 24 W tenute accese per un’ora. Per capirci, è come se ciascuno dei sette miliardi e mezzo di esseri umani che vivono sul Pianeta tenesse accese per tutto l’anno, giorno e notte, 15 lampadine da 24 W. Questa montagna di energia elettrica che consumiamo sulla Terra la ricaviamo per i due terzi dai combustibili fossili, per il 10.7 % dal nucleare e per il 23.9 % da fonti rinnovabili. Anche se le medie mondiali dicono poco, si va dalla Francia, che per il 75% la ricava dalle centrali nucleari, alla Cina, che punta sul carbone per il 78%, alla Norvegia che ricava dalla caduta dell’acqua il 98% della propria elettricità.
Entriamo però nel dettaglio delle tre fonti utilizzate per produrre energia elettrica:
– Tra le fonti rinnovabili oggi la parte del leone la fanno le turbine idroelettriche (16,6%). Seguono il vento (3,7%) e i biocarburanti (2,0%, soprattutto di prima generazione). In coda arriva il solare fotovoltaico 1,2% mentre il solare termico a concentrazione (CSP), geotermico, maree e onde complessivamente stanno tutti dentro il restante 0,4% del 23,9% totale in quota rinnovabili. Occorre investire ancora nella ricerca perché le fonti più tecnologicamente avanzate (fotovoltaico, biocarburante da rifiuti, maree, eolico…) prendano il sopravvento su quelle meno efficienti che sfruttiamo già da centinaia di anni.
– Per il nucleare si prevede un ridimensionamento, prevalentemente per motivi politici più che per serie questioni tecniche connesse con la sicurezza degli impianti o con la salvaguardia dell’ambiente (è a tutti gli effetti una fonte fossile, ma è fra quelle a minor impatto ambientale fra quelle disponibili).
– Per fare fronte alla crescente domanda di energia elettrica, oggi e nell’immediato futuro, possiamo dunque contare in grande prevalenza solo sui combustibili fossili. Attualmente da carbone, gas e petrolio deriva rispettivamente il 40,8%, 21,6% e 4,3% della produzione di elettricità. Tornando all’esempio di prima, quattro lampadine elettriche su dieci funzionano a carbone, due a gas, mezza si accende bruciando petrolio, una sfrutta la fissione dell’atomo, due vanno ad acqua, mentre l’ultima mezza lampadina viene alimentata da un mix di tutte le fonti rinnovabili rimanenti.
In sostanza il 66,7% di energia elettrica prodotta globalmente (pari a 15,9 PWh) viene ricavata da combustibili fossili (carbone, gas, petrolio). Queste fonti di energia, nelle forme solide, liquide o gassose, vengono bruciate e trasformate in calore. Questo fa evaporare acqua creando vapore ad alta pressione che mette in movimento una turbina a sua volta collegata con un generatore che produce energia elettrica. Negli impianti più moderni, questa trasformazione dell’energia di legame chimico immagazzinata nel combustibile in energia termica, poi in energia meccanica e finalmente in energia elettrica ha una efficienza complessiva di circa il 40%. Questo significa che il 60% (o più) dell’energia contenuta viene dispersa nell’ambiente, principalmente come calore. Gli impianti più virtuosi cercano di riutilizzare parte di questo calore per il preriscaldamento dei flussi in entrata o per scaldare impianti o abitazioni circostanti. Mentre gli impianti a carbone e ad olio combustibile hanno una resa attorno al 40%, lo sviluppo tecnologico ha permesso agli impianti a gas a ciclo combinato di raggiungere rese fino al 55%.
Altra cosa importante da sapere è che i combustibili fossili non sono sostanze pure ma contengono quantità variabili di altri elementi e composti che si trasformano in polveri, fumi o gas quando bruciati. Lo stesso processo di combustione può produrre composti tossici. Il carbone è un combustibile particolarmente sporco rispetto agli altri già in fase di estrazione. L’inquinamento prodotto dalle prospezioni, dalle perforazioni e dall’ estrazione di petrolio e gas impatta molto meno sull’ambiente rispetto alle miniere a cielo aperto o sotterranee necessarie per estrarre il carbone. Inoltre, risulta molto più a rischio la salute degli addetti all’estrazione sia in profondità che nelle vicinanze della miniere rispetto a quella dei tecnici addetti ai pozzi di gas e petrolio.
Inoltre, tutti i combustibili fossili bruciano ossidando il carbonio e producendo anidride carbonica. Mentre le varie forme di carbone producono da 350 a oltre 400 grammi di CO2 per kWh, l’olio combustibile produce emissioni fra i 240 e i 260 g/kWh e infine il gas naturale si ferma a soli 200 g/kWh. Quest’ultima è il principale responsabile dell’effetto serra e del riscaldamento globale. Il principale vantaggio nell’uso del gas al posto del carbone per la produzione di energia elettrica sta proprio qui: mentre l’energia chimica contenuta nel carbone sta nel legame chimico carbonio-carbonio, nel gas questa è custodita nel legame carbonio-idrogeno. Per liberare l’energia intrappolata in quei combustibili milioni di anni fa si devono ossidare completamente sia il carbonio – producendo CO2 – che l’idrogeno – producendo vapore acqueo H2O. Per questo, a parità di energia sviluppata, la combustione completa del gas naturale produce circa la metà della CO2 rispetto a quella che si sviluppa bruciando carbone. In questo modo, sostituendo le centrali termoelettriche a carbone con quelle a gas si potrebbe arrivare a risparmiare circa la metà della anidride carbonica emessa in atmosfera, con evidenti vantaggi per il riscaldamento globale.
Non è facile nemmeno confrontare i costi medi dell’energia elettrica proveniente da differenti fonti. Oltre ai costi variabili delle materie prime, si devono considerare i costi di costruzione e gestione di impianti più o meno avanzati, più o meno efficienti e più o meno inquinanti. Uno studio del Fraunhofer ISE mostra che in Germania il costo di un MWh di elettricità va dai 63-80 Euro del carbone ai 75-98 Euro per gli impianti a gas a ciclo combinato. Negli Stati Uniti la EIA calcola 95 $/MWh per il carbone e 75 $/MWh per il gas. Ma se si dotano gli impianti di sistemi per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, i costi salgono rispettivamente a 144 e 100 $/MWh. Ovviamente, meno si pensa a purificare i combustibili e ad abbattere i fumi – e quindi più gli impianti sono inquinanti – meno costano. Per questo i Paesi meno progrediti e meno sensibilizzati sui rischi del riscaldamento globale tendono a preferire impianti a carbone costruiti senza tanti scrupoli. Le conseguenze sono risultate evidenti ad esempio al governo cinese quando per l’ennesimo inverno consecutivo Pechino è stata invasa da una cappa di smog che rendeva impossibile vedere a pochi metri e rendeva inutilizzabili gli aeroporti. Il Centro Cinese per la Prevenzione ed il Controllo sui PM10 ha pubblicato sul British Medical Journal una stima di 1,2 milioni i morti provocati dalle polveri sottili in un solo anno.
In conclusione, il carbone è un combustibile sporco. Sporco quando lo si estrae, sporco quando lo si brucia e sporco quando si devono trattare le polveri che produce. Il suo unico pregio è che costa meno. Che fare dunque? Non essendo possibile rimpiazzarlo direttamente con fonti di energia verde, occorre da un lato investire ancora di più nella ricerca e nello sviluppo di fonti rinnovabili, dall’altro utilizzare il gas come fonte “ponte” verso un futuro low carbon. Come? Ad esempio varare una progressiva sostituzione delle centrali elettriche a carbone con quelle a gas rappresenterebbe un vantaggio decisivo nel processo di decarbonizzazione e di difesa dell’ambiente previsto dall’Accordo di Parigi sul clima già ratificato da 195 Paesi. Non solo. Anche in futuro le moderne centrali a gas potranno essere impiegate in combinazione con le energie rinnovabili per compensare le oscillazioni stagionali e giornaliere della domanda di energia con la discontinuità di produzione di energia caratteristica delle fonti rinnovabili.
Dal sito Eniday.