Dalla lettura dei conti delle aziende italiane emergono segnali di miglioramento, ma anche diverse criticità. Dall’inizio della crisi , le imprese sono, ad esempio, riuscite ad accrescere l’efficienza produttiva, tagliando i costi più di quanto non si sia ridotta la produzione, favorendo in questo modo un aumento del valore aggiunto, che si è avvicinato ai livelli massimi degli ultimi venti anni. Rimane, però, evidente la difficoltà nell’adeguare il costo del lavoro al nuovo contesto. Nel 2016, i redditi da lavoro pagati dalle imprese hanno superato i 420 miliardi di euro, assorbendo più del 55% del valore aggiunto e penalizzando la redditività, che rimane intorno ai livelli minimi degli ultimi venti anni.
Un sostegno al risultato economico delle imprese è, invece, giunto dai bassi tassi d’interesse e dalla minore tassazione. Nel 2016, le società non finanziarie hanno pagato 14 miliardi di euro di interessi, rispetto agli oltre 70 raggiunti negli anni precedenti la crisi. L’onere medio del debito è sceso all’1,1%, da oltre il 6% del 2008. Durante lo scorso anno, le imprese hanno, inoltre, pagato 50 miliardi di imposte e tasse, a fronte degli oltre 60 del 2012 e degli oltre 70 del 2007.
I conti economici confermano come la principale criticità delle imprese italiane sia la carenza di investimenti. Il tasso di investimento, nonostante un moderato recupero, rimane lontano dai valori del periodo precedente la crisi. Negli ultimi otto anni, i nuovi investimenti non sono stati neanche sufficienti a compensare l’invecchiamento del capitale produttivo esistente. Un problema non legato alla carenza di risorse: i depositi delle imprese hanno superato ampiamente i 300 miliardi di euro e la politica dei dividendi, nonostante gli ampi tagli dell’ultimo periodo, appare ancora generosa. Le imprese italiane continuano, inoltre, ad effettuare investimenti significativi all’estero. Tra il 2007 e il 2016, oltre 160 miliardi di euro di nuove risorse sono stati investiti nel capitale di società straniere.
Dallo scoppio della crisi, le imprese italiane hanno, inoltre, iniziato un processo di graduale rafforzamento della struttura finanziaria, aumentando il capitale e riducendo i debiti. Tra il 2012 e il 2016, i debiti finanziari sono stati tagliati in media ogni anno di circa 10 miliardi di euro, mentre gli apporti di nuovo capitale hanno superato i 20 miliardi. Il leverage, dopo aver raggiunto il 49% negli anni precedenti, si è ridotto, scendendo al 43%, ma rimanendo al di sopra dei valori registrati nelle altre principali economie europee. Guardando la composizione delle fonti di finanziamento, emerge, inoltre, una minore attenzione per le obbligazioni, che negli ultimi anni hanno registrato emissioni nette negative.